venerdì 14 novembre 2014
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Le osserviamo o invece, al contrario, siamo noi ad essere in qualche modo osservati da quelle pietre sospese in alto sulla baia? Nel corso dei secoli, tanti pellegrini hanno consegnato nei propri taccuini o semplicemente inciso in mente quest’interrogativo ormai classico, una volta giunti davanti alla «meraviglia dell’Occidente», il Mont-Saint-Michel, contemplato tradizionalmente da normanni e bretoni pure come il baluardo che colma di grazia la frontiera fra i propri rispettivi mondi linguistici e culturali. Adesso che sta per tornare simbolicamente alla sua insularità originaria, dopo dragaggi e scavi ciclopici durati un decennio, c’è chi scommette che la montagnola più cara alla sensibilità occidentale farà molto riparlare di sé anche su registri diversi rispetto ai periodici rapporti amministrativi zeppi di dati sui flussi turistici. Dallo scorso luglio, i visitatori possono già raggiungere l’isolotto a piedi o in bici sulla passerella nuova di zecca che entro la fine dell’anno resterà pure l’unica via d’accesso anche per le navette, rispetto alla vecchia diga risalente al 1879 e ormai a un passo dallo smantellamento.  La nuova struttura su pilastrini è concepita per dare respiro alle celebri maree della baia. Le più potenti, in una quarantina d’occasioni all’anno e per lassi ogni volta di circa due ore, trasformeranno presto completamente la montagnola in un’isola, sommergendo l’ultimo tratto della nuova via d’accesso. Sul piano estetico, non mancano le polemiche e c’è da scommettere che non si chiuderà mai il dibattito fra architetti, ingegneri, storici dell’arte, ambientalisti sul compromesso ideale per tener conto al meglio di tutte le esigenze del sito, riconosciuto dall’Unesco nel 1979 come patrimonio mondiale dell’Umanità: impatto minimo della logistica d’accesso, attenzione all’aura spirituale, tutela del fragile ecosistema delle piane di marea attorno all’estuario del Couesnon, pragmatismo nell’orientamento dei visitatori.  Ma anche per certi osservatori non credenti, il cuore della questione simbolizzata dalla montagnola continuerà a rivelarsi in futuro, forse persino con maggior forza, a un altro livello dell’idea di paesaggio che si è costituita in Europa. In tempi di rinascenti dubbi sul funzionalismo imperante nei territori e spazi progettati attorno alle nostre vite, oltre che di perplessità verso certi eccessi autoreferenziali dell’architettura contemporanea, la singolarità irriducibile della montagnola abbaziale pare interpellare anche in modi nuovi.  A partire dal primo santuario eretto nel 708 da sant’Oberto, vescovo di Avranches, sul modello di quello pugliese nel Gargano, il sito fu visto dai pellegrini medievali come immagine perfetta e prefigurazione del Paradiso. «Dopo un lungo cammino per guadagnare il loro cielo, scoprivano in un istante, affascinati, la 'Gerusalemme celeste', come sospesa al di sopra delle sabbie», ha ricordato di recente lo scrittore-viaggiatore Bernard Ollivier, che ha deciso di raggiungere l’isolotto abbaziale attraverso l’antico «cammino dei duchi», dopo una marcia attraverso la verde Normandia cominciata sotto le guglie svettanti della cattedrale gotica di Rouen.  Anche nei secoli seguenti il luogo è stato interpretato, talora in vena romantica, come un «paesaggio assoluto» alla confluenza fra due infiniti: quello visivo che corre verso l’oceano e quello di senso in cui molti occhi e cuori continuano ancor oggi ad esporsi a un sovraccarico d’emozioni. Quasi a un estatico excessus mentis.  E tutto ciò, per di più, avviene nella Francia dove emerse e resta attiva l’utopia influente dello «spazio metrico assoluto», per molti aspetti antitetica al sapore che lascia invece la contemplazione della montagnola. Anche per questo, l’insularità ritrovata del luogo pare adesso sottolineare ancor più fortemente il carattere di «segno di contraddizione» che la meraviglia normanna conserva per la coscienza europea moderna.  Quanti hanno deciso di far rotta verso il Mont-Saint-Michel potranno trarre ispirazione da una teoria storica di meditazioni, rievocazioni, riflessioni che non smette di arricchirsi. Alcune ricordano il più importante pellegrinaggio annuale verso l’abbazia animata oggi dalle Fraternità monastiche di Gerusalemme: a fine luglio, quando si perpetua il rito antico della traversata a piedi della baia con marea bassa. L’Ottocento fu per la montagnola un secolo di declino e di rinascita. Il normanno Guy de Maupassant scrisse in una novella autobiografica: «Più mi avvicinavo, più mi sentivo sollevato dall’ammirazione, poiché nulla al mondo forse è più sorprendente e perfetto». Ma due altre celebri penne a lui contemporanee, Victor Hugo e Gustave Flaubert, dovettero battersi in prima persona e far uso della propria influenza per spingere le autorità alla riabilitazione del sito, trasformato in prigione e caduto in un profondissimo degrado nei decenni successivi alla Rivoluzione. «Occorre preservarlo da ogni mutilazione. Occorre che il Mont-Saint-Michel resti un’isola. Occorre conservare a ogni costo questa doppia opera della natura e dell’arte», scrisse nel 1884 l’autore dei Miserabili, poco prima di morire.  Fra i discorsi pubblici novecenteschi dedicati al Monte resta ancora nella memoria quello tenuto nel 1965 dall’allora premier Georges Pompidou, futuro capo dello Stato, aprendo le cerimonie per il Millenario monastico: «Ci troviamo qui in uno dei luoghi del mondo che testimoniano con maggior fulgore il genio umano, la fede cattolica, la continuità francese. Gloria della Chiesa, meraviglia dell’Occidente, il Mont-Saint-Michel è pure la sintesi della nostra cultura, della nostra spiritualità, della nostra storia nazionale». Davanti all’isolotto, tante generazioni hanno potuto scoprire ed assaporare la contrapposta qualità fra un infinito ricolmo di speranza e l’aspetto puramente illimitato, indistinto, talora desolato di tante altre vaste distese terrestri. Di fronte a quelle pietre, in effetti, ogni pellegrino può ancora ritrovare un nocciolo di senso che esprime il misterioso legame fra bellezza e speranza. Uno spazio dove si rinnovano ogni giorno i piccoli miracoli silenziosi della sacra montagnola.
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