martedì 27 marzo 2018
Convince al teatro “Carlo Felice” la direzione di Alvise Casellati, figlio della neo presidente del Senato. Sorprende il brillante cast. Efficace la regia dai tratti felliniani
Il secondo atto della «Rondine» al teatro “Carlo Felice” di Genova (foto Marcello Orselli)

Il secondo atto della «Rondine» al teatro “Carlo Felice” di Genova (foto Marcello Orselli)

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Gli occhi sono puntati tutti sull’avvocato direttore d’orchestra, Alvise Casellati, figlio (con la vena d’artista) della neo presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Fra il pubblico del teatro “Carlo Felice” di Genova domenica c’è anche lei, la prima donna eletta al timone di Palazzo Madama, per la replica conclusiva dell’opera “dimenticata” di Giacomo Piccini, La rondine. Perché sul podio sale proprio il figlio e lei ha scelto la «fabbrica della musica» della Liguria per la sua uscita d’esordio da presidente, seppur in forma privata. Chissà come sarà La rondine guidata da una bacchetta balzata nelle ultime ore all’onore delle cronache per la parentela “politica”, si domandano in molti in sala, anche con un pizzico di malignità. Quando il sipario cala al termine dei tre atti, il giudizio complessivo è più che lusinghiero. Come a dire: La rondine ha spiccato il volo senza difficoltà.

È cristallina, equilibrata e a tratti intensa la direzione di Casellati, supportato da un’orchestra che si dimostra di singolare precisione e da un coro molto ben preparato. È di particolare efficacia il cast che non ha nomi da cartellone ma proprio per questo si rivela una felice sorpresa. È accattivante la regia del ligure Giorgio Gallione in questa nuova produzione del “Carlo Felice”, benché la messa in scena sia semplice ma non certo banale e sempre in grado di tenera alta l’attenzione dello spettatore nonostante la narrazione sia lineare e didascalica (dove c’è tutto quello che il libretto prescrive).

Ecco perché alla fine si esce soddisfatti dal teatro genovese, come lo è la presidente del Senato che nel foyer dice non voler farsi chiamare «presidentessa» e che viene accolta all’arrivo da tre coriste che le donano un mazzo di fiori al nome del teatro, indossando abiti e parrucche sgargianti e multicolorati, con le fattezze anni Venti. È così che il regista vede la Parigi bizzarra e decadente, la città dell’amore e della solitudine, impressa da Puccini sulla partitura della Rondine. Un titolo considerato (forse eccessivamente) «minore», nato come operetta e rimaneggiato più volte. Ed è la seconda versione – quella che ha debuttato a Palermo nel 1920 – che il teatro della città della Lanterna propone con una sorta di filo rosso che la unisce a un suo precedente allestimento di Traviata curato dallo stesso Gallione. E ingiustamente La rondine è stata definita la «Traviata dei poveri», visto che la protagonista – un po’ come la verdiana Violetta – è una mantenuta della Parigi chic, Magda, la quale incontrerà l’amore che dovrebbe farle prendere il volo come una rondine – quello per il giovane squattrinato Ruggero – ma che alla fine rinnegherà la via del possibile riscatto non riuscendo a lasciarsi alle spalle il suo passato (che non passa) di “cene eleganti”.

Il regista ligure rende bene tutto questo, con un approccio dal tocco felliniano: la serata in un salotto “bene” della capitale francese è fra tavoli e pianoforti con luci psichedeliche con l’aria «Chi il bel sogno di Doretta» cantata da Madga su una luna che sale; la festa nel ristorante “trendy” richiama i giochi e le stravaganze di un circo con tanto di travestiti (che però non disturbano); la fuga dei due innamorati in Costa Azzurra ha come cornice una spiaggia anonima circondata di papaveri dove la tormentata donna è una «figlia dei fiori». Emozionante nel secondo atto il celebre concertato «Bevo al tuo fresco sorriso» con il quartetto tra Magda, Ruggero, Lisette e Prunier e il coro.

Come detto, gli interpreti allettano il pubblico. Non mancano piccoli errori, dall’intonazione al tempo: ma tutto può essere perdonato dal risultato complessivo. Spicca il 40enne tenore messicano Arturo Chacón Cruz, il migliore, con una voce calda e accattivante che narra Ruggero in modo più che convincente con il suo tormentato sentimento per Magda. E Magda è il soprano emiliano Elena Rossi che si cala a pieno nei panni della giovane “di vita” regalando un’interpretazione lusinghiera, soprattutto quando è chiamata a essere una “vamp” con tanto di parrucca rossa ma anche nel finale straziante dell’addio all’amato. Funziona bene il tenore romeno Marius Brenciu che è un Prunier poeta energico. E va in porto con altrettanta sicurezza il Rambaldo, prottetore di Magda, interpretato da Stefano Antonucci. Unico neo la Lisette di Giuliana Gianfaldoni con una voce eccessivamente piccola. Ciò che viene da dire lasciando il teatro di Genova è che La rondine meriterebbe di essere messa in scena più spesso, liberandola da quell’aura oscura che ancora l’accompagna.

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