venerdì 17 marzo 2023
Nella città belga la prima retrospettiva sul pittore di Anversa. Fu caravaggesco e interprete della visione controriformista, ma anche di una pittura di genere molto richiesta
Theodoor Rombouts, “Suonatore di liuto” (1625 circa)

Theodoor Rombouts, “Suonatore di liuto” (1625 circa) - Philadelphia Museum of Art

COMMENTA E CONDIVIDI

Theodoor Rombouts è un caso interessante sia per se stesso sia per la luce che getta sul contesto del quale partecipa, il caravaggismo europeo, e nello specifico quello fiammingo. Il primo a darci una sorta di catalogo ragionato della sua opera fu Benedict Nicolson in The International Caravaggesque Movement, importante catalogo uscito postumo nel 1979. Lo ricorda Frederica Van Dam nel volume che accompagna la mostra "Theodoor Rombouts. Virtuose du caravagisme flamand" (fino al 23 aprile), allestita al piano terra, che il Museo di Belle Arti di Gand (MSK) dedica a Rombouts, la prima retrospettiva che gli sia mai stata dedicata. Van Dam si chiede, dunque, come sia possibile che un pittore di tale qualità, molto rispettato e ben pagato in vita, sia poi caduto nell’oblio, venendo quasi dimenticato fino al tardo Ottocento. Le spiegazioni possono essere varie: una vita troppo breve, quarant’anni soltanto; l’essere inserito nella polemica controriformista, anche perché il suo più fedele committente gandese, il vescovo Antoon Triest, lo coinvolse nella battaglia contro l’iconoclastia protestante; ma per lo stesso declino progressivo della linea caravaggesca, mentre il barocco già enfatizzava le forme, eccedeva nella sensibilità, svuotava le composizioni di un sentimento esistenziale rendendo la vita un enorme trionfo del vuoto cosmico.

E ancora, ciò che venne dopo, il Settecento razionalista, l’apoteosi del neoclassico, dunque lo strumentale gioco sulle apparenze estetiche, sciolte nel romanticismo delle rovine e del culto sublime della natura... Tutte queste possibili cause, spostarono alla seconda parte dell’Ottocento, grazie anche alla fortuna del realismo courbetiano, in sé non privo di una certa prosaicità, il ritorno in auge del Caravaggio e dei suoi seguaci (che non è così pacifico, se si pensa a come Elio Vittorini stroncò la mostra del 1951 allestita da Longhi accusandola di culto della bruttezza). Ma questo, in fondo, può valere per tutti e per nessuno. Rombouts non è il primo caravaggesco scomparso dalle scene, e altri aspettano di essere ritrovati. Resta il fatto che proprio nell’Ottocento il critico letterario belga Max Rooses non si capacitava dell’oblio che perseguitava Rombouts. Ovviamente, non era una cancellazione completa: la Deposizione dalla croce è ancora lì dove è sempre stata dopo il 1629: ancora oggi decora la cattedrale di San Bavone a Gand, dov’è conservata una delle maggiori attrazioni della storia dell’arte, il Polittico dell’Agnello mistico dei Van Eyck (che molto aveva irritato il giovane Longhi). Questo dimostra per lo meno che davvero dimenticato Rombouts non fu mai. Come ricordano i curatori di questa importante mostra, il Museo di Belle Arti possiede tre tele del pittore nato ad Anversa nel 1597 (ed è la ragione della rassegna stessa). Due grandi Allegorie: quella acquisita nel 1861, con motu proprio del Consiglio comunale gan-dese, dedicata ai Cinque sensi e l’Allégorie du banc des échevins des Parchons, che è probabilmente la tela più complessa e più ampia dipinta da Rombouts. L’Amministrazione comunale di Gand la commissionò al pittore per decorare la casa degli assessori dei Parchons, paragonabile al nostro attuale tribunale di pace e competente per i bambini orfani. La Vergine di Gand è in trono al vertice della tela, con il leone di Gand ai suoi piedi. Cinque orfani sono seduti accanto a lei e otto giudici, simboli degli assessori, si dispongono su ogni lato lungo due scale.

Bottega di Theodoor Rombouts, “Cavadenti”

