giovedì 14 aprile 2011
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C’è attesa per rivedere la Cappella Maggiore libera dalle impalcature. I turisti, ma anche i fedeli di Santa Croce, da 5 anni fissano quei ponteggi in fondo alla navata centrale. Ne dovranno aspettare ancora uno, il tempo per dare l’opportunità a molti di ammirare a distanza ravvicinata gli affreschi di Agnolo Gaddi tornati all’antico splendore. L’Opera di Santa Croce e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze annunciano infatti la conclusione del restauro del ciclo di pitture della Leggenda della vera Croce e per 12 mesi manterranno in piedi il ponteggio per vivere da vicino, attraverso visite guidate e su prenotazione, gli effetti del paziente lavoro. Nell’ex refettorio della basilica francescana, l’esito del restauro e la nuova iniziativa saranno presentati da Stefania Fuscagni, presidente dell’Opera di Santa Croce, da Cristina Acidini, soprintendente del Polo museale fiorentino e ad interim anche dell’Opificio delle Pietre Dure, da Maria Rosa Lanfranchi, coordinatrice del cantiere, da Massimo Chimenti, di Cultura Nuova srl e da Cecilia Frosinini, direttore del settore restauro delle Pitture murali dell’Opificio. In modo particolare saranno ringraziati Takaharu Miyasita (studioso dell’arte fiorentina ed estimatore dell’Opificio), l’Università di Kanazawa e il mecenate giapponese Tetsuya Kuroda «per l’imprescindibile apporto scientifico ed economico». Grazie infatti ad una convenzione stipulata tra l’Opificio delle Pietre Dure, l’Opera di Santa Croce e l’Università di Kanazawa in Giappone, fu possibile nel 2005 avviare il progetto di restauro e studio sul ciclo di affreschi che Agnolo, figlio di Taddeo Gaddi, uno dei principali allievi di Giotto, dipinse tra il 1380 e il 1390 dando vita, su quasi mille metri quadrati, a uno dei «testi fondamentali della pittura tardogotica fiorentina», cioè di quella breve stagione, tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento, che accoglie le innovazioni che arrivano dall’Italia settentrionale e dal nord Europa rivivendole e trasformandole alla luce della grande eredità giottesca. Tra l’altro la direttrice Frosinini Quest’ultima ha dichiarato che durante il restauro «riteniamo di aver individuato un volto molto somigliante a quello di Giotto», che Agnolo – nato probabilmente intorno al 1350 – considerava un po’ come il «nonno», visto che suo padre Taddeo fu discepolo appunto di Giotto. Agnolo Gaddi è autore di numerose pitture murali, tra cui l’ultimo ciclo in affresco, tra il 1392 e il 1395, per la cappella del Sacro Cingolo del Duomo di Prato; morì nel 1396. La Leggenda della Vera Croce rappresenta un complesso di storie riprese dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (1228-1298). La redazione pittorica più conosciuta è quella di Piero della Francesca nella basilica di San Francesco ad Arezzo, dipinta a partire dal 1452, ma quella di Gaddi, oltre ad essere antecedente, comprende un numero maggiore di episodi. La leggenda narra del «sacro legno» usato per la croce di Gesù: tratto dall’albero nato sulla tomba di Adamo, il re Salomone lo usò per costruire il Tempio, quindi finì in un ponte che la Regina di Saba – venuta a trovare Salomone – per una visione si inchina ad adorare. La leggenda continua 300 anni dopo la morte di Gesù, con la regina cristiana Elena, madre dell’imperatore Costantino, che ritrova la croce in Terra Santa. Successivamente la reliquia sarà trafugata dal re persiano Cosroe e l’imperatore cristiano Eraclio (575-641) farà guerra per riportarla a Gerusalemme. Il ciclo di affreschi non aveva mai subito interventi moderni di restauro; si hanno notizie solo di una ricognizione eseguita nel 1946 e di un intervento dopo l’alluvione nel 1966, quando le acque dell’Arno raggiunsero il basamento della Cappella. Erano invece molto chiare le tracce di interventi ottocenteschi e il grave stato di degrado.
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