giovedì 13 marzo 2014
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Un italiano, sta portando la “vera rivoluzione” in Cina. Si tratta di Renato Canova, piemontese, classe 1944, Lecturer della Iaaf, che, con trentotto medaglie raccolte in carriera, è l’allenatore più medagliato dell’atletica mondiale di tutti i tempi. Dallo scorso 28 ottobre è responsabile della Nazionale cinese, dal mezzofondo alla maratona sia maschile che femminile, a cominciare dagli juniores.«Per la prima volta abbiamo formato una squadra nazionale cinese - almeno come la intendiamo noi - e, coincidenza, il primo raduno è stato fatto a Jiangxi, dove è iniziata la famosa marcia di Mao», racconta Canova dal ritiro di Cantalupa, paese a 8 chilometri da Pinerolo, in Piemonte, il neonato quartier generale della Federazione cinese in Europa per il settore mezzofondo e fondo, allestito per preparare i prossimi Giochi Asiatici - in Corea a fine settembre - e le altre competizioni internazionali, come il Campionato del mondo di mezza maratona del 29 marzo a Copenaghen e le Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016. «Si tratta di un discorso di rifondazione delle specialità della corsa – spiega Canova – sulla base di concetti e metodologie di allenamenti più moderni. Ma, soprattutto, sulla base di una nuova organizzazione all’interno della Federazione cinese. Uno dei miei progetti riguarda le scuole di reclutamento degli atleti, perché da quelle parti i club non esistono». E per gli atleti l’avvio di un approccio culturale diverso rispetto a quello abituale. «Durante il periodo in Kenia, fra gennaio e febbraio – sottolinea Canova –, si è evidenziata una netta differenza all’interno del gruppo fra chi ha stimoli e chi non ne ha. Per molti la corsa è diventata una routine, simile a un lavoro da impiegati, senza più stimoli e passione. Io, invece, esigo gente che abbia passione, e voglia di correre, di allenarsi e fare sacrifici». Indispensabili per affrontare un settore sempre più competitivo e nuove sfide come i Campionati del Mondo di Cross. «Il prossimo anno si svolgeranno in Cina, però la Cina non ha una squadra di cross», rivela Canova consapevole dell’impegno gravoso che lo attende. «Vanno riviste molte cose. A livello mondiale in questo momento i cinesi sono gli studenti mentre i keniani sono i maestri. Se vuoi imparare a correre bisogna andare in Kenia. I corridori degli altipiani devono ancora imparare molto, però, hanno una forma di sensibilità nei confronti del loro corpo che noi non avremo mai. Ma bisogna fare attenzione a non cadere nel più banale dei luoghi comuni sostenendo che sia facile allenare un africano. Non lo è affatto, anche perché all’africano non chiedi di battere un record qualsiasi ma il record del mondo». Al di là del fattore genetico ciò che maggiormente incide sul rendimento di un atleta è l’allenamento: è uno dei punti fermi della filosofia del tecnico piemontese. «Una delle cose che mi fanno arrabbiare maggiormente è la questione del doping. Perché ad un certo punto tutti studiano il suo effetto, mentre vorrei che qualcuno parlasse dell’effetto dell’allenamento. Io non credo al doping sano perché conosco l’effetto dell’allenamento. Tra gli atleti che alleno ben cinque hanno stabilito il primato del mondo e nessuno di loro ha mai preso sostanze vietate ma, nemmeno quelle legali. Ricordo che Gelindo Bordin quando aveva mal di testa, una volta gli ho portato una pastiglia, lui l’ha rifiutata dicendomi “voglio vedere chi vince tra me e il mio mal di testa”. Quando si ha quel tipo di mentalità l’esclusione del doping è una logica conseguenza». A proposito degli atleti cinesi si parlava di passioni e stimoli,ma  pare siano venuti meno anche in Italia. «Diciamo che in tutto il mondo occidentale si cerca di migliorare la qualità della vita. Questo fattore contrasta o addirittura porta alla cancellazione della fatica fisica. L’urbanizzazione è oggi la nemica numero uno dell’espressione atletica di fatica. Così in Italia non si vuole più fare fatica. A livello di maratona o mezzofondo c’è ben poco, mentre nelle altre discipline c’è solo qualche giovane di buona speranza». Negli ultimi tempi si parla molto del muro delle due ore, nella maratona, che potrebbe essere abbattuto. «La barriera delle due ore resisterà ancora per altri 20 o 30 anni. Non si lega ad uno sviluppo metodologico, perché lì siamo già al massimo, piuttosto si può legare all’arrivo di nuovi fenomeni». 
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