sabato 10 novembre 2012
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Quattro oscar e 400 milioni di dollari di incasso a fronte di soli 15 di costo. «E pensare che Il discorso del re non lo voleva fare nessuno» racconta David Seidler, il 75enne autore della sceneggiatura, premiata con l’ambita statuetta, in questi giorni a Milano per incontrare gli studenti del master in “Scrittura e produzione per la fiction e il cinema” dell’Università Cattolica. È un film che ha richiesto un lungo viaggio. La prima idea è del 1982, ma la Regina Madre chiese che la storia non fosse raccontata lei vivente: morì 20 anni dopo a 101 anni. «Poi tante porte chiuse. L’unico a crederci è stato Geoffrey Rush. Senza un contratto, solo una stretta di mano, ha accettato di diventarne produttore esecutivo. Non c’è nulla da fare: se non hai il sostegno di una star è difficilissimo fare film del genere. Dopo che lui è salito a bordo tutto è stato più facile. E per tutti il film è diventata all’improvviso una grande idea».Seidler, come Giorgio VI lei ha sofferto di balbuzie, causate da un trauma mentre fuggiva in nave dall’Inghilterra durante la guerra. È troppo pensare che «Il discorso del re» sia in un certo senso autobiografico?No, anzi è piuttosto vero. Spesso si consiglia ai giovani di scrivere di ciò che sanno. È un buon suggerimento, molte volte male interpretato: come se si debba scrivere di se stessi. Ne escono storie molto personali e spesso anche altrettanto noiose. Avrei potuto scrivere un film sulle balbuzie del piccolo David Seidler, ma non credo il pubblico se ne sarebbe curato. Allora perché non occuparsi della stessa esperienza personale raccontando la storia di un uomo che non vuole diventare re ma che si trova costretto a guidare una nazione a un crocevia della storia? Lo spunto è lo stesso. Ma la posta in gioco è molto più alta.Cosa ha significato per lei questo film?Ha segnato uno spartiacque. Anche se ho sceneggiato film importanti come Tucker di Francis Ford Coppola, la mia a Hollywood è stata una buona carriera ma non grande. Sono convinto che se non avessi scritto Il discorso del re per me sarebbe arrivato il declino. Ora invece sono “un genio”, e qualsiasi idea azzardi è sempre ottima…Qual è il suo nuovo progetto cinematografico?Si intitola The Games of 1940. È una storia vera, che ho scritto con Luca Manzi, il mio collaboratore italiano, che l’ha scoperta anni fa a Varsavia e me l’ha fatta conoscere: si tratta di gare atletiche nello spirito olimpico organizzate dai detenuti di un campo di prigionia nazista in Polonia. (È lo stesso spunto alla base de L’Olimpiade perduta, fiction Rai dell’anno scorso prodotta da Luca Barbareschi, che tra l’altro in questi giorni porta in scena la versione teatrale de Il discorso del re, Nda). Abbiamo avuto difficoltà anche per questo film, ma alla fine abbiamo trovato Frank Marshall, produttore di Steven Spielberg. Il regista sarà Roger Donaldson. Siamo nella fase di casting. Le riprese speriamo possano iniziare nell’estate 2013.Il film precedente era quasi “da camera”. Questo che caratteristiche avrà?Sarà un prison movie molto realistico. Se devo indicare ispirazioni, le vedo ne La grande illusione di Jean Renoir più che ne La grande fuga. È piuttosto Le ali della libertà incrociato con Momenti di gloria.Lei ha scritto molto per la tv. Oggi spesso si dice che le serie tv americane sono più innovative dei prodotti per il cinema. È d’accordo?Sì, è vero. Gli studios non sono interessati a produrre piccoli film. E anche oggi nessuna major americana produrrebbe Il discorso del re. Preferiscono supereroi e film da popcorn. Le serie tv, costrette a costruire la fedeltà degli spettatori, per tenere vivo l’interesse devono reinventarsi. Robert Greenblatt, presidente di Nbc Entertainment e ideatore di titoli come Dexter e Il trono di spade, ha accolto il mio progetto per una serie tv dal titolo Kill George Washington: la storia della Rivoluzione americana vista dal punto di vista degli inglesi, per i quali fu un’insurrezione di terroristi e Washington un uomo da uccidere. A dirigerla sarà Barry Levinson.
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