giovedì 6 settembre 2012
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​Un tempo erano le avanguardie: radicali sul fronte del messaggio evangelico, pioniere nell’attenzione, anche mediatica, verso quel "terzo mondo" che hanno contribuito a rappresentare in modo meno stereotipato e più profondo. Le riviste missionarie, alcune delle quali dalla storia ultracentenaria, costituiscono un’esperienza fondamentale all’interno del panorama informativo italiano: con il loro sguardo "di prima mano" sugli esteri e su tante frontiere riconosciute spesso in anticipo – dal variegato fronte dei diritti umani al dialogo tra fedi e culture –, esse rappresentano un patrimonio a cui anche il resto della comunicazione continua a guardare e ad attingere.Eppure, anche la stampa missionaria oggi si trova a fare i conti con le sfide epocali lanciate da una contemporaneità complessa: quella della crisi economica, che stringe forzatamente i cordoni della borsa (a maggior ragione per iniziative che non siano decisamente "profit"), ma anche quella, ben più profonda e strutturale, dei nuovi media, che stanno forgiando uno scenario comunicativo inedito, in cui non sono cambiate solo le modalità di trasmissione delle notizie, ma anche gli stessi attori dell’informazione: basti pensare ai social media come Facebook o Twitter. In questo contesto completamente rivoluzionato, allora, c’è ancora spazio per le riviste "dei missionari"? La provocazione è stata lanciata proprio dalla più antica testata italiana del settore, il mensile del Pime Mondo e Missione diretto da Gerolamo Fazzini, che alla spinosa questione ha dedicato il servizio speciale dell’ultimo numero. A partire anche da alcuni dati inequivocabili: la scelta di qualcuno di cessare le pubblicazioni, come Afriche della Sma e Missioni Francescane, o quella di diradare le uscite, compiuta ad esempio da Amico (rivista per ragazzi della Consolata) o da Missionari del Pime. «Perché e come continuare a fare informazione e comunicazione missionaria oggi? Con quali obiettivi?», è stata la domanda di partenza, rilanciata da Mondo e Missione (che oggi distribuisce in media 7.500 copie mensili) in primis agli altri protagonisti di questo variegato mondo, in cui opera un numero notevole di giornalisti professionisti.«Noi abbiamo un approccio all’informazione non consumistico, che cerca di essere più aderente alla verità e più approfondito, a sostegno di stili nuovi di vita. Abbiamo ancora una parola diversa da dire», mette in chiaro padre Luigi Anataloni, coordinatore della Federazione della stampa missionaria italiana (Fesmi, che riunisce 42 testate) e direttore di Missioni Consolata (53 mila copie, inviate a chi fa donazioni all’istituto). Senza però negare l’entità delle difficoltà da affrontare: «Abbiamo calcolato che, con l’innalzamento delle tariffe postali, le riviste della Fesmi pagano un milione di euro in più alle poste», tanto per dirne una. Ma c’è dell’altro: l’essere «ancora troppo deboli sull’on-line», ad esempio, o non riuscire a «proporre una maggiore collaborazione tra le riviste, senza che ciascuno perda la propria identità». I numeri, tutti insieme, in effetti sarebbero da "massa critica": centinaia di migliaia di lettori – tra cui quelli delle testate di Missio, l’organismo della Cei per la pastorale missionaria: Popoli e Missione, Il ponte d’oro e La strada, dirette dal comboniano Giulio Albanese –, accomunati da una forte sensibilità ai temi della promozione umana e della giustizia. Ma unire le specificità dei singoli istituti, diversi dei quali realizzano più di una pubblicazione, non è facile. E, per certi versi, sarebbe un impoverimento. «Oggi riusciamo a far circolare molta più informazione, ma la rivista soffre», racconta padre Franco Moretti, fino a luglio direttore della comboniana Nigrizia (18 mila copie di tiratura, 12.500 delle quali in abbonamento). In compenso, le realtà riunite oggi nella Fondazione Nigrizia sono variegate e interessanti: tra l’altro ci sono i siti Nigrizia.it e Bandapm.it, Afriradio, il Centro di produzione audio e video… «Ci vorrebbe un giornalista qualificato a tempo pieno anche per l’on-line - sostiene padre Moretti - ma costa troppo». Il budget - con la difficoltà nella raccolta pubblicitaria e il calo delle donazioni, effetti della crisi - è senz’altro il tallone d’Achille comune. Ma la forza del messaggio non smette di cercare vie di espressione. Con le sue 2.500 copie (di cui 2.000 in abbonamento), Missione Oggi, dei Saveriani, è la più piccola tra le riviste missionarie italiane: «Non è un magazine di attualità, ma un periodico di riflessione e di opinione che si è progressivamente ricavato un suo spazio», spiega il direttore, padre Mario Menin. Il pubblico? Soprattutto «gente di un buon livello culturale, impegnata nell’ambiente ecclesiale, in movimenti di solidarietà, in campagne per la pace e la giustizia». Orientata sul Continente nero è invece Africa, la rivista dei Padri Bianchi. Con un occhio alternativo: si raccontano «i volti meno conosciuti e più curiosi dell’Africa, con uno sguardo sulle Chiese del Continente. L’idea è di staccarci dai cliché di un’Africa fatta di povertà e tragedie», racconta il direttore padre Paolo Costantini. Per farlo, si sperimentano anche strumenti nuovi, come il concorso fotografico "Africa in movimento", che permette al pubblico di votare le immagini più belle tramite Facebook.Proprio le nuove tecnologie sono uno dei fronti su cui sta provando a misurarsi Popoli, (6 mila copie, quasi tutte in abbonamento) la testata dei gesuiti, un "editore" un po’ peculiare nel panorama missionario, come nota il direttore Stefano Femminis: «Il nostro taglio più generalista e in qualche modo più "laico" ci consente di entrare in contatto con una fascia di lettori non necessariamente inseriti nella vita ecclesiale». Una linea che si riflette nelle scelte fatte in campo multimediale: circa 2.300 persone sono in contatto con Popoli attraverso Facebook e Twitter, mentre 1.500 sono iscritte alla newsletter settimanale. «Nel 2011 siamo stati la prima rivista cattolica italiana ad attivare su iPad un’edizione bimestrale», continua Femminis. Bilancio? «Luci e ombre. Da un lato sembra strategico essere presenti in un mondo dalle grandi potenzialità di crescita. Dall’altro, una presenza incisiva richiederebbe investimenti che sembrano fuori portata». E allora, come istituti missionari, «perché non provare a unire forze e competenze in un settore totalmente nuovo come questo?».
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