martedì 29 settembre 2015
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Nel bel film Margin Call di J.C. Chandor sull’attuale crisi economica, lo spettatore osserva sgomento che più si sale ai vertici della finanza e meno si ritrova competenza, intelligenza, serietà, senso della responsabilità e dell’umanità; una sorta di «banalità del potere», quasi di anonimato dell’economia.  È la stessa suggestione da cui parte Laura Pennacchi  nel saggio appena pubblicato, Il soggetto dell’economia. Dalla crisi a un nuovo modello di sviluppo (Ediesse, pp.318, euro 16) in cui analizzando «La crisi senza fine» – titolo del primo capitolo – che ha investito i Paesi occidentali dal 2007, cerca di trovare una possibile soluzione che risponda a questa assenza appunto di un «soggetto dell’economia », al fatto cioè che «l’agente economico del neoliberismo non è un soggetto ma una macchina calcolatrice che massimizza mezzi dati rispetto a fini dati, senza riflettere né sui mezzi, né sui fini».  Classe ’48, Pennacchi ha alle spalle un passato di donna di sinistra molto attiva nel campo dell’economia, del sindacato e della politica (è stata anche sottosegretario al Tesoro con Ciampi ministro), un’esperienza che pesa nella serrata critica che muove anche alla sua parte, in un moto di rivolta contro la diffusa rassegnazione agli standard imposti dal neoliberismo dilagante: «Il trinomio lavoro/ persona/welfare esprime il baricentro della grande 'civiltà del lavoro' a cui le Costituzioni del secondo dopoguerra hanno offerto il fondamento politico-costituzionale e il quadro cognitivo e teorico. La rimessa in discussione dell’idea di persona – che tanto deve al personalismo cristiano – è ciò a cui punta il neoliberismo». Lo dice pure la dottrina sociale cattolica. «Infatti le parole vibranti di papa Francesco sul neoliberismo come 'economia che uccide' sono un squarcio nel conformismo, alla timidezza, al torpore, alla subalternità che affliggono la nostra contemporaneità, anche a sinistra. Dobbiamo prendere atto che il neoliberismo è da un lato dissipazione enorme di 'beni comuni' specie ambienta-li, dall’altro drammatica sottoproduzione di 'beni pubblici', collettivi e sociali. Bisogna lavorare per costruire un nuovo modello di sviluppo. Tornare alla 'cura' vuol dire avere consapevolezza che nessun agente agisce come un homo oeconomicusde-soggettivizzato, ma che tutti i soggetti sono costitutivamente segnati dalla fragilità, l’interdipendenza, la relazionalità, quindi non in grado di esistere se non ricevendo ed esercitando 'cura'». Nella critica al neoliberismo lei riparte da Kant e dall’affermazione dell’uomo come fine e non mezzo. Non risale un po’ troppo indietro? «Compio un forte investimento sull’illuminismo e su Kant, sostenendo che l’illuminismo – e la modernità – non è un tutto omogeneo, ma un 'campo di tensioni' plurimo e diversificato e che esistono filoni trascurati dell’illuminismo (quelli basati sull’empatia e i sentimenti morali) che vanno riscoperti. La sistemazione epistemologica positivista della dottrina economica moderna ha portato da un lato a un’inaudita desoggettivizzazione della disciplina economica – che al suo centro non ha un soggetto ma un 'mero suffisso della funzione di utilità' –; dall’altro, affermando solo la razionalità strumentale, a un’espulsione dei 'fini' dall’ambito del razionalmente indagabile e pertanto alla dissociazione fra etica ed economia. Bisogna tornare ai classici e al Keynes che invoca il primato del bene sull’utile e ammira, evangelicamente, 'i gigli dei campi che non filano e non tessono'».  Nel saggio cita l’economista Luigino Bruni: «Dell’altro è vista la ferita, non la benedizione ». La rinascita dalla crisi può ripartire solo da basi spirituali? «Bruni, ma anche Leonardo Becchetti e Stefano Zamagni, sono interlocutori preziosi, tra i pochi economisti che parlano fuori del coro main stream. Sono convintissima che la rinascita dalla crisi possa essere generata solo da basi spirituali. Per ciò nel mio libro ho voluto congiungere – in un’impresa indisciplinata e audace, al limite del temerario – economia, filosofia, antropologia, sociologia, psicoanalisi. In particolare, in polemica con pregiudizi ancora in voga in certa sinistra economicistica (che considera la spiritualità e la morale materia per il filisteismo borghese) ma anche con residui machiavellici e crociani del pensiero liberale italiano, sostengo il carattere etico-politico, non solo politico, di tante questioni odierne, la dimensione propriamente antropologica delle necessarie trasformazioni. Anche qui l’interdetto weberiano (che scinde fatti e valori) va superato e va ricercato un nuovo 'reincantamento', aperto agli apporti religiosi, per una nuova apertura affettiva verso il mondo».
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