martedì 5 febbraio 2019
La band con alle spalle un quarto di secolo di carriera ritorna dopo sedici anni con "I ragazzi stanno bene". Migranti e problemi delle nuove generazioni? «Abbiamo fiducia nel futuro»
I Negrita a Sanremo (Fotogramma)

I Negrita a Sanremo (Fotogramma)

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«Che sapore ha la felicità?» Cantano i Negrita. La band storica (una delle quattro in gara con Ex-Otago, Boomdabash e Zen Circus) festeggia venticinque anni di carriera e la felicità per Drigo (Enrico Salvi), Pau (Paolo Bruni) e Mac (Cesare Patricich) è anche andare a Sanremo e proporre I ragazzi stanno bene. Il brano che chiude il cerchio del loro quarto di secolo assieme, fuori e dentro il palco, raccontato dalla voce di Drigo, per cui la felicità è anche aver ritrovato le sue amate e preziose chitarre che gli erano state rubate a Natale. Una storia di ragazzi di provincia che, partendo da Arezzo, hanno girato il mondo Rotolando verso Sud, passando prima dalla sana e sudata gavetta nelle cantine in cui erano conosciuti come gli Inudibili, «fusione di vari gruppi aretini “avversari” – in cui mischiando la new wawe di Pau e Mac con la mia passione per il rock e il blues alla fine sono nati i Negrita». Nome che omaggia i Rolling Stones e la loro Hey Negrita.

Rockettari puri, che però non disdegnano un altro bagno sanremese, perché questo non è un debutto per i Negrita, vero Drigo?

No infatti. Siamo stati già a Sanremo nel 2003 con Tonight. Venivamo dalla penombra dell’underground e sotto i riflettori accecanti del Festival passammo praticamente inosservati. Una parentesi che abbiamo dimenticato in fretta, Tonight dopo quel Sanremo non l’abbiamo più cantata nei nostri concerti.

Una ragione in più per evitare di tornare all’Ariston...

Il Festival ha portato bene comunque, poi abbiamo subito spiccato il volo. E l’anno scorso, complice la presenza del mio amico Ermal Meta (vincitore con Moro) ho ricominciato a seguirlo in tv e mi sono sorpreso della qualità musicale selezionata da Baglioni. L’era delle edizioni “loffie” mi è parsa archiviata, perciò, avendo un bel pezzo come I ragazzi stanno bene con Pau e Mac ci siamo detti: perché non ritentare?

Ma il popolo "alternativo" dei Negrita come l’ha presa questa scelta nazionalpopolare?

Qualcuno ha storto il naso, qualcuno si è lasciato andare a qualche commento negativo sui social, ma la maggioranza ha apprezzato, anche perché sa che il post-Sanremo vuol dire nuovo album (la raccolta I ragazzi stanno bene 1994-2019, conterrà tre inediti: Andalusia, Adesso basta e il brano sanremese) e poi un lungo tour...

Intanto concentriamoci su questo 69° Festival dalla vigilia tesa, “antisalviniana”. Anche I ragazzi stanno bene vanno “all’attracco”: «Per fare pace con il mondo dei confini e passaporti /Dei fantasmi sulle barche e di barche senza un porto...».

Il problema dell’accoglienza e di questa povera gente che scappa dalla propria terra ci sta a cuore da sempre, perché migranti lo siamo stati anche noi. Ma I ragazzi stanno bene è prima di tutto un brano esistenziale. Tra le varie pennellate, il vero focus è la generazione “look-down” e questo mondo schiavo degli smartphone e dei social...

«Dove camminiamo tutti con la testa ormai piegata /E le dita su uno schermo che ci riempie la giornata», cantano i Negrita rivolgendosi, forse, allo stesso 16enne di Daniele Silvestri in Argentovivo.

Abbiamo figli adolescenti o che si avvicinano a quell’età, così inconsciamente abbiamo pensato a loro e al futuro che gli stiamo propinando. È una generazione che viene dipinta come “malata” e “senza speranza”, ma invece i ragazzi stanno bene. Noi siamo fiduciosi, crediamo nelle loro scelte, nonostante vivano in una società che sembra offrire tanto ma in realtà limita molte delle loro azioni e deforma la realtà.

Per esempio?

Beh per restare al mondo della musica noi artisticamente siamo nati in un momento storico in cui c’era tanto fermento. Si suonava nelle cantine, nei club, ovunque. Oggi un giovane invece deve aggrapparsi al sogno o all’illusione dei talent televisivi dove tutti crescono in batteria, allenati allo sfinimento mediatico come fossero in una palestra. E lì dentro allo schermo, con un colpo di telecomando hanno eliminato il gusto e il sacrificio della gavetta... E' una gara persa in partenza.

Tra le tante sfide vinte c’è invece quella di aver partecipato al musical Jesus Christ Superstar.

Essere chiamato a lavorare con un genio come Ted Neeley l’ho vissuto come una “chiamata”. Premetto, non frequento la chiesa ufficiale, ma ho letto e riletto i Vangeli e quando viaggio porto sempre con me una piccola Bibbia. Vedere per due mesi, tutte le sere, Gesù finire in croce mi faceva star male... Esperienza unica, quasi catartica. A parte il primo riff non ricordo più nulla, ma lo rifarei anche domani...

A chi devono dire grazie i Negrita per essere arrivati fin qua 25 anni dopo?

A Fabrizio Barbacci che ci sentì la prima volta in un localino e decise che doveva produrre il nostro primo disco. Il primo grande artista che contattammo è stato Ligabue, per affinità elettive: gli mandammo un demo e lui ci invitò a un suo concerto dove alla fine ci incontrammo, ci diede delle indicazioni importanti per proseguire al meglio il nostro cammino.

A un passo da Arezzo c’è il borgo incantato di Cortona dove vive l’altro genius loci, Lorenzo Jovanotti: c’è del sano antagonismo tra di voi?

No anzi, è un grande amico, un grandissimo uomo di spettacolo, il migliore che in questo momento offre la musica italiana. Lorenzo è sempre in fermento, il suo messaggio spacca puntualmente e poi viaggia anche in luoghi lontani dove c’è bisogno del “nostro aiuto”, come ultimamente ha fatto in Eritrea.

Anche i Negrita hanno lavorato nella cooperazione.

Abbiamo seguito una onlus che si occupava di costruire pozzi in Kenya. La campagna di sensibilizzazione per la raccolta fondi avveniva durante i nostri concerti. Era un progetto solidale che Pau ha seguito in prima persona coinvolgendo amici e artisti come Roy Paci e Enrico Ruggeri.

Con Ho imparato a sognare siete entrati nel grande schermo con il cinema di Aldo, Giovanni e Giacomo. Film e viaggio sono le vostre dimensioni ideali?

Il cinema ci piace molto e se vivessimo a Roma forse avremmo più occasioni di collaborare con artisti che ci piacciono come Aldo Giovanni e Giacomo. La dimensione del viaggio è essenziale per comporre la nostra musica. Ma il viaggiare per i Negrita è sinonimo di voli in economy e non business class da rockstar, zaino in spalla e suole da consumare sulla strada, battendo a tappeto Paesi come Stati Uniti, Brasile, Argentina, che ci hanno ridato indietro tanto, non solo artisticamente ma anche dal punto di vista umano.

Ma quando scendono dal palco, anche di Sanremo, i Negrita dove se ne vanno?

Pau si diverte sempre con la musica ma con i dj set. Mac è un genio dell’elettronica e inventa continuamente nuovi effetti sonori per la chitarra. Io giro sempre con una borsa piena di penne per prendere appunti ( molti sono finiti nel suo libro Rock Notes, Mondadori) e pennarelli per disegnare... L’estate scorsa mi hanno invitato alla Biennale del Disegno di Rimini e - sorride divertito - con grande stupore alcune mie “cose” erano esposte tra i capolavori di Picasso e Piero della Francesca... Ecco che sapore ha la felicità.

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