martedì 11 settembre 2018
A Venezia, alla Casa dei Tre Oci, la retrospettiva dedicata al grande fotografo “umanista” francese. Lo sguardo puntato sul quotidiano: «L’obiettivo è l’occhio»
“Gli innamorati della Bastiglia” del 1957: una delle fotografie di Willy Ronis in mostra a Venezia

“Gli innamorati della Bastiglia” del 1957: una delle fotografie di Willy Ronis in mostra a Venezia

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Un piccolo parigino corre sorridente con la baguette sottobraccio. Una scena di normale quotidianità, quella che non fa notizia nello scorrere della vita della città. Eppure in quella corsa di tutti i giorni, dalla boulangerie a casa, si compone una lirica sorprendente di versi visivi, frutto di passi, di attese e di istanti magici. La stessa dello scatto romantico e sognante dei due innamorati della Bastiglia con la Ville Lumière sullo sfondo. «Tutta l’attenzione è concentrata sul momento unico, quasi troppo bello per essere vero, che può soltanto svanire nell’istante successivo e che provoca un’emozione impossibile da ottenere con gli artifici di una messa in scena». Il fotografo francese Willy Ronis (1910-2009) regala con questo ritmo spaccati straordinari di ordinaria quotidianità. È uno dei più importanti esponenti della fotografia umanista francese, che si muove con le immagini di Cartier-Bresson, Brassaï, Izis, Doisneau, e ancora Kertész, Lartigue, Riboud ed altri. Un movimento che, sebbene non sia codificato da un manifesto programmatico, è ben definito e riconoscibile dall’interesse verso la condizione umana e la quotidianità più semplice e umile per scoprirvi un significato esistenziale universale: «È lo sguardo del fotografo che ama l’essere umano ». Così attraverso le sue immagini, Ronis sviluppa una sorta di micro-racconti costruiti partendo dai personaggi e dalle situazioni tratte dalla strada e da tutti i giorni, che lo portano a estasiarsi davanti alla realtà e a osservare la fraternità che con umana naturalezza lega i popoli.

Uno stile che nel vortice di immagini e nell’abuso di clic che – smartphone alla mano – oggi non risparmia nessuno, ancora una volta rappresenta una lezione, un corso intensivo di educazione all’uso della fotografia che si può ripercorrere a Venezia, alla Casa dei Tre Oci nei 120 scatti vintage (alcuni anche inediti) della più completa retrospettiva dedicata in Italia a questo pioniere della street photography: una mostra, aperta fino al 6 gennaio, organizzata da Civita Tre Venezie, coprodotta dal Jeu de Paume di Parigi e dalla Médiathèque de l’architecture et du patrimoine (Ministère de la Culture - France), con la partecipazione della Fondazione di Venezia (info www.treoci.org). «Per otto decenni – dice il curatore, l’archivista francese Matthieu Rivallin – Ronis ha puntato l’obiettivo sui francesi, percorrendo con piacere sempre rinnovato le strade della capitale o il Sud del paese. Fotografo della “casualità felice”, Ronis coglie con gioia gli “istanti di vita ordinaria” di chi gli è vicino, come la moglie Anne-Marie o il figlio Vincent, ma anche sconosciuti incrociati all’angolo di una stradina nel quartiere di Belleville».

Una carrellata di foto “normali”, dunque, con spesso i bambini protagonisti, che per Ronis più di altri soggetti rappresentano il simbolo di quella «casualità felice» di cui parla, con efficace sintesi, Rivallin. In città, nei quartieri parigini soprattutto, ma anche del mondo, in Italia, a Venezia in particolare dove Ronis venne premiato con la Medaglia d’oro alla Biennale di Fotografia del 1957 e dove tornò nel 1959 ospite del critico Romeo Martinez. È in quel secondo viaggio che Ronis s’innamora della magia della città e realizza le sue immagini più note. «Cammino in qualche punto della città sull’acqua. Ho trovato il mio posto e non lo lascerò più, perché sento che proprio qui potrebbe accadere qualcosa». E qualcosa accade. Questione di tempo. Poetici i momenti che restituisce della vita in laguna, alla Giudecca, proprio a due passi dai Tre Oci, o a Fondamenta Nuove, con quello scatto meraviglioso della bambina che cammina su una passerella. Seguendo quelle che si possono chiamare Le regole del caso, come ricorda l’azzeccato titolo del volume pubblicato per la prima volta in Italia da Contrasto nel 2011 (l’originale è del 2001, edizioni Hoëbeke, Parigi). La quotidianità della sua famiglia, del piccolo Vincent che dorme o che gioca con l’aeroplanino nell’estate del 1952 a Gordes, o della moglie, nei nudi provenzali e classicheggianti di tenera intimità.

Il racconto dell’umanità di ogni giorno in istanti catturati nella loro irripetibile unicità. La fotografia di Ronis non si limita però solamente alla narrazione del quotidiano. C’è di più. «Ronis ha la consapevolezza – dice Denis Curti, direttore artistico dei Tre Oci, presentando la mostra che ripercorre le opere del fotografo francese, fra il 1934 e il 1998 – che non basta raccontare e interpretare il mondo: “dobbiamo lavorare per cambiarlo e renderlo migliore questo mondo”. Quella di Ronis è così una fotografia umana, ma sempre impegnata». Potremmo dire militante. Partigiana. Alla fine della guerra diventa membro del Partito comunista francese, del quale farà parte fino alla metà degli anni Sessanta e al quale resterà sempre legato. Non è casuale allora il reportage dei militari francesi che tornano dalla prigionia in Germania nel 1945, o il racconto degli scioperi alla Citroén nel 1938 e le manifestazioni del 14 luglio in rue Saint-Antoine a Parigi (1936). Militante e sempre umana. Mentre nel 1950 eseguiva una serie di reportage per un gruppo industriale dell’Alto Reno, in una fabbrica tessile ecco che lo sguardo si sofferma sull’eleganza, il garbo e la «bellezza dell’atteggiamento» di una lavoratrice «inginocchiata davanti al lavoro» mentre «riannoda un filo spezzato».

O come nella gigantesca manifestazione per la vittoria del Front populaire nel 1936 è il pugno chiuso di una bambina sulle spalle di papà a segnare quella stagione di sogni. Già, i bambini e i sogni, che non devono spezzarsi. Quelli dei tre piccoli incappucciati che camminano per una strada della Lorena in inverno o del bimbo su un passeggino in una strada di Volendam in Olanda. O quelli del piccolo parigino che corre sorridente con la baguette. È una fotografia ottimista, che crede nell’uomo, che ha fiducia nel mondo, senza per questo dimenticarne le ingiustizie sociali e la povertà. Ronis che da ragazzino sognava di fare il violinista e poi ha scelto la musica della macchina fotografica, compone armoniose visioni dell’autenticità. Fotografie come un adagio, le note sono nello sguardo. «L’obiettivo è lo scopo da raggiungere – scrive Ronis –. Ed è anche l’occhio della macchina fotografica. Questa però non pensa, è il cervello del fotografo a farlo. L’obiettivo umano è l’occhio. Fotografare sottintende un’intenzione». Cervello e cuore. Pazienza e tempo. Per catturale la «casualità felice» della vita di ogni giorno.

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