giovedì 15 novembre 2018
Nella palla ovale ha vinto il campionato con Colorno e ha esordito in azzurro. Però è anche istruttrice d’equitazione: «Non sono due mondi distanti, ci vogliono in entrambi sacrificio e il rispetto»
La rugbista Francesca Sberna

La rugbista Francesca Sberna

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Con la passione e il sacrificio puoi unire in te la forza del rugby e l’eleganza dell’equitazione. Lo testimonia la storia della bresciana Francesca Sberna, rugbista e amazzone. Il 6 dicembre soffierà con gioia e orgoglio su una torta con 26 candeline. Il suo 2018 è un anno da incorniciare: il 2 giugno si è laureata campionessa d’Italia con il Rugby Colorno, durante l’estate ha giocato con la nazionale a sette e il 2 novembre ha esordito in maglia azzurra nel vittorioso test match contro la Scozia.

Quali le sensazioni dopo la prima in nazionale?
«Ho provato onore e felicità. Credo non sia capitato a nessun atleta di esordire con la maglia dell’Italia pro- prio sul campo dove è cresciuto con un club: a me è successo a Calvisano. L’ansia dell’esordiente poi l’ho tenuta sotto controllo grazie alla forza del gruppo».

Il 25 novembre lei è convocata per Italia-Sudafrica. Poi il 1° febbraio 2019, a Glasgow contro le scozzesi ci sarà il via del Women’s Six Nations.
«Il ct Di Giandomenico ha formato una rosa di 35 atlete. Chi sta meglio viene chiamata. Ma so che la convocazione devo sempre guadagnarmela in allenamento e in partita».

Quando nasce il suo amore per la palla ovale?
«In terza media. Per un periodo le ore di educazione fisica le abbiamo passate su un campo di rugby. Anche se all’epoca ero un po’ cicciotta e goffa mi piaceva. È finita lì perché la squadra femminile più vicina era a Monza; a 18 anni leggo su facebook che il rugby Brescia vuole formare una squadra di ragazze. Mi presento e inizia l’avventura. Poi, dopo il fallimento della società, il passaggio a Calvisano, ancora proprietario del mio cartellino, e l’arrivo a Colorno».

E per l’equitazione?
«Già da piccola, nonostante non potessi salire in sella, mio padre mi portava in un maneggio, qui dove abito a Rezzato. Con il tempo ho iniziato a cavalcare i puledri e vincere alcuni trofei. Oggi pratico dressage e sono diventata istruttrice d’equitazione. Lavoro al circolo “Castegno” di Castenedolo, una seconda famiglia».

Appartengono a due mondi distanti il rugby e l’equitazione...
«Ci sono analogie che li uniscono: il sacrificio e il rispetto. Il rugby non è solo correre con una palla. Bisogna ripetere i movimenti all’infinito, acquisire la tecnica, esercitarsi in palestra. E rispettare l’avversario. Così come l’equitazione non è solo prendere un cavallo e cavalcarlo. Va accudito, capito per entrare in simbiosi con lui».

Avrà quindi non uno ma due miti sportivi.
«Nel rugby ammiro David Pocock dell’Australia. Gioco terza linea come lui che è un fantastico grillo talpa, cioè un ruba palloni. Nell’equitazione mi rispecchio nell’olimpionico francese Michel Robert. Non aveva un grande talento però ha vinto ori con il duro allenamento e l’amore infinito per i cavalli».

Come riesce a conciliare due impegni così duri nella sua vita?
«Vivo con la borsa in macchina: ogni settimana faccio 800 km. La mia giornata tipo, dopo la sveglia e la colazione, è andare a Calvisano per la seduta in palestra con il preparatore atletico. Torno a casa per il pranzo e vado in maneggio; alle 18 termino, prendo l’auto e vado a Colorno per l’allenamento. Sono a letto a mezzanotte».

Niente tempo libero.
«Chi fa sport a un certo livello deve fare delle rinunce. Ho degli amici che mi rispettano, si adattano ai miei “stasera non posso” e vengono alle partite». E quando è stanca, Francesca, si ricarica dando uno sguardo al suo tatuaggio: “Perfer et obdura! Dolor hic tibi proderit olim” ovvero «Sopporta e resisti! Un giorno questo dolore ti gioverà».

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