domenica 19 aprile 2020
Il vuoto di un’altra domenica senza campionato proviamo a riempirlo “collegandoci” con casa Galeazzi, Pizzul, Dotto e Pardo: quattro radiotelecronisti che sono parte della storia dello sport e del co
Il giornalista Giampiero Galeazzi

Il giornalista Giampiero Galeazzi - Ansa

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La domenica non è più domenica senza i narratori storici microfonati della tribuna stampa, quei personaggi epici della radiotelecronaca della domenica che hanno fatto la storia del calcio e del costume nazionale. In questa sfiancante resistenza collettiva alla quarantena – senza fine – , le lacrime e le paure, lasciano spazio al sorriso, riascoltando la voce inconfondibile del Bisteccone Rai. Giampiero Galeazzi Il video virale del podista inseguito dal carabiniere sulla spiaggia di Pescara è un pezzo da cineteca, ma solo perché il commento della rincorsa disperata, con fuga senza vittoria (ma con fermo), è quello delle Olimpiadi di Sydney («oro olimpico nel K2 di Bonomi e Rossi») dell’amato Bisteccone. «L’ho vista e rivista quella scena, e mi sono divertito molto. L’altra mattina per un attimo mi ha fatto dimenticare anche della morte del caro Franco (Lauro). Era il collega più elegante e pacato di Rai Sport. Franco mi chiamava tutti i giorni per sapere come stavo... Nelle mie condizioni di salute, questa contro il virus è una partita di doppio che gioco da singolo». Battuta regolare, di chi nella sua lunga carriera di aedo televisivo dei “gesti bianchi” ha tradito il tennis una sola volta, ma lo ha fatto per la sua squadra del cuore, la Lazio. Esattamente vent’anni fa, maggio 2000, la domenica in cui la Lazio vinse il suo 2° scudetto, Galeazzi furtivamente abbandonava la postazione del Foro Italico dove era in corso la finale maschile degli Internazionali di Roma, «una noia mortale, Norman– Kuerten, vinse Norman» e si precipita nel vicino stadio Olimpico. «Quando ho visto sul monitor che la Lazio aveva battuto la Reggina e i tifosi stavano tutti in campo in attesa del finale di Perugia–Juventus – con gli umbri che nel diluvio del Curi vincevano 1–0 – non ho capito più niente... Con la radio in spalla e la voce di Cucchi che mi aggiornava da Perugia, ho fatto un cenno al cameraman che stava a bordo campo del Centrale e gli ho detto « annamo all’Olimpico, daje! ». Abbiamo corso quei quattrocento metri all’impazzata – sorride –, come il “centome-trista” di Pescara. Nel tragitto ci ha fermato un frate tifoso laziale che non stava nella pelle, gridava al miracolo! E infatti poi la Lazio vinse lo scudetto. Il 3° tricolore laziale? Chissà... Certo Lotito non è credibile quando dice che bisogna tornare subito in campo. Prima viene la salute, e io ne so qualcosa...». Per stare bene in queste domeniche senza calcio si rifà con scorpacciate di tv: «Zompo da un film di mala a qualche vecchia partita della Nazionale. Mi sono rivisto i Mondiali di Giappone e Corea del 2002: quel farabutto dell’arbitro Moreno che elimina l’Italia. Meglio rivedere la mia intervista a Maradona il giorno del primo scudetto del Napoli: noi due asserragliati nello spogliatoio del San Paolo dove c’arrivai dopo che i celerini mi avevano riempito di botte, pensavano che volessi rapire a Diego... Con Maradona anche al Mundial di Messico ‘86, gli vado incontro e gli chiedo: Diego che colore ha un gol mondiale?. E lui al volo: “Azzurro, come il cielo di Napoli” che paravento... La prima cosa che faccio quando finisce ‘sta congiura? Voglio andare a Testaccio, a mangiare gli spaghetti alla amatriciana alla Piccola Amatrice, la signora mi aspetta».

