lunedì 19 settembre 2011
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Nel secolo scorso, il traguardo per un bravo robot era prendere fra le dita un uovo senza fracassarlo né farlo cadere a terra. Oggi Acroban è in grado di tenere per mano un bambino conducendolo a passeggio. Il robot di ieri magari sapeva entrare in una centrale nucleare “impazzita”. Il robot di oggi, come Nao, della Aldebaran Robotics, cammina, sente, parla, riconosce i volti, afferra la palla al volo, fa felici gli studenti di informatica di Bordeaux. Viene rilanciato un tipico “robot di compagnia”, il vecchio cane Aibo (nato nel 1999) che non smentisce il proprio nome (in giapponese significa “compagno”) ed è classificato come automa “al servizio della persona”. Almeno all’apparenza, queste macchine, per lo più androidi, lavorano per migliorare la condizione dell’uomo. Spesso, al robot che lo solleva delicatamente dal letto per metterlo in poltrona, l’anziano bisbiglia : «Sei proprio “il mio fratello robot”». Insomma vanno forte le macchine sofisticate che sanno anche mostrare “affetto”. Ma si tratta di un vero beneficio, per gli esseri umani? Niente di più controverso, perché ora c’è chi lo nega.Il fascino dei robot cresce in quanto queste creature dell’uomo possono raggiungere livelli di particolare perfezione colmando vuoti e ricavandosi compiti nuovi. L’istituto di Biorobotica della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa ha realizzato, insieme con la St Microelectronics, uno speciale robot-giocattolo. Dal modo in cui i bambini l’afferrano e ci giocano, la macchina è in grado di scoprire anomalie neurologiche e patologie autistiche della prima infanzia. Con un notevole guadagno di tempo per la terapia. I robot intervengono oggi in molti punti critici. Dal laboratorio congiunto realizzato tra l’istituto di Biorobotica e la St Microelectronics è uscito l’utilissimo Dust-Bot, il robot autopilotato, usato con successo dal 2009 in città di tutto il mondo per la raccolta selettiva dei rifiuti (i comuni italiani sono interessati ed è facile crederlo). Nel laboratorio congiunto spiccano anche “il polpo-robot” (sarà impiegato per chiudere valvole da cui fuoriesce petrolio, perché i suoi tentacoli sviluppano una potenza simile a quella dell’animale marino) e la lampreda robotica che attraversa corsi d’acqua e penetra in anfratti irraggiungibili salvando vittime di alluvioni e di tsunami. Man mano che salgono ammirazione ed entusiasmo, comincia però a diffondersi una sottile apprensione nei confronti dei robot.A livello mondiale, si delineano due fronti contrapposti. In Oriente è praticato quasi un culto dei robot, e su di essi si fa un affidamento assoluto, quasi superiore a quello accordato agli uomini. Il Giappone, che prevede un rapido invecchiamento della popolazione, ha investito massicce risorse nella robotica di servizio. «Per il Sol Levante, i robot sono i salvatori dell’umanità, i nuovi compagni di vita», dice Jean-Claude Heudin, professore al polo universitario Léonard-de-Vinci (Paris-la Défense). In Europa occidentale, invece, non è mai piaciuta l’idea di costruire macchine che assomiglino troppo all’uomo. Nell’immaginario collettivo esercitano ancora la loro influenza certi film e lavori letterari. Karel Capek non è solo l’inventore della parola robota (“lavoro forzato”); è diventato autore di fantascienza per aver scritto I robot universali di Rossum, romanzo in cui gli automi, conseguito un certo grado di sviluppo, si ribellano alla specie umana e la distruggono. Un altro classico che ha seminato in profondità sospetti nei confronti dei robot è Metropolis di Fritz Lang; la protagonista, Maria, prima donna robot, scatena una vendetta contro il potere degli umani. Poi arriva Isaac Asimov che diffonde sentimenti di pace tra uomini e robot. Ma ora spunta un progetto di codice etico che accenderà un dibattito mai visto. È il Codice per la protezione dell’uomo dai robot. Lo sta preparando un gruppo di scienziati europei, i quali si sono accorti che, in silenzio, qualcosa sta cambiando o potrebbe cambiare. Traggono spunto dal più rassicurante tra i ruoli assegnati ai robot di nuova generazione: fare compagnia ad anziani e bambini. È una buona idea lasciare in esclusiva alle macchine il compito di «curare la nostra ultramoderna solitudine»? L’uomo vuole liberarsi anche di quell’incombenza che è la solidarietà?Il filosofo Jean-Michel Truong sente i rintocchi della campana della storia, e si domanda: «Ci si prepara all’arrivo di una specie inedita, fatta di “immortali”?». Jean-Michel Besnier, che alla Sorbona insegna Filosofia delle tecniche, va alle conclusioni politiche: «È bene che l’Europa, governi e cittadini, rifletta su questa sfida che ora balza in primo piano». Forse alcuni robot intimoriscono più di altri? Non è detto. «Abbiamo ormai tanti oggetti “intelligenti”, grandi e piccoli, che esaminati uno alla volta sono semplici protesi (come una lavastoviglie), ma nell’insieme tolgono all’uomo prerogative di valore, sacrificate in cambio del comodo automatismo», nota Besnier. Gettano acqua sul fuoco quanti non vedono sostanziali pericoli nell’avanzata dei robot. Jean-Claude Heudin rileva: «L’uomo è un essere talmente complesso che un robot non potrà mai raggiungerlo. Chi annuncia l’improponibile parità o addirittura il sorpasso, fa della pura utopia». In questo campo, rileva in sostanza Heudin, il catastrofismo è un nonsenso, è fantascienza fuori tempo massimo. I robot non sono pericolose creature piovute da chissà quale galassia. Li ha costruiti il cervello degli uomini. Sarebbe avvilente per gli umani perdere questa partita. La convivenza con robot sempre più intelligenti (ma non pari all’uomo) è un processo inevitabile. Può essere però governato con lucidità, se si comincia a metterlo sul binario giusto. L’uomo resterà uguale a se stesso? Forse, tra cybertecnologie, nanotecnologie e biotecnologie, ci si dovrà preparare a una evoluzione dell’uomo di oggi rispetto all’Homo sapiens, osserva Jean-Claude Heudin. E aggiunge: «Le nostre capacità cognitive e fisiche risulteranno alquanto potenziate. Saremo più competitivi. Qualcuno ha chiamato “eso-darwinismo” questo scatto evolutivo».
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