giovedì 12 maggio 2016
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Una linea verde insegue un filo rosa. Che è poi un filo conduttore, che diventa poi anche un filo logico. È il bello del Giro, che generalmente premia i corridori esperti, maturi e rodati: ma non sempre. Ad ogni primavera che si rispetti, con l’arrivo del Giro, la “corsa rosa” scandisce da oltre cento anni la cadenza di una delle stagioni più belle e amate. La primavera è rinascita. È vita. E anche sportivamente parlando, il Giro porta con sé il desiderio della scoperta e della meraviglia. Il piacere di vedere giovani virgulti sbocciare come Fausto Coppi, che a 21 anni ancora da compiere, seppe vincere il suo primo Giro d’Italia nel lontano 1940. Gioca a nascondersi Tom Dumoulin, anche se tutti l’hanno visto benissimo. Un anno fa alla Vuelta, quando si palesò al mondo lottando fino all’ultimo per un successo finale che finì al nostro Fabio Aru. «Ho scelto di far ruotare la mia stagione attorno al Giro d’Italia perché non capita tutti i giorni che una delle tre più grandi corse a tappe al mondo scatti dall’Olanda - ci spiega -. Come inizio non è stato male: ho vinto il prologo, e ho tenuto per due giorni la maglia rosa. Adesso, considerate le mie caratteristiche, è lecito sognare in grande. Con la crono sulle strade del Chianti domenica prossima, penso di poter fare qualcosa di buono» spiega il talento emergente del ciclismo mondiale, che dopo 3 partecipazioni al Tour de France e 2 Giri di Spagna vuole pennellare di rosa il suo 2016. Nato l’11 novembre 1990 a Maastricht, è al sesto anno nella massima categoria. Ma la “farfalla di Maastricht” - così viene chiamato dai suoi tifosi - getta acqua sul fuoco, o meglio, gioca a nascondersi. «Un mio grande obiettivo per quest’anno saranno i Giochi Olimpici di Rio de Janeiro, di gran lunga il più grande evento nello sport. In Brasile sarà una grande sfida dice -, ma prima di arrivarci voglio dare il massimo nelle prossime tre settimane». È un altro ragazzo del ’90, Esteban Chaves. Uno dei giovani su cui tenere gli occhi. Lo scorso anno ha dimostrato di essere il punto di riferimento per il team australiano della Orica GreenEdge: il 26enne di Bogotà ha sviluppato il gusto per il podio nei Grandi Tour ed ha intascato due vittorie di tappa individuali ed un quinto posto assoluto alla Vuelta a España, prima di vincere poi l’Abu Dhabi Tour a fine stagione. «Ho iniziato a correre a 14 anni. La passione per il ciclismo me l’ha trasmessa papà Jairo - racconta -, con cui da bambino andavo a vedere le gare, grande fan di questo sport e soprattutto di Lucho Herrera e Fabio Parra. A lui devo la mia prima bici, fu un bellissimo regalo. Era della misura più piccola in commercio, con i cambi sul telaio, azzurra e nera. La prima volta che la usai fu in una gara di duathlon che prevedeva 5 km di corsa a piedi e 30 km in bici. Mi piazzai terzo» ci confida Chavito che ha saputo conquistare il cuore dei tifosi e ottenere il rispetto dei corridori sulle salite della Vuelta. Dopo la gavetta nel team di Claudio Corti (team Colombia, ndr) e lo stop dovuto a un grave infortunio, nel 2014 è ritornato alle corse per la sua prima stagione nel World Tour, vincendo tappe al Tour de Suisse e al Tour of California. «All’inizio in Italia non mi sono trovato bene, sono arrivato a gennaio e non sopportavo il freddo. A casa mia se è brutto tempo ci sono come minimo 15 gradi, qui quando sono atterrato nell’inverno 2011 nevicava. Con l’estate ho iniziato ad apprezzare il vostro Paese e poi adoro il vostro cibo. Vado pazzo per la pasta e la pizza. Gli affetti, la famiglia, il calore della gente in Colombia mi manca, ma se voglio essere un corridore è in Europa che devo vivere» racconta a proposito del suo legame con il Belpaese, senza dimenticare le sue origini. Di recente ha aperto nel suo paese una scuola di ciclismo per sostenere le giovani promesse colombiane che stanno crescendo ammirando lui, Quintana, Uran e gli altri escarabajos che hanno raggiunto il successo e gli onori della cronaca. E l’Italia? Spera in Davide Formolo. Un anno fa, a La Spezia, si è portato a casa una bellissima vittoria di tappa. Ha 23 anni e i lineamenti di un ragazzino di 15. Invece, ciclisticamente parlando, è una roccia. «Non voglio dire quello che farò, preferisco fare - dice lui -. Io sono uno che non si accontenta, quindi non mi pongo limiti». A sei anni lo chiamano già Roccia. E dire che quando si presenta all’U. S. Ausonia Pescantina più che un Golia sembra proprio un Davide: perché è piccolo, piccolo, piccolo, così. Davide è figlio di Livio, nipote di Sante e fratello di Jonathan: i Formolo sono di San Rocco di Marano di Valpolicella. La famiglia ha una passionaccia per le due ruote. Lui vorrebbe salire subito sulle bici di Livio e Sante, ma troppo grandi. Quella giusta è di Jonathan. Il papà è di poche parole e gli dice: «Vai» e lui va. Una famiglia semplice e sana: papà Livio, 56 anni, camionista; mamma Marina, 50, che manda avanti la famiglia e la casa. La prima corsa a sette anni, a Vigasio di Verona, da G2. La prima vittoria a 11 anni, a Cadidavid, una frazione di Verona: «L’arrivo tira un po’ in su, rimango da solo. Che gioia!». A 18 anni, in tasca il diploma di perito meccanico celebrato con 100 centesimi, la promessa di papà Livio e mamma Marina lo guidano alla svolta: «Ti diamo due anni per provarci. Se vai, vai. E se non vai, vai a lavorare». Davide prende la bici e va, e ora sogna. © RIPRODUZIONE RISERVATA Giro d’Italia Dall’olandese Dumoulin, leader in classifica, al colombiano Chaves e al nostro Formolo: sono tanti i giovani talenti pronti a esplodere Esteban Chaves Davide Formolo LEADER. L’olandese Tom Dumoulin in maglia rosa
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