Bruno Pizzul Linea alla casa natale di Cormons del Bruno nazionale. «Qui mi manca la scopa d’asso che giocavo a Milano con il mio grande amico Gianni Mura, ieri lo ricordavamo al telefono con Gigi Garanzini... Con gli amici del Bar di Arrigo abbiamo progiore vato a giocare a briscola e tressette collegati al computer, ma le carte sono come i giornali, devi tenerle in mano per leggerle e provare il gusto della partita... Mi aggiro tra la casa e il giardino, afflitto da tassi di antica pigrizia e dal dispiacere che la situazione non si stia ancora sbrogliando, la gente continua a morire di Coronavirus... ». A Cormons, per fortuna quasi zero casi. Assai più colpito il calcio con le sue rose di asintomatici: «Eppure dal Palazzo in quel caso lo corre il telecronista... Ricordo un Juventus– Verona di Coppa dei Campioni a Torino, a porte chiuse, in cui mi sincerai di non far posizionare i microfoni direzionali a ridosso delle panchine perché prevedevo quanto avvenne: un florilegio di bestemmie, da ambo le parti, che per fortuna rubricammo alla voce “non pervenute” al pubblico da casa». Sorride Pizzul che nell’attesa della “liberazione” vive di amarcord, come quello scudetto del Cagliari del ‘70. «Mi auguro che tutto finisca in tempo per assistere alla comunione di mio nipote: è a fine maggio, a Milano. ho l’impressione che non siano così sensibili alle esigenze primarie. Ipotizzano situazioni di ripresa basate su un ottimismo eccessivo: la parola “ripartenza” dei campionati, dal gergo calcistico è stata travasata in quello di uso comune sulla “virulenza” di questo Covid–19. Mi pare assurdo ascoltare trasmissioni sul calciomercato, così come non è accettabile sentire di allenamenti a gruppi di sette calciatori alla volta o di partitelle senza contrasti per evitare il contagio. Un calcio a porte chiuse? È quanto di più triste si possa immaginare, il pericolo mag- Lo spero vivamente. Mandi!».

Emanuele Dotto Linea a Genova, alla voce storica di Tutto il calcio minuto per minuto. «In questo momento anche il calcio è “pandemico”, mi sono visto una partita registrata dell’Atletico Madrid, e stavo male: hanno battuto un corner e la palla è tornata nell’area opposta tra le mani del portiere dell’Atletico. E questo sarebbe il bel calcio del guru Simeone? Mi mancano di più le radiocronache del ciclismo. Il Giro, il Tour, la Parigi–Roubaix, ma più di tutti il Fiandre: un milione di belgi in strada a seguire la corsa in un Paese di 8 milioni di abitanti. Uno spettacolo unico. Il più bel posto da dove ho trasmesso? La Tasmania, un paradiso terrestre, ma ricordo anche un tramonto da brividi a Lake Barringhton per una gara di canottaggio degli Abbagnale. C’era anche Galeazzi, e io a fianco a lui ero “Bistecchino” – sorride – . A Neuchatel prima di Svizzera–Italia di Coppa Davis, Parolo Bertolucci mi profetizzò: “Emanuele, lo vedi quel ragazzino lì? L’ho visto palleggiare credi a me, diventerà il n.1 del mondo”. Era il 17enne Roger Federer. Ma è grazie a Galeazzi e a Panatta che, senza accredito, ho messo piede per la prima volta a Wimbledon. Alle 17 servivano fragole con panna, roba da duchi di Windsor – sorride divertito – alla mia prima cucchiaiata Galeazzi era al quinto giro. Anche il mio mito dello sport è britannico, sir Steve Redgrave, canottiere leggendario, cinque medaglie d’oro in 3 discipline: gran signore mi invitò a un party e mi presentò al primo ministro Tony Blair che volle conoscermi e parlare della sua squadra del cuore, il West Bromwich Albion... Il Coronavirus mi ha portato via tanti amici, a cominciare dal professor Andrea Chiappuzzo con il quale ho condiviso cene memorabili con il grande Vujadin Boskov. Cosa direbbe Boskov ora? “Soldato che fugge, buono per altra battaglia” », troppo forte Boskov».

Pierluigi Pardo A chiudere, Milano, con il “the voice” del calcio Mediaset e padrone di “Tiki–Casa”, la versione domestica – nell’emergenza – della sua trasmissione Tiki Taka”. «Inganno il tempo leggendo, suonando il pianoforte, tenendo videolezioni di giornalismo per la Iulm e poi faccio i collegamenti al lunedì da “Tiki–Casa”, appunto. Partite in tv poche. Mi sono visto i Mondiali di Germania 1974, l’anno in cui sono nato, e quell’Italia–Haiti del gestaccio di Chinaglia a Valcareggi quando lo sostituisce. Quando tornerò in telecronaca? Siamo nelle mani di Dio e della scienza. Come dimostrano i focolai scaturiti da San Siro (Atalanta–Valencia di Champions) e dalle Final Eight di Coppa Italia di basket a Pesaro, lo sport italiano è stato direttamente toccato dal Covid–19. Dobbiamo pregare in solitudine, come ha fatto il Papa celebrando la Messa in una Piazza San Pietro deserta, ma con 17 milioni di italiani davanti alla tv. Epocale... Appena finisce tutto torno a Roma da mia madre e poi scappo a rivedere il mare». Linea allo studio... e ridateci presto le voci della domenica.

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