sabato 15 ottobre 2016
​Sì ad una Chiesa povera per i poveri, no a una «Chiesa ong». Da questa provocazione di papa Francesco è nato un cammino nuovo, di comunione e di soldarietà.
L'Italia della carità intreccia nuove reti
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Il nome è bello. Nuovo e antico insieme: Reti della Carità. Nate nell’estate del 2013, mentre l’Italia viveva una delle fasi più drammatiche della crisi economica, collegano fra loro realtà di ispirazione cristiana impegnate nella prevenzione e nella lotta alla povertà e alle discriminazioni. Solo una sigla? Un nome? Un mero contenitore? Una fabbrica di chiacchiere e sogni? No. Questa esperienza sorta dall’iniziativa della Casa della Carità di Milano – l’opera segno voluta dal cardinal Martini alla periferia della città – presto capace di coinvolgere una trentina di realtà «sorelle» dal nord al sud del Paese, ha altro respiro, natura, profondità, come spiega il volume La nascita delle Reti della Carità, curato da Maria Grazia Guida, Monica Giambersio, Luciano Perfetti e Paolo Riva (Erickson, 176 pagine, 15 euro), che viene proposto al lettore alla vigilia del primo convegno nazionale delle Reti della Carità, in programma a Bologna il 17 ottobre. A partire dagli scritti di Fabio Folgheraiter, ordinario di metodologia del lavoro sociale alla Cattolica di Milano, di don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della Carità, di Maria Grazia Guida, presidente degli Amici di Casa della Carità, e di Enrico Finzi, ricercatore sociale, tutti gli interventi raccolti nel volume scandiscono un racconto a più voci che mostra come, alla radice e all’orizzonte delle Reti, stiano un’esigenza, una sfida, uno scenario e una provocazione. Drammatici, urgenti, fecondi. Un’esigenza radicale e imprescindibile, anzitutto: essere Chiesa povera per i poveri, in cammino con i poveri, che si lascia educare dai poveri, come chiede papa Francesco. Un cammino di conversione, personale, comunitaria, istituzionale, che incontra molte resistenze. La sfida? Portare questa ispirazione al cuore della vita sociale, culturale, politica, non solo ecclesiale. Fare dei poveri, le «pietre scartate» del nostro tempo, la «testata d’angolo » di un nuovo welfare, non assistenzialista, che non fa del povero un oggetto d’attenzione, ma un protagonista; «testata d’angolo», dunque, di nuovi cammini di coesione sociale, liberazione, giustizia, pace, cittadinanza inclusiva, economia a favore dell’uomo, a partire dalle periferie, dai quartieri, dalle comunità locali. Ma facendo rete. E guardando al mondo, maniche rimboccate contro quella «globalizzazione dell’indifferenza» tante volte stigmatizzata dal vescovo di Roma, preso quasi alla fine del mondo. Lo scenario? La violenta crisi – non solo economica, ben più che economica – che negli ultimi anni ha aggredito l’Italia e l’Europa, mentre altri 'teatri' di crisi, siano guerre, miseria, persecuzioni, crisi ambientali, muovono le masse umane attraverso le nazioni e i continenti. Uno scenario che ha messo a dura prova anche molte realtà d’ispirazione cristiana impegnate con i poveri. Queste realtà, da un lato, hanno visto crescere tumultuosamente il numero di persone in difficoltà che bussano alla loro porta. Dall’altro, hanno subito la delega di sempre più ampie fette di welfare da parte di pubbliche istituzioni a corto di risorse, e di una politica ripiegata, impaurita, dal respiro corto. Nel frattempo: proprio a causa della crisi, quelle stesse realtà del terzo settore, del volontariato, del «farsi prossimo», hanno patito una contrazione delle entrate: si pensi al calo delle donazioni o al ridursi delle convenzioni. La provocazione? Viene ancora dalla voce del Papa: «La Chiesa non è una ong, è una storia d’amore! Quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una ong. E questa non è la strada». «Quella del Papa – riconosce don Colmegna – è stata una benefica provocazione, dalla quale sono sbocciate le Reti della Carità». Il primo incontro per iniziare a «fare rete» si è svolto il 28 ottobre 2013 alla Casa per la Pace di Impruneta (Firenze). Ne seguiranno molti altri (tutti documentati nel libro) in sedi differenti, dentro un cammino che è condivisione di riflessioni ed esperienze su diversi temi (povertà, periferie, economia, accoglienza, custodia del creato, giustizia restitutiva, ruolo delle donne), scambio di buone pratiche, ospitalità reciproca, tentativo di «contagiare » la realtà circostante. E impegno generoso alla «fecondazione ecclesiale». Da Pax Christi al Cnca, dalle Famiglie della Visitazione di Bologna di don Giovanni Nicolini alle Catacombe di Napoli, Rione Sanità, col parroco don Antonio Loffredo, dalla Fraternità della Visitazione di Pian di Scò (Arezzo) alla parrocchia della Resurrezione di Marghera ( Venezia), le Reti restituiscono la mappa di un’Italia – per dirla ancora con papa Francesco – che non si lascia rubare la speranza. Che nella povertà riconosce un luogo e una categoria teologica, prima che sociologica. E che nel servizio ai poveri porta una spiritualità, «un’urgenza contemplativa forte», testimonia don Colmegna. Al cammino di questi anni si uniscono alcuni vescovi (Rodolfo Cetoloni, Luciano Giovannetti, Giovanni Giudici, Francesco Savino, Gastone Simoni) e alcuni studiosi (come l’economista Niccolò Abriani, il filosofo Roberto Mancini, la sociologa Chiara Giaccardi), né sono mancati momenti di confronto schietto, di incontro fecondo con i vertici della Conferenza episcopale italiana (l’allora sottosegretario monsignor Domenico Pompili; il segretario generale Nunzio Galantino). Il cammino delle Reti è aperto, e si è aperto, anche a cristiani d’altre Chiese (come Anna Maffei, pastore della Chiesa battista), a non credenti e a credenti di altre fedi. Perché la misericordia di Dio, sottolinea don Colmegna, non si incontra «in modo intellettuale, ma toccando le piaghe dei poveri che, ci ricorda papa Francesco, sono 'la carne di Cristo'». E questa è un’idea «talmente evangelica da poter essere condivisa da persone con storie e percorsi differenti». «All’interno delle Reti della Carità – riprende don Colmegna – c’è una pluralità di esperienze che hanno una radice comune: la volontà di farsi interrogare dalla carità o, meglio, come diceva Carlo Maria Martini, dall’eccedenza della carità. E questa radice credo sia capace di unire fedeli di religioni diverse, credenti e non credenti». In rete per un’Italia e un mondo più accoglienti, giusti, umani.
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