mercoledì 15 dicembre 2010
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«Attualmente i rapporti tra Italia e Germania, sul piano economico, culturale o diplomatico, sono ottimi. Però se prendiamo in considerazione la storia del Novecento, ecco, è stata un muro che ci ha divisi a lungo e vale la pena chiedersi quanto lo sia ancora». Lutz Klinkhammer, responsabile del settore di storia contemporanea dell’Istituto storico germanico di Roma, interviene al convegno che si apre domani alla Camera dei deputati sui 150 anni dell’Unità d’Italia letti da una prospettiva particolare, quella appunto della relazione fra il nostro Paese e il vicino teutonico.Professore, in cosa è consistito questo muro precisamente?«Dopo il 1945 c’è stata una percezione dell’"altro" che si è basata soprattutto sull’esperienza delle due guerre mondiali. Da parte tedesca in particolare c’è stata l’accusa tacita o nascosta agli italiani di doppio tradimento e la questione della lotta partigiana, che non è stata digerita per decenni».In che senso la Resistenza è stata un problema per la Germania post-nazista?«Nel senso che, mentre in Italia la Resistenza diventava centrale nella memoria collettiva, quello che in Germania veniva ricordato era piuttosto il combattimento e il comportamento onorevole delle truppe tedesche, rimuovendo la guerra di sterminio nazista. Anche le stragi compiute dai tedeschi in Italia sono state praticamente ignorate. Ancora nei primi anni ’90, sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung, fior di lettori scrivevano negando l’eccidio di Marzabotto. Il che è eclatante, dal momento che quella di Montesole è stata la più grande strage di civili nelle zone dell’Europa occidentale sotto occupazione nazista. Anche due criminali di guerra come Walter Reder e Herbert Kappler sono stati considerati a lungo e da non poche persone in Germania come vittime di una giustizia dei vincitori che celava in realtà una sete di vendetta».È stato così da sempre, ovvero a partire  dalla fine della guerra?«In realtà è una situazione che si è solidificata e indurita negli anni ’60. Mentre in Italia si sviluppava una narrazione egemone, una sorta di canone resistenziale, grazie anche a opere di grande successo come il film Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy, in Germania si accentuava il rifiuto a considerare quello partigiano come un movimento patriottico, di legittima difesa da parte degli italiani, facendolo rientrare nella categoria del "tradimento". Un po’ come alla fine di un matrimonio in cui i coniugi si scambiano reciprocamente e in modo inflessibile l’accusa di infedeltà. In Germania è prevalso il ricordo della guerra combattuta insieme. In Italia, della guerra in cui gli italiani sono diventati vittime dei tedeschi, cercando di rimuovere anche qui il ricordo di quegli italiani che nella Repubblica di Salò scelsero di rimanere alleati dei tedeschi. Questo in sostanza è stato il muro che ci ha divisi».E ci divide ancora, secondo lei, oppure no?«Partendo proprio dall’ultimo punto, la Repubblica di Salò, direi che oggi la linea di divisione non passa più tra italiani e tedeschi ma tra italiani e italiani e tedeschi e tedeschi. In Italia a partire degli anni ’90 si è fatta strada l’idea che bisognasse parlare anche di una guerra civile (penso al libro omonimo di Claudio Pavone), un termine che fu duramente contestato all’inizio, ma che ha segnato l’incrinarsi della narrazione dominante, la quale tendeva a nascondere non solo le fratture all’interno della Resistenza ma anche fra gli stessi italiani nel biennio 1943-45. Un fenomeno simile è avvenuto in Germania, dove lentamente si è fatta strada la consapevolezza che i movimenti resistenziali nei confronti del nazismo erano patriottici. L’unificazione della Germania dopo il 1989 ha cambiato alcune cose, ma ha avuto un grande peso anche il ricambio generazionale. Poi ci sono stati contributi singoli, come il lavoro dei Verdi, che ha fatto sì che si guardassero in una nuova luce i disertori della Wehrmacht, anche loro per decenni considerati semplicemente dei traditori. Come i soldati tedeschi che passarono ai movimenti resistenziali, che hanno ricevuto un riconoscimento ufficiale un paio d’anni fa».Si va verso una nuova, reciproca comprensione, quindi?«Bisogna ancora giungere a un vero superamento delle divisioni del passato e  a fare i conti con l’alleanza dell’"Asse". Bisogna riconoscere alcune torsioni della memoria collettiva postbellica, legate a vari sviluppi politici. Si tratta di accettare, per esempio, il fatto che non tutti i soldati tedeschi hanno portato con sé un cattivo ricordi degli italiani, né tutti gli italiani hanno avuto un cattivo ricordo dei tedeschi. Il che non deve portare a minimizzare le stragi e i crimini compiuti dai nazisti e da chi li sosteneva, e mettere tutti sullo stesso piano. Da parte tedesca, in particolare, va superata l’idea del "tradimento" e dell’inaffidabilità degli italiani. Che è stata ampiamente ridimensionata a livello storiografico, ma resta radicata nella coscienza collettiva ed è pronta a riemergere nei momenti di crisi o di difficoltà fra i due Paesi».
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