giovedì 13 ottobre 2016
​Per il grande islamista la convivenza fra cristiani e musulmani ha dato il meglio di sé quanto entrambi hanno visto la modernità come opportunità di crescita e di cultura.
Samir: l'islam recuperi il dialogo con l'attualità
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Gesuita, filosofo, teologo, orientalista, islamista, studioso di lingue semitiche. Al suo attivo ha esperienze accademiche negli Stati Uniti, in Libano, Inghilterra, Germania, Francia, Austria, Belgio, Olanda e Italia, dove da oltre quarant’anni insegna al Pontificio Istituto Orientale. È autore di oltre 60 libri e di 1.500 articoli. Dietro l’impressionante curriculum di Samir Khalil Samir, 78 anni portati con leggerezza e grande dinamismo, sta un uomo affabile, curioso, gran tessitore di rapporti umani. Nella sua biografia la dimensione accademica e culturale si è spesso incrociata con incontri che hanno segnato la sua vita. In questa intervista, alla vigilia della consegna del Premio internazionale della cultura cattolica, ne scopriamo alcuni aspetti inediti, sorprendenti ed eloquenti. Come nasce la sua vocazione religiosa? «Sono il secondo di tre fratelli, tutti abbiamo frequentato il collegio Sacra Famiglia del Cairo, la mia città natale. Avevo otto anni quando ho sentito la chiamata al sacerdozio, ne ho parlato con i miei genitori che, vista la mia età, non hanno dato pe- so a quello che dicevo. Al termine del liceo sono tornato 'alla carica' dicendo che volevo entrare nella Compagnia di Gesù, ma mio padre rispose che ero troppo giovane e mi consigliò un’esperienza in Europa per ampliare i miei orizzonti: 'Se la vocazione viene da Dio non si spegnerà, in caso contrario significa che Dio non ti chiama'. Ho invitato a cena il padre rettore del collegio dei gesuiti e lui ha detto ai miei genitori: 'Certo l’appello di Dio non cambia, ma l’uomo può smettere di sentirlo'. Alla fine della conversazione mio padre si è arreso: 'Samir, segui l’appello di Dio'». Però in un certo senso lei ha ascoltato il consiglio di suo padre: in Europa c’è andato, entrando nel seminario gesuitico di Aix-en-Provence in Francia. «Già, era il 1955, avevo appena compiuto 17 anni. Mi sono buttato a capofitto negli studi, sono una persona curiosa e in quegli anni ho cominciato a scoprire mondi affascinanti, e ho capito che avrei dovuto conoscere bene l’islam, visto che provenivo da un Paese dove il 90 per cento della popolazione è musulmana. Ho approfondito la conoscenza del Corano, poi, dato che alcuni dei migliori studiosi europei erano tedeschi, sono andato in Germania e ho imparato da solo la lingua tedesca, il lasciapassare necessario per addentrarmi in quel mondo. E lì accadde un fatto che ha segnato per sempre la mia vita». Cosa accadde esattamente? «Nell’agosto 1962 mi trovavo nella biblioteca statale di Monaco di Baviera per approfondire lo studio di Al-Ghazali, grande pensatore musulmano, su cui stavo preparando la tesi di dottorato. Un benedettino siriacista mi disse: 'Perché lei che viene dall’Egitto non studia il cristianesimo arabo? È un mondo tanto sconosciuto quanto ricco, le assicuro che sarà un’avventura affascinante...'. E per incoraggiarmi mi portò un’opera in 2400 pagine sulla letteratura araba cristiana. Fu una scoperta inattesa. Mano a mano che approfondivo l’argomento mi sentivo erede di una tradizione ricchissima, che aveva fecondato l’Egitto e tanta parte del Medio Oriente». In effetti nella mentalità corrente c’è un’equivalenza tra mondo arabo e islam, anche se gli arabi cristiani sono valutati in 13-15 milioni...  «I cristiani erano presenti in Nordafrica e Medio Oriente prima dell’avvento dell’islam, hanno conservato le loro radici identitarie e insieme hanno saputo trovare forme di convivenza con i musulmani pur diventando minoranza, hanno conosciuto la profonda religiosità di tanti seguaci di Maometto e insieme i limiti del Corano e della civiltà islamica. Ma soprattutto hanno trasmesso al mondo arabo- islamico l’ellenismo (la filosofia, la medicina, le matematiche) oltre al pensiero patristico. Quando nel 1968 sono tornato dalla Francia in Egitto ho avviato un centro di ricerche e una biblioteca in cui raccoglievo libri sul patrimonio arabo cristiano, che però nel 1972 è andato distrutto in un incendio, a causa di alcune sigarette di studenti rimaste accese. In pochi minuti ho perso tutto: libri, manoscritti, e soprattutto molti appunti. In quegli anni ho creato centri di alfabetizzazione per giovani e donne, insegnando pure la teologia arabo-cristiana al Cairo e in 3 università libanesi. Nel 1973 sono stato invitato a insegnare al Pontificio Istituto Orientale di Roma e sono venuto nel 74 per 4 mesi, che sono diventati 42 anni». Poi nel 1986 ha fondato in Libano il Cedrac (Centro di Documentazione e Ricerche Arabo-Cristiane), grazie all’aiuto di molti benefattori, che è ancora l’unico centro al mondo per il patrimonio arabo- cristiano. «Oggi la biblioteca del Cedrac ha 36 mila volumi e circa mille microfilm di mano-scritti. Soprattutto dall’ottavo al tredicesimo secolo i cristiani hanno dato un contributo di prim’ordine alla cultura araba, anche se, nel pensiero dominante, arabo è sinonimo di musulmano. Più tardi, nel 1800, il contributo dei cristiani è stato determinante nella costruzione del nuovo rinascimento arabo». Lei è un grande conoscitore dell’islam e coltiva molte amicizie tra i musulmani. Come giudica l’attuale momento del mondo islamico? «L’islam è una grande civiltà che sta attraversando la sua crisi più grave, dovuta alla crescita delle correnti radicali ispirate al wahhabismo e al salafismo, sostenute finanziariamente e politicamente dall’Arabia Saudita e dal Qatar e che sono la radice profonda a cui si ispirano le organizzazioni fondamentaliste nate negli ultimi novant’anni, a partire dai Fratelli musulmani fino ad al-Qaeda e all’Is. Le cause di questa crisi sono l’interpretazione letterale del Corano, l’applicazione meccanica dei principi introdotti da Maometto nel settimo secolo, ma soprattutto l’emarginazione della ragione che ha portato alla degenerazione della fede e al decadimento dell’esperienza religiosa in una ideologia di sopraffazione e di violenza». Come si può superare questa crisi? «Si deve riconciliare la fede con la ragione, favorire l’interpretazione del Corano e opporsi alla sua applicazione letterale, considerare la modernità come un’opportunità con cui misurarsi e non come una minaccia, valorizzare la dimensione religiosa spurgandola dalle contaminazioni politiche e ideologiche. È un lavoro che deve partire dalle scuole, dalle università e dagli imam; molti lo stanno già facendo, anche se sono una componente ancora minoritaria». La presenza di milioni di musulmani emigrati in Europa può rappresentare una chance? «Molti di coloro che sono arrivati da voi in anni recenti erano imbevuti di pregiudizi antioccidentali. Il vostro mondo viene visto come qualcosa di corrotto e impuro, come la negazione della dimensione religiosa (e spesso non hanno tutti i torti!). Anche per questo in tanti rifiutano di integrarsi. Ma il rispetto della diversità non può diventare un alibi per sottrarsi all’obbedienza dovuta alle leggi, che è un principio imprescindibile, alla base di qualsiasi patto di convivenza. Ciò tuttavia non basta: sono convinto che questa epoca sia una grande opportunità per i cristiani d’Occidente, per offrire a tutti il tesoro ricevuto, il Vangelo, per testimoniare che l’altro è un bene e non una minaccia, che la cultura dell’incontro, continuamente evocata da Papa Francesco, è la risorsa a cui attingere per imparare a vivere insieme, nel rispetto reciproco e nell’emulazione. Tutti siamo chiamati a una contaminazione virtuosa, che non potrà lasciarci indenni. Del resto, Gesù Cristo è stato... un grande contaminatore».
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