lunedì 17 settembre 2012
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Viaggiare in Svizzera (non so l’abitarci) dà spesso la sensazione di aggirarsi in un plastico tridimensionale, con la percezione di essere parte di un meccanismo. Alcuni ne godono, molti ne ridono, non pochi se ne inquietano. Quasi tutti, sbagliando, vivono la cosa come un artificio. Ma tu sei lì, in carne e ossa e quei luoghi e quella gente, quel modo di vivere e di disegnare il paesaggio sono reali. E quindi, se anche in giro ci fosse, come c’è, della retorica cartolinesca, il punto sei tu: sta a te aprire gli occhi sulla realtà e sta al tuo sguardo lasciarsi colpire dalle cose. Che sono lì e chiedono solo di essere viste. È una regola universale. Che si applica con ottimi risultati specialmente nelle città, cioè in quei luoghi in cui più si addensa la vita vera degli uomini. Con i suoi splendori e le sue ombre. Se, poi, questa città è Basilea l’esito può essere davvero sorprendente. A Basilea, oggi, si viene per due motivi: lavoro e arte. Motivi che si intrecciano, dato che il lavoro è quasi sempre legato a uno dei poli fieristici più importanti d’Europa e all’industria farmaceutica e l’arte trova la sua massima visibilità in una fiera, Art Basel (top dell’arte contemporanea) e trae potente alimento economico, sotto forma di architettura, dalla ricchezza che qui circola. Ci vogliono infatti molti soldi per far sì che una città che non ha le dimensioni della metropoli (meno di 200 mila abitanti) diventi la mecca delle archistar di tutto il mondo e continui a dar da lavorare agli indigeni Herzog & de Meuron, archistar al quadrato. Ma i soldi contano poco di fronte ai motori potenti e misteriosi della storia e della natura. E allora basta esercitare la memoria e leggere un po’ e si scopre che questa apparente tranquillità ha antecedenti poderosi ed è figlia di scosse formidabili. Fondata nel fatale 44 a. C. dal generale romano Lucio Munazio Planco, fu per secoli sede dell’unico (l’unico!) ponte sul Reno tra il Lago di Costanza e il mare. Prima non metaforica scossa nel 1356: un terremoto causa danni ingentissimi a Basilea e a tutta la regione; ne scaturisce un processo di accentramento urbano, con le corti nobiliari che, anziché ricostruire i castelli, convergono sulla città. Meno di due secoli ed ecco la violenta scossa religiosa e culturale della Riforma, che vede in Basilea uno dei suoi fulcri, con la figura di Ecolampadio e con la cacciata dei cattolici, espulsi per tre secoli dalla città. Seicentotrenta anni dopo il terremoto, nel 1986, un nuovo disastro naturale causato stavolta dall’uomo, sconvolge la città e mezza Europa: un incendio in un deposito della Sandoz, una catena di errori e negligenze e per il Reno è catastrofe ecologica. Un duro colpo per la potentissima industria chimica e farmaceutica basilese sorta dalla antica fabbricazione e tintura di prodotti in seta e creatrice, ad esempio, del Ddt e del Valium. Con i due colossi, l’altro è Ciba-Geigy (mentre un terzo, rimasto indipendente, è la Roche), che esattamente dieci anni dopo si fonderanno nel supercolosso Novartis. Per inciso, il Novartis Campus, in costruzione, dovrebbe segnare l’apoteosi di Basilea capitale dell’architettura mondiale. Tenendo gli occhi aperti e avendo presenti questi snodi storici, la città si lascia leggere come uno dei libri che resero famosa la sua industria della stampa sin dai tempi di Gutenberg. La bella cattedrale romanico-gotica, oggi tempio protestante, è costruita su un’elevazione che domina la curva del Reno. Pochi sanno che qui giacciono le spoglie di uno dei più grandi protagonisti della vita europea. Solo un visitatore attento, o informato, trova, nella navata sinistra, incorporata in un pilastro, la lapide che segna la tomba di Erasmo da Rotterdam.
Approdato nella città famosa per la qualità delle edizioni librarie di Johannes Froben, cui aveva affidato la stampa di alcune sue opere, il grande umanista se ne era allontanato nel 1529 quando Basilea aderì alla Riforma. Viveva a Friburgo ed era tornato qui proprio per seguire l’edizione dell’Ecclesiaste. Bisogna immaginarlo, lui, rimasto cattolico e segnato dal fallimento del suo tentativo di mediazione per evitare lo scisma, a percorrere le vie di una città diventata protestante. E bisogna immaginarlo intento dapprima a raccogliere le confidenze del discepolo e amico Hans Holbein il Giovane (vedi il servizio in pagina), al quale il lavoro iniziava a scarseggiare a causa del divieto protestante alle raffigurazioni religiose, e poi a scrivergli una lettera di raccomandazione con cui l’artista si presentò a Thomas More iniziando così la sua attività londinese, che lo portò a produrre i famosissimi ritratti della corte dei Tudor. Ai piedi della lapide, un girasole, posato da qualcuno che ancora oggi vuole rendere omaggio a uno dei padri della cultura europea. La lettura della città prosegue lungo le strette e ben conservate vie del centro storico, che lasciano immaginare la vivacità di Basilea tra il 14° e il 16° secolo, con fermenti che si spingono sino ai grandi matematici Bernouilli ed Eulero e che arrivano, con altra importanza e... altre geometrie, sino al tennista contemporaneo Roger Federer. Gli edifici moderni progettati da un plotone di premi Pritzker sono sotto i riflettori turistici e mediatici e, senza dubbio, vanno visti. Magari seguendo uno dei tre percorsi che permettono di apprezzare anche dal punto di vista storico lo sviluppo delle concezioni architettoniche. Allo stesso modo, la qualità e la quantità (40) dei musei non consente snobismi e, oltre al Kunstmuseum in cui è stata inaugurata domenica scorsa una mostra sull’arte povera di Boetti, Kounellis, Merz e Pistoletto (dalla collezione Goetz, fino al 3/2/2013), è obbligatoria una visita alla Fondazione Beyeler, opera di Renzo Piano, dove il 30 settembre aprirà una mostra sull’ultimo Degas che si aggiunge alla collezione di arte moderna e fine ’800.
Ma l’esercizio di aprire gli occhi e guardare ciò che è evidente, ma meno visto, non finisce di sorprendere e conduce a una lettura intrigante di uno dei geni locali: Jean Tinguely. A questo tormentato artista consiglio infatti di arrivare con un personalissimo percorso, fatto di ferro e di acqua. Sembrerà bizzarro ma fidatevi. Infatti, la famosa fontana Tinguely e il grande museo dedicato all’artista svizzero, opera di Mario Botta, vanno visitati inframmezzando un tragitto su uno degli sferraglianti, efficientissimi e onnipresenti tram, un trasbordo su uno dei quattro silenziosi traghetti mossi dalla sola forza delle corrente e una sosta sul lungo-Reno ad ascoltare lo sciabordio del fiume magari assaggiando un morbido Leckerli al miele. Di ferro e di acqua sono infatti molte delle opere-installazioni mobili dell’artista basilese. Accrocchi di ingranaggi che affascinano e inquietano, rumoreggianti di spruzzi o silenziose di paralisi autistiche e al tempo stesso spasimanti di comunicare, le opere di Tinguely non lasciano indifferenti. Ad alcuni sono parse simbolo di questa Europa incartata nei suoi meccanismi e autoreferenziale, ad altri lo sberleffo amaro e il grido tragico della cultura moderna. Lo avevamo detto: l’importante è che ciascuno apra i propri occhi. Non solo a Basilea.
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