giovedì 13 maggio 2010
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Se pensate che nel film di Ridley Scott «Robin Hood e Little John van per la foresta…», come dice la canzoncina che accompagna il cartoon disneyano, allora preparatevi a una sorpresa. Perché l’arciere di Sherwood interpretato da Russell Crowe nel kolossal che ha inaugurato ieri la 63esima edizione del Festival di Cannes vi apparirà come non l’avete mai visto, prima che la leggenda lo trasformi nel fuorilegge che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Crowe non ha il pizzetto di Errol Flynn, la leggiadria della volpe disneyana, i capelli fonati di Kevin Costner né la barba brizzolata di Sean Connery. E di cognome fa Longstride. D’altra parte l’attore che dieci anni fa è stato il gladiatore di Scott non avrebbe mai accettato di interpretare un Robin Hood sulla falsariga dei suoi colleghi. «O pensiamo a qualcosa di totalmente diverso o non se ne fa nulla» avrebbe detto Russell al regista con il quale ha girato cinque film. E così è stato, a parte il romanticismo della storia d’amore che è rimasto intatto. Il primo shock per lo spettatore è la morte, all’inizio del film, di Re Riccardo Cuor di Leone, ucciso durante la Terza Crociata in Terrasanta. Di solito tornava per cacciare il fratello Giovanni Senzaterra, usurpatore del trono, invece qui il ladro di corone resta al suo posto e dopo aver stracciato la Magna Carta che limita i diritti del sovrano costringe Robin Hood e la sua banda di ribelli, lady Marion compresa, a rifugiarsi nella foresta. Perché, come viene più volte ribadito nel film, bisogna resistere e ribellarsi finché gli agnelli non diventeranno leoni. Un finale aperto dunque, che lascia intravedere l’inizio della storia che tutti conosciamo. «Non abbiamo progetti di sequel nel cassetto – ha detto ieri Crowe che ha accompagnato il film sulla Croisette insieme a Cate Blanchett e al produttore Brian Grazer, mentre Scott è rimasto a casa per colpa di un’operazione al ginocchio – ma qualcuno dei produttori ci sta sicuramente pensando e se alla gente il film piacerà, allora ci penseremo anche noi». E chi si aspetta combattimenti tra gli alberi troverà invece scene che ricordano stermini nazisti nei campi di concentramento e una spettacolare battaglia davanti alle scogliere di Dover che rimanda allo sbarco in Normandia di Spielberg, all’inizio di Salvate il soldato Ryan. Curioso che a inaugurare il festival d’oltralpe sia un film così antifrancese (i tradizionali nemici degli inglesi sono manipolatori e traditori), ma questa è la dimostrazione della potenza del cinema, dice Grazer. Capostipite di coloro che lottano per difendere la libertà contro la tirannia del potere e per il diritto alla legalità e a un buon governo, l’eroe di Scott è dunque meno principe dei ladri e più politicamente impegnato. «Dopo aver capito che era finalmente arrivato il momento di riportare Robin Hood sullo schermo – dice Crowe – la cosa che mi stava più a cuore era comprendere e spiegare le motivazioni profonde che hanno spinto quell’uomo a diventare un ribelle e che nei film precedenti su questo eroe non sono mai chiarite. Se vivesse ai giorni nostri Robin Hood combatterebbe contro i politici, oppure contro gli squali di Wall Street, ma forse ancora di più contro il controllo e la manipolazione dell’informazione». Intanto, a proposito di politici,  l’Associazione  100Autori in una nota si schiera dalla parte di Sabina Guzzanti, che oggi presenta il contestato Draquila e invita ministro della Cultura Sandro Bondi «a dimettersi». Il ministro replica: «Liberi di chiedere le mie dimissioni, libero anch’io di non andare a Cannes per rendere omaggio ad una pellicola che ha la sola qualità "artistica" di dileggiare l’Italia e gli italiani».
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