domenica 22 agosto 2010
I monti innevati alle spalle, i boschi tutt’intorno e l’oceano Pacifico che si stende ai suoi piedi: non è davvero un caso se siamo nella capitale degli sport all’aria aperta. Ma non bisogna farsi fuorviare: qui ha abitato per quasi novant’anni anche la Boeing e dal ’79 c’è la casa della Microsoft.
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Forse è solo l’effetto del caffè consumato a ettolitri nelle frequenti giornate di pioggia, ma Seattle è da sempre una città proiettata in avanti. Nonostante il ridotto arco temporale della sua storia (la città venne fondata nel 1865 e ricostruita dopo l’incendio del 1889), Seattle ha infatti alle spalle una tradizione d’innovazione – soprattutto tecnologica, ma anche architettonica e artistica – che nemmeno la recessione è riuscita a interrompere. A differenza di altre capitali americane del progresso, come New York e Los Angeles, però, la «città smeraldo» colpisce per il suo carattere informale e non pretenzioso, frutto anche di una peculiare posizione geografica. Come a San Francisco, le strade di Seattle si arrampicano su colline ripide e si allungano verso l’oceano, confluendo in ampli viali lungomare. Ma qui all’oceano si sommano lo sfondo dei drammatici picchi innevati dei monti olimpici e la cornice di sempreverdi delle foreste del nord-ovest pacifico e delle isole del Puget Sound. Non a caso Seattle è la capitale degli sport all’aria aperta. Ma se i suoi abitanti nel fine settimana scalano monti, remano in canoe o perlustrano boschi, durante la settimana sono impegnati a cambiare il modo in cui il mondo comunica, fa acquisti, legge libri e fa colazione. Seattle ha ospitato la Boeing per quasi novant’anni, dalla nascita nel 1916 fino al trasferimento a Chicago nel 2001, ha dato i natali alla Starbucks e dal 1979 fa da casa alla Microsoft (il quartier generale è nella vicinissima Redmond). Le tre società hanno fornito l’humus necessario alla nascita di altre decine di imprese, soprattutto di software e telefonia, mentre la locale Università di Washington ha sfornato i cervelli indispensabili al loro successo, con il risultato che oggi a Seattle si riunisce la più forte concentrazione di imprese ad alto contenuto tecnologico negli Usa dopo la Silicon Valley, fra le quali Amazon, Nintendo, il gigante della telefonia T-Mobile ed Expedia. Ma lo spirito imprenditoriale e i capitali non hanno abbandonato la regione neanche dopo il rallentamento del software: Seattle negli ultimi dieci anni si è convertita alla biotecnologia e all’industria verde – complice anche un forte sostegno politico locale per l’ambiente che ha prodotto norme severe per il design urbano, i materiali architettonici e il risparmio energetico. Lo scorso febbraio, ad esempio, il Comune di Seattle si è posto l’obiettivo di farne la prima città del Nord America con zero emissioni di gas nocivi entro il 2030. E così Seattle quest’anno si è meritata un posto nella classifica della rivista Fortune delle dieci città più consone ai giovani imprenditori e, nonostante la recessione, nei primi sei mesi del 2010 gli investimenti in nuove imprese sono aumentati rispetto all’anno precedente: ben 355 milioni di dollari sono andati a finanziare 59 nuove società. L’architettura della città cerca da sempre di fare da specchio alla sua propulsione in avanti. Lo «Space needle» costruito per l’Esposizione mondiale del 1962 (concepita come il «festival del West» e cresciuta per accogliere dieci milioni di spettatori accorsi a osservare le promesse del progresso americano) è oggi l’icona della città e il suo monumento più visitato. Il terreno dell’esposizione attorno al «needle», chiamato oggi Seattle Center, nonostante i tagli causati dalla crisi promettano un Natale meno scintillante, rimane un centro vibrante per le arti. Festival musicali si alternano sui suoi palcoscenici. Il più recente, l’Heineken City Arts Fest, in ottobre, porterà a residenti e turisti 30 spettacoli di teatro, danza, film fotografia e musica in quattro giorni. Seattle ha però dovuto attendere più di quarant’anni per un erede architettonico della visione della Fiera Mondiale. Finalmente nel 2004, dopo un periodo non fecondo di opere memorabili (i grattacieli post-moderni della Bank of America o di Washington Mutual non si distinguono da quelli di decine di altre metropoli, e il bizzarro museo della musica di Frank Gehry assomiglia a un costoso giocattolo) la nuova biblioteca di Seattle ha fatto ritrovare alla città il suo originale spirito avveniristico. L’opera dell’olandese Rem Koolhaas, una specie di cubo di Rubik di vetro circondato da una rete di metallo e con audaci spigoli che rivelano spazi sorprendentemente funzionali all’interno, è stata infatti definita da numerosi architetti la più importante opera architettonica negli Stati Uniti dal 1980. Tre anni dopo, l’Olympic Sculpture Park ha trasformato un’area industriale in uno degli spazi verdi più originali – e utilizzati – d’America. Nelle arti, a preservare da vent’anni l’anima innovatrice di Seattle ci hanno invece pensato Bill Gates e Paul Allen. In città sembra che non ci sia istituzione culturale, auditorio, teatro, galleria o scuola di ballo che non ringrazi con una targa uno dei fondatori della Microsoft per il suo «generoso contributo». Paul Allen, in particolare, ha concentrato i suoi sforzi filantropici sulla sua città, finanziando un istituto per la scienza del cervello, un centro per l’informatica all’Università di Washington, e la ricerca sulla tubercolosi. Allen ha pagato di tasca propria la creazione dell’Experience music project di Gehry e del museo della fantascienza, e ora ha annunciato che intende donare la maggior parte della sua ricchezza, calcolata in 13 miliardi e mezzo di dollari, a cause benefiche e scientifiche metropolitane. Sempre grazie ai generosi filantropi locali, l’orchestra sinfonica di Seattle è oggi fra le più registrate al mondo, il Pacific Northwest Ballet è una delle tre scuole di danza classica più rigorose degli Usa e la Seattle Opera è famosa in tutto il mondo per le sue messe in scena di Wagner. Il privilegio di vivere in uno dei cuori pulsanti d’America però ha un prezzo. La regione attorno a Seattle abbonda di lavori ben retribuiti, ma gli stipendi per i primi impieghi non hanno tenuto il passo con il costo della vita. Con il risultato che molti giovani che vorrebbero mettere alla prova il loro talento a Seattle si accorgono che dietro l’aria informale di Pike Place (il mercato dove da cent’anni si vende tutto quello che può essere catturato, coltivato, intessuto, cucinato o dipinto nella regione) e lo stile casual del lungomare si nasconde una delle città più care ed esclusive d’America.
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