venerdì 9 agosto 2013
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All’alba di quel 16 agosto l’operatore Adelmo Landini, una lunga esperienza maturata accanto a Marconi, si mise alla radio e cominciò a battere freneticamente sul tasto di trasmissione. Il messaggio dell’unità di cui aveva dato l’indicativo era indirizzato alle stazioni costiere americane e alla vicina torre-faro di Ambrose sulla rotta d’accesso alla Lower Bay di Nuova York: «Stiamo facendo 30 nodi», comunicò Landini. Non volle essere frainteso: «Ripeto, 30 nodi». Una nave (e che nave: 51 mila tonnellate di stazza, 268 metri di lunghezza, 29,50 di larghezza, un apparato motore a turbina da 140 mila cavalli) si era lasciata l’oceano dietro la poppa e filava verso il porto di destinazione alla velocità di 30 miglia nautiche all’ora, 55,56 chilometri incredibili per un gigante di quelle dimensioni, un modernissimo transatlantico che batteva bandiera italiana e si chiamava Rex. Arrivato al molo con 27 ore buone di anticipo sulla tabella di marcia il Rex, il levriero dei mari come venne presto definito, conquistava il prestigioso Blue ribbon, il Nastro azzurro: nessuno prima di lui aveva attraversato più rapidamente l’Atlantico da est verso ovest: 4 giorni, 13 ore e 58 minuti da Gibilterra al faro di Ambrose, 3181 miglia bruciate alla media di 28,92 nodi nonostante la nebbia e il mare grosso che provocava un rollio di una ventina di gradi. Un miracolo dovuto sia alla potenza del propulsore che alla forma dello scafo. Il record detenuto dal tedesco Bremen (4 giorni, 16 ore e 15 minuti) veniva polverizzato.Era il 16 agosto 1933, 80 anni fa, e il transatlantico con la livrea della società Italia Flotte Riunite, nata dalla fusione di Navigazione Generale Italiana, Lloyd Sabaudo e Cosulich, entrava nella leggenda mentre esultava la nostra marineria, si inorgoglivano gli italiani d’America e salivano in parallelo le quotazioni dell’industria cantieristica nazionale. Costruito nel bacino di Sestri Ponente, varato il 1 agosto 1931, consegnato all’armatore il 22 settembre 1932, il Rex adottava soluzioni tecniche di netta avanguardia, aveva linea filante e allestimenti extralusso per la prima classe dei vip dell’epoca, raffinati per la turistica, decorosi per la terza classe degli emigranti che ancora cercavano nell’America la terra promessa. Tenuto a battesimo dalla regina Elena, fu la più grande unità mai impostata nei nostri scali prima di Costa Classica, nel 1991. Sul piano interno l’impresa da primato fu abilmente piegata ai fini propagandistici dal regime e presentata quale ennesimo successo del fascismo e della sua politica tesa ad inserire l’Italia nel grande gioco delle potenze mondiali a undici anni dalla marcia su Roma.La conquista del Nastro azzurro a spese dei tedeschi non ancora alleati valeva anche, nelle intenzioni del duce, a lanciare un monito alla Gran Bretagna da sempre dominatrice dei mari: l’Italia in camicia nera non sarebbe mai più stata seconda a nessuno. Il tripudio generale portò anche a sorvolare sul dettaglio che Mussolini avrebbe preferito che il record fosse appannaggio del Conte di Savoia, diretto concorrente del Rex. In realtà Mussolini aveva avuto inizialmente qualche ragione per dubitare delle doti di velocista della nuovissima nave, il cui viaggio inaugurale del 27 settembre 1932 aveva subìto un clamoroso stop a Gibilterra, una sosta forzata di qualche giorno per un’avaria alle turbodinamo, ma ora che il Nastro azzurro era saldamente in mano italiana grazie all’audacia (a momenti temeraria, date le condizioni del mare) del comandante Francesco Tarabotto tanto valeva trarre profitto da un’impresa esaltata in tutto il mondo. Era un dividendo che il fascismo incassava disinvoltamente, un successo che si aggiungeva sia al trionfo dell’aviatore Italo Balbo, che giusto nel luglio di quell’anno aveva condotto la sua formazione di idrovolanti S 55 dall’Italia agli Stati Uniti, sia alle performances di Francesco Agello (primatista mondiale di velocità con il suo Macchi-Castoldi), di De Pinedo, di Nuvolari... Sì, l’Italia del fascismo era diventata grande, gongolavano i gerarchi del partito. Nella dilagante euforia collettiva, a conservare il senso della misura pare sia stato proprio lui, il grande capo. «È vero, il Nastro azzurro è nostro, ma ora facciamo in modo di non perderlo subito», confidò preoccupato al genero Galeazzo Ciano. Subito no, ma nel giugno del 1935 a strappare il primato di traversata al levriero dei mari fu il francese Normandie, un bestione di quasi 80 mila tonnellate di stazza, e mai più una nave italiana riuscì ad issare il Blue ribbon al pennone più alto.Il mito del Rex sopravvisse fino al 1940, quando la guerra mise fine al traffico mercantile sulle rotte atlantiche. Dopo aver navigato solo per otto anni l’unità fu messa tristemente in disarmo a Genova e quindi trasferita a Trieste dove invecchiò, arrugginì e si deteriorò. Dopo l’8 settembre 1943 Hitler procedette all’annessione della città e di buona parte del nord-est e il Rex fu depredato di ogni attrezzatura o suppellettile e quindi rimorchiato nella rada di Capodistria. L’8 settembre 1944, bersagliata da aerei inglesi, la nave o quello che ne rimaneva prese fuoco e fu la fine, ma l’Italia in ginocchio, occupata al nord dai tedeschi e al sud dagli alleati, non aveva lacrime per piangere il suo transatlantico più prestigioso, che aveva risalito l’Adriatico una volta sola, giusto per andarvi a finire i suoi giorni. Fu pura e semplice licenza poetica quella di Fellini che in Amarcord volle il Rex protagonista di un passaggio notturno al largo di Rimini, un "inchino" acclamato da centinaia di voci estasiate da quella montagna di luci che correva fino a scomparire nel buio.
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