lunedì 16 ottobre 2017
Per la prima volta, grazie alla rilevazione delle onde gravitazionali, è stato possibile risalire alla fusione di due stelle di neutroni: un evento teorizzato da più di 30 anni
Captate onde gravitazionali dalla fusione di due stelle di neutroni
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Astronomi di mezzo mondo sono riusciti a osservare la luce di un evento che ha prodotto onde gravitazionali. Grazie alla collaborazione dei più grandi telescopi al mondo, sia terrestri che spaziali, che ai due rilevatori di onde gravitazionali attualmente in attività, l’osservatorio LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) dell'NSF negli Stati Uniti d'America e l'Interferometro Virgo in Italia, si è riusciti non solo a rilevare un nuovo “treno” di onde gravitazionali, il quinto dal 2016, ma anche a localizzarne la posizione in cielo e ad osservare a varie lunghezze d’onda il risultato del fenomeno che le ha generate. Il tutto è iniziato il 17 agosto scorso quando LIGO e Virgo, subito dopo aver rilevato le onde gravitazionali hanno definito la posizione della sorgente di quell’evento. Si trovava all’interno di in un'ampia regione del cielo australe.

Per avere un’idea si trattava di un’area grande parecchie centinaia di volte la dimensione della Luna piena, così grande da contenere milioni di stelle.

Dopo pochissimi minuti dall’evento però, sono stati puntati verso quella regione di cielo i telescopi spaziali Fermi (Fermi Gamma-ray Space Telescope) della NASA e INTEGRAL (INTErnational Gamma Ray Astrophysics Laboratory) dell'ESA, i quali hanno rilevato un “lampo di luce gamma breve” (ossia lampi di energia ad elevatissima intensità, ma di durata estremamente breve). Con il calare della notte nelle diverse parti del pianeta sono entrati in azione i più grandi telescopi al mondo che hanno permesso un’indagine del fenomeno senza precedenti. Dal telescopio italiano REM (Rapid Eye Mount) installato all'Osservatorio di La Silla dell'ESO a VISTA (Visible and Infrared Survey Telescope for Astronomy) e VST (VLT Survey Telescope) dell'ESO, dall'Osservatorio del Paranal, al telescopio LCO da 0,4 metri di diametro all'Osservatorio di Las Cumbres, all'americano DECcam all'Osservatorio Interamericano di Cerro Tololo. Tutti alla caccia delle radiazioni luminose o infrarosse provenienti dall’oggetto in questione.

Chi per primo è riuscito a rilevare la luce visibile del fenomeno è stato il telescopio Swope da 1 metro di diametro. La sua caccia lo portava ad osservare un oggetto molto vicino alla galassia NGC 4993, una galassia lenticolare nella costellazione dell'Idra. Ciò rende la sorgente come l'evento di onde gravitazionali più vicino mai visto finora e uno dei più prossimi lampi di luce gamma mai osservato. Immediatamente dopo Swope il telescopio VISTA identificava la stessa sorgente a lunghezze d'onda infrarosse. Poi è stata la volta anche dei telescopi delle Hawaii e di un’altra settantina di osservatori professionali.


Di cosa si trattava? Incrociando i dati a disposizione si è potuto affermare che all’origine delle onde gravitazionali arrivate a Terra vi era stata la fusione di due stelle di neutroni in un’unica stella (fino ad ora erano state captate onde gravitazionali prodotte dalla fusione di buchi neri). Le stelle di neutroni sono corpi celesti molto densi e di piccole dimensioni. Per avere un’idea basti pensare che per la maggior di esse la massa equivale a 3 volte quella del Sole, ma il loro diametro non supera una decina di chilometri. Esse nascono in seguito al collasso gravitazionale del nucleo di una stella massiccia, si ha cioè l’addensamento del loro nucleo nel momento in cui vengono meno, per mancanza di materiale, le reazioni di fusione nucleare. La ciclopica forza gravitazionale, che non viene più contrastata dall’energia termica delle reazioni nucleari che erano attive nel corso della vita della stella, preme i nuclei atomici fra loro portando a contatto le particelle subatomiche, al punto da fondere gli elettroni con i protoni trasformandoli in neutroni.

Le conseguenze dello scontro galattico tra due stelle di neutroni erano previste da un punto di vista teorico già da oltre 30 anni, tant’è che era stato coniato il termine “chilonova” per l’oggetto che ne deriva, ma mai fino ad ora si aveva avuto la possibilità di osservarne una. Questi fenomeni producono energie così elevate da originare gli elementi più pesanti che vi sono nell’Universo, dall’oro al platino fino al cesio, che poi, dispersi nelle nubi planetarie, finiscono nei pianeti di nuovi sistemi solari. I colori della chilonova sono passati da un blu al rosso nel corso dei giorni successivi, un cambiamento più rapido di quanto mai osservato in un'esplosione stellare. Spiega Stephen Smartt, che guidava le osservazioni con l'NTT di ESO: "Quando lo spettro (ossia la scomposizione della luce dell’oggetto) è comparso sui nostri schermi mi sono reso conto che questo è l'oggetto più strano che io abbia mai visto. I nostri dati, insieme a quelli di altri gruppi, hanno dimostrato che quanto osservato non era una supernova o una stella variabile, ma qualcosa di veramente notevole”. La caccia alla controparte delle onde gravitazionali ha infatti permesso di trovare un oggetto mai osservato prima. Elena Pian, astronoma all'INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), e prima autrice di uno degli articoli pubblicati da Nature ha detto: "Ci sono rare occasioni in cui uno scienziato ha la possibilità di assistere all'inizio di una nuova era. E questo è uno di quei momenti".

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