sabato 22 agosto 2020
Il testo di san Benedetto si può adattare alla vita domestica al punto da poter essere proposto come uno stile per il nostro tempo. Una sfida e una provocazione
San Benedetto da Norcia, dal Codex Bendedectinus, Biblioteca Vaticana. Particolare

San Benedetto da Norcia, dal Codex Bendedectinus, Biblioteca Vaticana. Particolare - Biblioteca Vaticana

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È tempo che le famiglie si diano una "regolata". Nel senso di darsi una Regola, proprio una simile a quella degli ordini monastici. Può sembrare una "boutade", ma solo prima di addentrarsi in un saggio interessante e controcorrente, Il chiostro e il focolare. La Regola di San Benedetto: una traccia di vita familiare (Fede & Cultura, pagine 294, euro 22).

Chi pensa che tra l’organizzazione della vita monastica e la struttura di una famiglia non ci sia nessuna affinità avrà certo da ricredersi. Tanto più che si tratta di un’analogia suggestiva e preziosa di questi tempi. Perché se la quarantena imposta dalla pandemia ha messo a dura prova la tenuta dei legami familiari non c’è opportunità migliore che imboccare una strada nuova se pur tracciata quasi 1500 anni fa dal grande Benedetto da Norcia (480-547). Fu il santo patrono d’Europa a codificare uno stile di vita che ha fatto dei monasteri non solo dei centri culturali ed economici decisivi per il Vecchio Continente. Ma ancora oggi dei baluardi dell’anima in un tempo di crisi e smarrimento.

Quando Benedetto intuì che fama, carriera e onori lo avrebbero distolto dalla verità sull’uomo, la fugacità dell’esistenza, si ritirò in un luogo isolato nei pressi di Subiaco. Per coloro che volevano seguire il suo esempio e intraprendere la via monastica scrisse la Regola, un testo che però si rivela scrigno sorprendente anche per chi sceglie la vita matrimoniale e familiare.

Avranno molto da attingere per esempio i papà che sulla falsariga dell’abate (che deriva proprio dall’aramaico abbà, padre) costituiscono «il principio di unità della famiglia» sia naturale che monastica. In tempi così scarsamente virili, in cui la figura paterna è stata svilita ed estromessa dal compito educativo, è importante riscoprire quell’autorità che nell’ottica cristiana non è mai dominio, ma servizio. Custodire i beni più preziosi, moglie e figli, per guidarli verso una felicità senza fine è un compito da brividi.

E che dire della vocazione al servizio delle madri, protese più alla felicità altrui che alla propria, da cui dipende tutta l’organizzazione della casa? Un compito simile in monastero è ricoperto dal "cellerario", il coadiutore dell’abate, a cui è affidato il buon andamento dell’amministrazione, dal cibo al vestiario, dalla pulizia all’ordine della casa. Ma nell’epoca della connessione perpetua in cui si vive con lo smartphone in mano, è la grande intuizione benedettina a fare buon uso del "tempo" a costringere genitori ed educatori a riflettere sulle proprie abitudini.

Scandire e organizzare ogni singola ora della giornata dei monaci, deriva dalla convinzione che «il tempo è sacro, è l’unico spazio dato all’uomo dove questi può incontrare l’Eterno». E quindi nello svolgimento delle mansioni quotidiane si gioca la partita della salvezza. Stare con i figli senza guardare l’orologio dovrebbe essere la prassi nel gerarchizzare il proprio tempo. Dando a ciascun’attività il giusto peso. Come al lavoro.

Troppo spesso "ora et labora" è diventato uno slogan fuorviante. Tanto più che san Benedetto dedica al lavoro quotidiano dei monaci appena un capitoletto. Non perché consideri il lavoro poco importante, tutt’altro. Però è sempre finalizzato alla preghiera, il vertice di ogni attività. Così come il compito più alto dei genitori è l’educazione cristiana dei figli. «L’ozio è il nemico dell’anima» scrive il santo, ma il lavoro va inquadrato sempre nell’opera più grande di servizio a Dio.

E se la buona riuscita di una famiglia è un’impresa eroica la Regola è prodiga di consigli: al pari di un abate, i genitori devono saper correggere ed educare i propri figli innanzitutto con il proprio esempio «alternando i rimproveri agli incoraggiamenti», la fermezza alla tenerezza. Badando più di essere amati che temuti, consapevoli, suggerisce il saggio, che anche «il capriccio esprime il bisogno vitale di una regola di vita». Quando la fatica si fa sentire, ricordarsi della via crucis di Cristo, sempre carichi per la missione grande a cui si è stati chiamati. Testimoniare anche ai più piccoli che si è sempre di fronte a una scelta tra bene o male, virtù e viltà, vita o morte.

È un libro, avverte padre Cassian Folsom nella prefazione «per il cattolico debole che vuole essere forte». Ma la sfida è impagabile, fare della famiglia «una piccola fortezza dello spirito in cui la poesia trasfigura il dramma dell’esistenza per slanciarlo nelle altezze dell’intima comunione con Dio».

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