venerdì 3 ottobre 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Negli Stati Uniti le chiamano college radio. In Gran Bretagna preferiscono un appellativo dall’impronta più familiare: la “radio degli studenti”. In Canada la Commissione delle telecomunicazioni le definisce “radio comunitarie”. In Italia, dove arrivano un decennio fa sulla scia dell’epopea anglosassone, sono più semplicemente le radio dell’università. Stazioni dal volto giovane che oggi celebrano la loro Giornata mondiale, il “World college radio day”, con una staffetta di ventiquattro ore in grado di unire settecento emittenti di quarantatré Paesi. Dalle due di notte si stanno passando il testimone speaker e deejay da una parte all’altra del pianeta. Tema della maratona radiofonica: l’innovazione. Letta con gli occhi dei ventenni ma anche dei docenti e dei ricercatori. Dalle 11 alle 13 toccherà all’Italia essere sulla cresta dell’onda e la stazione dell’Università di Perugia, “Radiophonica”, farà da capofila per tutte le “colleghe” italiane spuntate all’ombra degli atenei.Nella Penisola se ne contano venticinque. Una cifra che impallidisce rispetto agli Usa dove sono 425, al Regno Unito che ne annovera 66 ma anche alla Francia che ne ha 22 universitarie e 46 delle grande école. E siamo quasi al pari della Nigeria in cui ce ne sono venti. «Si tratta di un’esperienza quasi sconosciuta da noi. Eppure le radio universitarie sono forse la finestra più interessante da cui osservare quanto accade nei nostri atenei e ciò che vivono gli studenti», spiega Tiziana Cavallo, presidente del “World college radio day”. Ha trentanove anni, è responsabile comunicazione dell’Università di Verona e una delle ideatrici nella radio del suo ateneo, “Fuori aula network”, ma anche di “Radiuni”, l’associazione che raccoglie le stazioni della Penisola. Per raccontare la storia italiana della radiofonia universitaria bisogna partire da Teramo e da Siena dove nascono alla fine degli anni Novanta le prime due emittenti: “Radio Frequenza” nella città abruzzese e “Facoltà di frequenza” nella capitale del Palio. Entrambe trasmettono in Fm ma risulterà un’eccezione. Oggi soltanto in due utilizzano le onde: accanto alla “storica” sigla di Teramo, c’è “Radio Zammù” dell’università di Catania. Il resto si affida al web. «E non poteva essere altrimenti – sostiene Tiziana –. In Paesi con ben altra tradizione le radio universitarie hanno i loro spazi nell’etere. Ma anche propri budget. E vengono considerate un servizio imprescindibile che il college offre. In Italia si fa fatica. Manca la volontà di investirci da parte degli atenei. E occorre fare i conti anche con le regole farraginose delle web radio».Certo sono laboratori d’innovazione. Basta scorrere i palinsesti. Personal book shopper è il programma di “Radiobue” di Padova che aiuta l’ascoltatore a trovare il libro giusto. Turn it green indaga il rapporto fra uomo e natura su “uRadio” di Siena. Leggoland analizza le parole dei blog con i conduttori di “Rabio Lab” di Catania. E poi ci sono i contenitori musicali, vetrine per cantanti e gruppi emergenti. Come dimostra la rubrica Radiuni hit che raccoglie le migliori proposte artistiche d’avanguardia andate in onda in tutte le stazioni universitarie.«In fondo siamo un mezzo libero», tiene a ribadire la trentenne Rossella Biagi che con una laurea in relazioni internazionali in tasca è la manager della perugina “Radiophonica”. L’emittente è espressione dell’Agenzia umbra per il diritto allo studio e ha iniziato a trasmettere nel 2008. «A chi ci rivolgiamo? Ai coetanei, prima di tutto studenti – afferma Rossella –. Anche perché chi è avanti con l’età farebbe fatica già a sintonizzarsi sul web. Però abbiamo l’ambizione di essere un riferimento per la regione. Certo vorremmo che anche qui avvenisse quanto si tocca con mano negli Usa o in Canada dove la radio universitaria non è un accessorio dell’ateneo ma ha la stessa importanza di una biblioteca o di un impianto sportivo». A Perugia si è tenuto la settimana scorsa l’“University Media Festival”, il primo meeting internazionale dei mezzi di comunicazione universitari con un occhio di riguardo alle radio.«Sogniamo un Eramus della radiofonia – afferma la responsabile di “Radiophonica” –: uno studente italiano impegnato nella stazione del suo ateneo dovrebbe poter andare in Francia o in Inghilterra per vedere come si va in onda all’estero». Perché davanti ai microfoni si siedono i ragazzi. «Le nostre emittenti – afferma Tiziana – hanno mosso i primi passi come fossero amplificatori istituzionali. Oggi sono la voce di una comunità. Non hanno un ruolo di protesta, ma di proposta e di narrazione del quotidiano. La sfida è ridefinirle in un contesto digitale». Già, c’è ancora spazio per la radio nell’era dei social e degli smartphone? «Sicuramente – risponde Rossella –. Ma serve puntare sulla contaminazione fra i media. E non è un caso che molte delle nostre emittenti abbiano integrato radio, web e tv online». Sognando magari l’America e la fama delle college radio.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: