martedì 29 marzo 2016
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C’è una guerra altrettanto tentacolare, pervasiva e inquietante di quella che si consuma nei campi di battaglia, siano essi disseminati in Iraq, Siria o Libia. Anzi, questa seconda guerra non solo innerva la prima, ma in qualche modo la prepara, ne diffonde il contagio, la disloca, la esporta, la fa esplodere dentro le nostre città. È la guerra che migliaia di anonimi sostenitori del jihad rilanciano, diffondono e provocano sul Web. Il volume a più voci Il marketing del terrore, curato da Monica Maggioni e Paolo Magri, è un’immersione nelle strategie mediatiche del Daesh. Scrivono i due curatori del testo: «Oggi la comunicazione jihadista viaggia attraverso migliaia di messaggi su Twitter, vive di chat private nel bel mezzo di un videogame. Si traduce in un diluvio di messaggi cifrati, fotomontaggi cruenti, irresistibili video d’azione». Questa strategia non può essere decodificata (e combattuta) se non si coglie il salto 'ontologico' che ha compiuto il marketing del terrore: «La valenza mediatica dell’atto terroristico è parte dell’azione». Azione e racconto dell’azione stessa sono ormai fili della stessa trama, 'ingredienti' mortiferi che si rinforzano a vicenda. Ma il cambiamento del messaggio jihadista riflette anche il mutamento delle forme con le quali le organizzazioni del terrore pensano e attuano se stesse. Se la stagione di al-Qaeda era dominata da una struttura verticistica, che controllava rigidamente anche la propaganda, l’era del Califfato (che non a caso ha marginalizzato al-Qaeda) è contrassegnata da una comunicazione liquida, proliferante. Un terrore che si genera a livello 'locale', spesso per iniziative 'locali'. Non c’è più una struttura piramidale, ma un messaggio che si diffonde a 'macchia d’olio', nel quale la «celebrazione degli aspetti filmici» subentra a «quelli teologiciformali »: uno strumento, quest’ultimo, di seduzione e di propaganda micidiale. Ma qual è la finalità della macchina del marketing del Daesh? Come spiega Marco Lombardi, l’obiettivo del califfato è «accreditarsi come un’entità statuale che controlla un territorio con un sistema di istituzioni e infrastrutture». Lo schema comunicativo mira a «una doppia radicalizzazione». La prima è finalizzata a catturare proseliti e far viaggiare il messaggio del jihad. La seconda vuole invece provocare una reazione violenta, generalizzata e 'scomposta' contro l’islam. Una trappola da disinnescare. © RIPRODUZIONE RISERVATA Monica Maggioni, Paolo Magri IL MARKETING DEL TERRORE Mondadori. Pagine 252. Euro 14
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