Bottega di Theodoor Rombouts, “Cavadenti” - Gand, Museo di Belle Arti

Le donne al centro rappresentano tre virtù: la Forza abbraccia una colonna, la Saggezza scrive tenendo in mano una lente d'ingrandimento e la Moderazione mette l’acqua nel vino. I soldati in primo piano a sinistra sono incaricati di mantenere l’ordine… È anche una sorta di allegoria politica (con il sottofondo della cultura cattolica: anche se il vescovo non ebbe voce in capitolo nella commissione; ma è pur vero che il padre e il fratello di Rombouts avevano un peso sulla scena sociale gandese). Così, a suo modo, si rafforza anche la prospettiva controriformista alimentata dal vescovo Triest, che rimase a capo della Chiesa di Gand per trentacinque anni in un periodo molto combattuto e difficile, fin da quando commissionò a Rombouts l’Allegoria dei cinque sensi, e dopo il 1629 la Deposizione dalla croce e altre opere ancora. I curatori della mostra – Johan De Smet, Manfred Sellink e Frederica Van Dam – spiegano in una breve introduzione al catalogo che il destino di essere poco studiato riguarda tanto Rombouts, quanto gran parte dei pittori caravaggeschi dei Paesi Bassi meridionali (al contrario di quelli della scuola di Utrecht, su cui si contano varie mostre). Un altro a essere riscoperto recentemente è stato Theodoor Van Loon, a cui il museo Bozar di Bruxelles ha dedicato una mostra quasi cinque anni fa. Quella ora in corso al Museo di Gand servirà, probabilmente, a rilanciare gli studi su Rombouts, che comunque negli ultimi decenni è stato oggetto di vari saggi critici (da quello di Christine Braet al più recente di Leen Kelchtermans), ma avrà la funzione di allargare quelli sui Paesi Bassi Meridionali, in rapporto alla Francia e all’Italia, come auspicano i curatori. Theodoor ebbe molto probabilmente come maestro di praticantato Abraham Janssen (che vedeva come il fumo negli occhi Rubens, soprattutto per l’intraprendenza e la sua maggiore maestria: molti dubbi non ci sono in merito al talento). Fino a 19 anni Rombouts visse ad Anversa, poi decise di partire per conoscere il mondo e le nuove ricerche pittoriche. Dopo quattro anni è segnalato a Roma, dove prende alloggio nel quartiere di Sant’Adrea delle Fratte, nel quale operano alcuni dei maggiori caravaggeschi europei: Manfredi, Valentin, Honthorst, Van Baburen, Terbrugghen, Seghers, Tournier e Regnier. Come sottolinea Van Dam, agisce sulla sua formazione quella manfrediana methodus che consiste nel dipingere quadri con scena a mezzobusto di un gruppo di figure attorno a una tavola o altro, intente a giocare a carte, a bere, a suonare o fumare e in altre occupazioni che hanno arricchito la pittura di genere. Ne abbiamo avuto una panoramica, per quanto concerne l’ambiente romano, anni fa nella mostra a Villa Medici sui “bassifondi del Barocco”. Nel 1621 Rombouts lascia Roma e va a Firenze, dove probabilmente entra in rapporti con Ludovico Cardi, detto il Cigoli, da cui può aver preso qualche spunto formale e pittorico.

Il Museo di Gand possiede anche una terza tela di Rombouts, che in realtà viene dagli studiosi considerata una copia di bottega (il pittore aveva creato un atelier con alcuni collaboratori, e in vari suoi quadri gli studi hanno messo in luce l’intervento di altre mani); si tratta di una versione del Cavadenti, di cui se ne contano almeno altre tre, tutte simili, ma quelle del Prado e della Galleria Nazionale di Praga risultano le più importanti. Per l’occasione si sono scomodati gli Uffizi prestando il Cavadenti che, dopo trentennale battaglia di Mina Gregori, viene esposto oggi come sicura opera di Caravaggio mentre non gli s’avvicina nemmeno un po’. Due terzi almeno della tela, sulla parte destra, sono d’imbarazzante bruttezza e rozzi nell’aspetto figurativo: la parte sinistra, richiama certe fisionomie caravaggesche, ma povere di nerbo e quasi soltanto come abbozzi. Esporre quest’opera per l’ennesima volta senza nessun dubbio di autografia, considerando poi che con Rombouts non ha niente da spartire, può servire soltanto se si vuole cercare una via per attribuirgli una mano pittorica che ne aumenti il peso nel catalogo del pittore; ma anche tutti i possibili candidati minori si guardano bene dal fare un passo avanti rivendicandone il merito (vedendo qualche settimana fa la mostra dedicata a Cecco del Caravaggio, per un attimo ho avuto la tentazione di chiedermi se non potesse esserci, in modo più che vago, la sua mano, anche solo come abbozzo di qualcosa poi del tutto abortito). La mostra di Gand, considerando che del pittore oggi si conoscono una quarantina di opere, di cui ventisei firmate e soltanto sette datate, è da considerarsi “completa” anche per gli opportuni accostamenti di autori coevi ( L’allegoria d’Italia del Valintin, il Cristo che caccia i mercanti dal tempio e La negazione di Pietro di Manfredi, quella di Honthorst, il San Sebastiano curato da Irene e la serva di Regnier, le due belle tele di Democrito ed Eraclito di Terbrugghen, e quella di Rubens con entrambi i filosofi, i fumatori di De Vos, I suonatori di liuto ancora di Terbrugghen, il Concerto di Tournier, la Sepoltura di Janssen, i ritratti di Rombouts e della moglie dipinti da Antoon Van Dyck). Da questi confronti, che portano le opere esposte a circa una cinquantina, emerge la bravura di Rombouts, la sua maestria tecnica e la capacità di con cadere in un tenebrismo di maniera, anzi mettendosi in luce per alcuni scampoli di natura morta e per una costanza qualitativa davvero notevole. ​

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: