domenica 16 gennaio 2011
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Erwin ha poco più di un anno e due occhioni chiari che sorridono a tutti indistintamente. Sembra anche avere una predisposizione naturale per la musica, visto che ogni volta che mamma e papà inseriscono il cd di Michael Jackson inizia a muoversi al ritmo delle note, quasi a voler imitare i passi della celebre moon walk della pop star americana. Eppure, in Kosovo, i nonni e gli zii di Erwin avrebbero voluto ammazzarlo a mani nude. Già, perché il piccolo ha la colpa indelebile di essere nato da padre cattolico e, da quelle parti, la cosa rappresenta uno smacco inaccettabile all’onore di una famiglia musulmana, come quella della madre di Erwin. Nikolle e Hatigje, i genitori del bimbo, sono dovuti fuggire dal Kosovo perché innamorati l’uno dell’altro e oggi vivono finalmente sereni da rifugiati politici in Italia. Per la coppia – lui cattolico di 29 anni di Gjakovë, lei musulmana trentenne di Mitrovica – l’essere fedeli di due differenti religioni rappresentava un ostacolo insormontabile per poter amarsi liberamente nella loro terra. In Kosovo, infatti, il 92% della popolazione è costituito da albanesi di religione islamica e il restante 8% quasi totalmente da serbo­ortodossi, con piccole comunità di cattolici a Prizren, Klinë e, per l’appunto, a Gjakovë. Questa storia in stile Romeo e Giulietta in versione balcanica ha inizio nel 2006, quando Nikolle si innamora di Hatigje. La relazione, tuttavia, si rivela complicata sin dalle prime fasi, tant’è che i due sono costretti a sentirsi e a incontrarsi furtivamente. Nella famiglia di lei, però, comincia a insinuarsi il sospetto che la ragazza stia frequentando qualcuno: un fatto che non può essere accettato, visto che il padre vuole darla in sposa a un amico di famiglia. «Da noi, purtroppo, funziona ancora così: che le ragazze vengono assegnate forzatamente a uomini di cui non sono innamorate – racconta Hatigje –. Io continuavo a ripetere che mi sentivo ancora troppo giovane per il matrimonio, ma così facendo i miei genitori si insospettivano sempre di più».  Isospetti diventano realtà quando il fratello della giovane la sorprende al telefono nella su stanza. È una notte d’inverno; l’uomo le strappa l’apparecchio dalle mani e scopre che dall’altra parte del filo c’è un ragazzo. Per Hatigje è la fine: da allora le è vietato di uscire di casa e le viene sequestrato il cellulare. Fortunatamente, però, i familiari non sanno che la ragazza ha un altro telefonino, regalatole da Nikolle. E così, nonostante tutto, i due innamorati continuano a sentirsi. «Ma un giorno Hatigje non ha più retto – racconta Nikolle –.  Piangeva e mi ha detto: 'Se mi ami, vieni a prendermi'. Non ci ho pensato su un attimo. Pur sapendo del rischio che entrambi correvamo, nel pieno della notte sono andato a prenderla e l’ho portata a casa della mia famiglia». «Ho parlato col fratello di Hatigje – ricorda ancora Nikolle –. Gli ho detto che ero stato io a prenderla, perché l’amavo alla follia. Lui mi ha chiesto se entrambi lo volessimo o se era stata solamente una mia decisione. Gli ho detto che ci amavamo l’un l’altro e che volevamo sposarci e avere dei figli. Poi mi ha chiesto come mi chiamavo, ma appena ho risposto ha subito capito che ero un cattolico. Mi ha detto che ci avrebbe ammazzai con le sue stesse mani». Da quel momento, per Nikolle e Hatigje inizia la fuga della disperazione. Riescono infatti a riparare in Austria, dove hanno vissuto per 5 mesi. Lì cercano pure di presentare domanda per l’asilo politico, senza però alcun risultato. In Austria, del resto, la donna scopre di essere incinta e – quando la polizia decide di rispedirli in Kosovo – i due si sentono come condannati all’inferno. «Tornati in Kosovo, Hatigje era incinta di sette mesi – racconta Nikolle –. Ha parlato con sua sorella, confidandole di aspettare un bambino; si aspettava un po’ di comprensione da parte sua. E invece la sorella ha raccontato tutto al resto della famiglia».Nikolle si ferma di colpo e scoppia a piangere: «La sorella ci ha detto che la sua famiglia sarebbe arrivata ad ammazzare nostro figlio perché non avrebbe mai accettato di avere un nipote cattolico». Il morale della coppia è a pezzi, la paura si impossessa della loro vita; per di più la donna si trova in condizioni di salute precarie a causa della gravidanza. In breve i due si rendono conto che non ci sono alternative: bisogna scappare di nuovo, prima possibile. Grazie all’aiuto dei familiari di lui si organizza, al prezzo di 4000 euro, un viaggio che in 5 giorni, chiusi all’interno di un furgone dal quale potevano scendere solo di notte, porta la famigliola a Udine.«A ppena arrivati nel vostro Paese, un dottore ci ha informati che il bambino non cresceva e che era più piccolo delle normali dimensioni dei feti di 7 mesi – ricorda Nikolle –. Ma almeno eravamo finalmente al sicuro e eravamo certi che tutto sarebbe andato bene». Così è stato: oggi Nikolle e Hatigje vivono in un centro d’accoglienza per richiedenti asilo, hanno ottenuto lo status di rifugiati e – soprattutto – sono diventati genitori del bellissimo Erwin. «Sono la mamma e la donna più felice del mondo – commenta raggiante Hatigje –. Ora la nostra priorità è che Nikolle trovi un lavoro in modo da poter abitare in una casa nostra».Dopo di che, finalmente, i nostri «Giulietta e Romeo» potranno sposarsi in chiesa (visto che lei ha deciso di convertirsi al cristianesimo) e vivere una vita semplicemente normale. Lontani dalle minacce di morte, ma anche dalla loro terra di origine. Quella in cui avrebbero voluto vivere per sempre, se non fosse stato loro impedito.
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