martedì 31 agosto 2010
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Come carrozza è effettivamente una dignitosa carrozza, persino esagerata per queste strade rustiche, piene di buche e instabili pietre. Potresti sembrare un ricco signore in viaggio per una qualche esotica località, se non fosse per lo stemma del reggimento sui fianchi del cocchio. A cassetta ci sono il cocchiere e l’attendente. Ti stanno aspettando. Nessuno, nel trambusto della Fortezza, sembra accorgersi di te, maggiore Giovanni Drogo. Stanno arrivando i primi scaglioni di rinforzi, dentro le mura è tutto un ingombro di carriaggi, artiglierie, salmerie, cavalli e muli. Una lunga fila di fanti avanza verso il centro del piazzale in un rumore di passi cadenzati e tintinnio di lucide armi. Polvere, luce abbagliante, ordini urlati e lo squillo improvviso di una tromba.Qualcuno degli ufficiali ti saluta. Il tenente Moro, e qualcun altro che quasi stenti a riconoscere. Hanno negli occhi la luce dell’eccitazione, sono pronti alla guerra e avvolti in quest’aura di eroismo che vorresti fosse stata anche tua, è come se fossero altre persone, uomini che mai hanno fatto parte della tua vita. Anche se lo sai bene, Giovani Drogo: adesso sei tu che non fa più parte della loro. Sali sulla carrozza, e dai subito al conducente l’ordine di partire. Via, via da là al più presto, lontano dalla Fortezza mentre laggiù, a Oriente, i Tartari si preparano al grande assalto. Traballando sui sassi, la vettura si avvia per la sassosa spianata, e la tua strada volge così all’ultimo termine.Cullato a ogni urto delle ruote, guardi i muri gialli della Fortezza farsi sempre più bassi all’orizzonte. Lassù è passata la tua esistenza segregata dal mondo. Più di trent’anni ad aspettare il nemico e adesso che gli stranieri arrivano, adesso che potresti davvero servire la Patria, difenderla dall’invasione, adesso ti mandano via. E i tuoi compagni, proprio quelli che giù nella città hanno menato vita facile e lieta, tra donne e affari, cerimonie e comodità, eccoli adesso arrivare al valico, con superiori sorrisi di sprezzo, a far bottino di gloria.Guarda, maggiore Drogo: la geometria della Fortezza, gli spalti, le torrette e le polveriere, quegli edifici di cui conosci ogni mattone, ogni angolo, ogni segreto passaggio. È stato il tuo mondo, hai dato la vita per quel mondo, e adesso ti cacciano come un lebbroso. Maledetti, maledetti ripeti a fior di labbra mentre lacrime lente e amarissime calano giù per la tua pelle raggrinzita.La carrozza, di ottima costruzione, una vera carrozza da malato, oscilla a ogni buca del terreno come delicata bilancia. Sono le cinque quando arrivate a una piccola locanda, là dove la strada corre sul fianco della gola. In alto, caotiche creste d’erba e di terra rossa, monti desolati e deserti. In fondo, più a valle, scorre un torrente. È una terra di confine, di passaggio, il limite della frontiera. La carrozza si ferma sul piazzale della locanda proprio mentre passa un drappello di moschettieri. Osservi i loro volti giovanili, le espressioni comprese, attente, tradiscono la consapevolezza di chi vive un evento storico. Qualcuno di quei ragazzi non tornerà, altri ricorderanno momenti di gloria. Ma qualunque sarà il loro destino sarà meglio del tuo, molto meglio di una vita spesa nell’inutile attesa. «Va comodo, il vecchietto», senti dire a una voce proveniente dalle fila di quei giovani fantaccini.Sei stanco, ti gira la testa, non hai voglia di nulla. E meno di tutto hai voglia di tornare nella tua città , nella casa natìa, a consumare gli ultimi anni fra la noia e il rimpianto. Nessuna fretta di riprendere il viaggio, decidi di fermarti a dormire nella locanda. Il battaglione è passato, con la polvere e il chiasso dei carriaggi. Ora intorno a te c’è quiete, puoi scendere dalla carrozza ed entrare nella locanda.Ti ritrovi seduto su una larga poltrona, in una camera da letto. È una serata stupenda, dalla finestra aperta entra l’aria profumata del tramonto. Immagini la Fortezza ormai lontana, i fuochi del bivacco nemico in mezzo alla pianura a Oriente, le lanterne dei camminamenti che oscillano al vento, la notte insonne e meravigliosa prima della battaglia. Tutti, in un modo o nell’altro, hanno qualche motivo, anche piccolo, per sperare. Tutti tranne te, Giovanni Drogo.D’improvviso un pensiero ti si accende nella mente, come il lampo di un temporale in arrivo. Ti irrigidisci sulla poltrona, quasi fossi stato attraversato da una scossa. Una voce dentro di te sta parlando, con tono profondo e imperioso. Ascolta soldato, sembra dire la voce, finora ho sempre taciuto, ma adesso devi ascoltare. Hai buttato la tua vita in nome di un sogno che ti è stato rubato. Hai creduto nella Patria, nel reggimento, nell’uniforme che indossi, nei suoi valori. Hai obbedito con fedeltà, umiltà e pazienza i tuoi superiori, i comandanti. Eri pronto a immolarti per loro, ma loro ti hanno tradito. Maledetti, maledetti. Ma sei ancora in tempo. Per te c’è ancora la possibilità di un riscatto.Volgi lo sguardo fuori dalla finestra, alle luci del sole che muore. Adesso sai cosa devi fare. All’improvviso è tutto molto chiaro. Accadrà più a valle, tre miglia oltre la locanda, domani mattina. Lì la strada giunge a un incrocio, e una svolta dirama a est, nella direzione del fronte. È un piano così semplice. Darai ordine di fermare la carrozza, dirai all’attendente di scendere e obbligherai, se necessario con la pistola, il conducente a proseguire. Da lì ci vorranno non più di quattro o cinque ore per raggiungere gli avamposti dei Tartari. Ce la puoi fare. Userai un fazzoletto come bandiera bianca per consegnarti al nemico, chiederai di parlare con un loro capo. Pretenderai che il conducente sia lasciato in vita, poi farai quello che devi fare. Conosci ogni angolo della Fortezza, tutti i suoi punti deboli. Con il tuo aiuto i Tartari non avranno alcuna difficoltà a sbaragliare le sue difese. E alla fine della battaglia non ci sarà gloria per nessuno.Raddrizzi il busto, ti assesti il colletto dell’uniforme. Ancora uno sguardo fuori dalla finestra, una brevissima occhiata. Poi, nel buio, benché nessuno ti veda, sorridi.
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