venerdì 18 febbraio 2022
Le Giornate di studio sul paesaggio della Fondazione Benetton mettono a fuoco i luoghi deindustrializzati, in cui la natura ha ripreso possesso dello spazio. Riattivarli non vuol dire cancellarli
Giardino realizzato da Coloco in un lotto abbandonato del quartiere ZEN II a Palermo, in collaborazione con una vasta rete di residenti e associazioni, nell’ambito di Manifesta 12

Giardino realizzato da Coloco in un lotto abbandonato del quartiere ZEN II a Palermo, in collaborazione con una vasta rete di residenti e associazioni, nell’ambito di Manifesta 12 - Coloco.org

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«Nella natura urbana protetta vicino al fiume Sprea è possibile sperimentare come la progettazione del paesaggio e l’arte possano beneficiare l’una dell’altra» riferisce Katja Assmann, Direttrice artistica dello Spreepark, un’area di 60 ettari a Berlino incentrata su un luna park dell’era comunista. Questo, aperto nel 1969 per i primi vent’anni della Repubblica Democratica Tedesca, ambiva a essere luogo didascalico e assieme di divertimento. Poi, caduto il muro, la privatizzazione non gli ha evitato il fallimento e dall’inizio del XXI secolo è rimasto abbandonato, preda di erbacce e della corrosione che ha attaccato la grande ruota panoramica alta 45 metri così come gli altri resti delle attrazioni e i relitti di altre strutture vicine come l’ex lazzaretto e una vecchia ferrovia. Una vasta giungla urbana divenuta off limits, sia per essere inselvatichita, sia per l’inquinamento da cui è pervasa. Sinché tra il 2014 e il 2016 la Città di Berlino non ne ha rilevata la proprietà prefiggendosi di renderla alla pubblica utilità, conservando la memoria di quel che fu e aprendola ad altre attività individuate sulla base di consultazioni coi cittadini.

Dal 2024 riaprirà la grande ruota ma non vi sarà più il luna park, bensì una molteplicità di luoghi per iniziative culturali e ricreative. Vi si porranno opere d’arte che troveranno «ispirazione nelle caratteristiche del sito, suggerendo un’interpretazione complessa al tema dell’abbandono » annuncia la Assmann. Saranno conservate anche le piante che, autoctone o no, vi sono cresciute in questi vent’anni.

L’argomento sarà uno dei tanti sul tappeto nelle “Giornate internazionali di studio sul paesaggio” organizzate dalla Fondazione Benetton che cominciano oggi con interventi di diversi studiosi sul tema “Sguardi diversi su luoghi abbandonati” per proseguire il 24 febbraio sui “Paesaggi urbani” e concludersi il 25 sui “Paesaggi del loisir”. Vi sarà un’ulteriore riflessione l’11 marzo su Chernobyl, “La vita dopo il disastro nucleare”.

Se il tema dell’abbandono è usualmente collegato alla desolazione intesa come qualcosa da rimuovere o correggere, qui si evidenzia che le condizioni maturate con l’epoca postindustriale suggeriscono invece soluzioni differenti, fondate sul desiderio di conservare la memoria nella sua interezza, evitando di perpetuare stravolgimenti quali quelli apportati dall’urbanizzazione e dall’industrializzazione.

Lo Spreepark a Berlino

Lo Spreepark a Berlino - Luigi Latini/Fondazione Benetton

Il paesaggio dell’abbandono, spiega l’architetto Michela De Poli «ha visto la presenza dell’uomo e delle sue azioni che l’hanno inevitabilmente modificato decretandone una alterazione irreversibile » per poi tornare «al dominio della natura con tempi e modi che costituiscono una nuova condizione ecologica» di fronte alla quale si richiede di porsi in modo rispettoso: superando l’ansia di portare trasformazioni motivata dall’ambizione a vantaggi economici di breve periodo, per privilegiare piuttosto l’idea di riconoscere il valore della nuova condizione e di darvi un significato. Perché, ricorda Marco Marchetti, ecologo dell’Università del Molise, «la natura è completamente innestata con i sistemi umani e non è più possibile conservarla evitando interazioni antropiche. Possiamo solo scegliere processi di integrazione o segregazione, consci che comunque specie ed ecosistemi protetti saranno condizionati dai cambiamenti globali, e che questi processi vanno gestiti». E questo sta già avvenendo, conferma Matthew Gandy, docente di Geografia a Cambridge: «Negli ultimi anni frammenti di natura spontanea sono stati incorporati nella progettazione del paesaggio, o addirittura sono stati imitati attraverso l’adozione di un’estetica dell’abbandono».

È quanto è accaduto per esempio nel Parco paesaggistico Duisburg Nord, un’area di 180 ettari tra le più densamente industrializzate, dove stavano le acciaierie Tyssen: a partire dal 1991 è cominciata, su progetto dello studio di architettura del paesaggio Latz+Partner, un’opera di conservazione evolutiva. Sono sorti boschi e si sono aperti prati e i vecchi impianti sono stati adattati a museo o destinati ad altri usi: eventi, sport, spettacoli, mostre, fiere. Dove c’erano le industrie ora campeggia la natura insieme con la cultura: un binomio la cui produttività si fonda sul reciproco rispetto e sulla prospettiva di abitare il paesaggio in modo armonico.

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