sabato 9 luglio 2011
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Quest’anno i giurati del Premio Strega hanno voluto essere controcorrente, premiando libri che mettono in rilievo idee e situazioni che vanno al di là dei "valori" che hanno condizionato la società italiana in quest’ultimo decennio: il mito della globalizzazione e quello della bellezza a tutti i costi. Ha stravinto Edoardo Nesi con Storie della mia gente, edito da Bompiani, una memoria "narrativa" che difende il valore della tradizione italiana e, al secondo posto, si è piazzata Mariapia Veladiano, vera rivelazione di quest’annata letteraria, con La vita accanto, edito da Einaudi che, particolare curioso, ha avuto dalla sua parte la maggior parte dei voti "collettivi", ovvero quelli espressi da scuole, istituti di cultura, gruppi di lettura in carcere. Il suo libro mette in discussione la ricerca della bellezza esteriore a tutti i costi. I lettori scelgono quindi i libri "controcorrente", quelli anche un po’ "scomodi" e in questo senso non è un caso che il premio Strega sia andato a Edoardo Nesi, scrittore che è stato anche imprenditore, nella Prato delle piccole, ma qualificatissime aziende tessili, che hanno esportato in tutto il mondo tessuti belli e preziosi e che ora sono soppiantate dai laboratori cinesi, dove la qualità, ma soprattutto anche il piacere dell’invenzione, viene meno. Nesi si muove tra pamphlet e memoria, tra esperienza personale e j’accuse, in un libro che è segnato da un’atmosfera alla Fitzgerald, scrittore che lo accompagna in questo viaggio «per non dimenticare» quando in Italia il lavoro era ancora una passione e non solo una preoccupazione. Non solo un libro, ma una memoria personale, quella di un uomo che nel suo lavoro e in quello della sua famiglia ha lasciato una parte del suo cuore: dover chiudere la sua azienda è stato un po’ come strapparsi una parte di anima, tanta è la passione che emerge in queste pagine. Lui stesso così lo definisce: «Il mio piccolo, coraggioso libro che diventa "protezionista" solo perché racconto la verità, e cioè che l’intera industria manifatturiera italiana è stata lasciata in balia dell’invasione dei prodotti cinesi a causa della negligenza e dell’incuria dei nostri politici. Non ha avuto nessun sostegno da parte delle istituzioni. Non ci sono state difese al Parlamento Europeo. Così un patrimonio costruito negli anni va gradualmente scomparendo». La realtà di Prato, la sua città, quella dove c’era la sua azienda diventa emblematica di altre situazioni italiane: «È una città che sta diventando uno dei simboli della situazione disastrosa in cui si trova gran parte della piccola e media e grande industria italiana, schiacciata nella morsa, tra mercati sempre più recalcitranti a comprare i nostri prodotti e un sistema bancario che sembra divertirsi a inventare sempre nuove regole per restringere il credito alle imprese, e mi chiedo quanto potrà durare questo stato di cose. Quante aziende dovranno chiudere, quante persone dovranno perdere i loro posti di lavoro, quanti giovani dovranno sentirsi inadeguati prima che qualcuno chieda scusa e ammetta che l’intera politica industriale italiana degli ultimi quindici anni è stata sbagliata». È per questo motivo che Nesi, al Ninfeo di Villa Giulia, giovedì sera, quando gli è stato dato il premio, lo ha dedicato a tutti coloro che in questi anni hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione. Dice ancora: «Non lo ritengo un libro senza speranza, anzi è un libro che racconta una perdita, ma attraverso il quale, ne sono convinto, possa crearsi la condizione per un ritorno alla tradizione che ha fatto grande i nostri tessuti in passato». E ricorda come non si possa parlare di lavoro senza averlo conosciuto: «Questo vale per gli scrittori, ma vale anche per gli economisti. La partecipazione alla vita dell’azienda mi ha fatto conoscere la grande voglia di fare di chi ci lavorava, di come il lavoro poteva essere non solo un obbligo, ma anche una passione. Ho visto creare dagli operai tessuti straordinari, nati dalle loro mani, dalla loro creatività e che poi gli stilisti di moda hanno portato in tutto il mondo. Adesso i laboratori fanno solo il loro interesse, al servizio delle multinazionali. Tutto è più standardizzato. Non c’è più creatività. Sono cresciuto, e lo racconto nel romanzo, con l’idea antica che la vita fosse il lavoro e che il lavoro fosse la vita». Da anni, un libro vincitore del Premio Strega, non entrava nel solco del dibattito sulla realtà sociale dell’Italia, in modo anche così esplicito, in un momento in cui il sistema "economia" mostra tutta la sua debolezza e le sue fratture. Non ha mezzi termini Nesi nel puntare il dito contro questa economia della globalizzazione, che toglie identità, che ragiona in termini astratti e solo per numeri, che non conosce in maniera diretta il mondo del lavoro: «Sono contro il falso ottimismo degli economisti che per anni ci hanno fatto credere che la globalizzazione non poteva portare che sviluppo e crescita per tutti. Adesso ne vediamo i risultati. I soldi che oggi risparmiamo comprando i prodotti cinesi sono quegli stessi soldi che servivano a pagare gli stipendi degli operai italiani, i mutui delle loro case e le loro pensioni, i loro ricoveri in ospedale, le scuole dei loro figli, le loro macchine e i loro vestiti. La loro vita, la nostra vita». Come si esce da questa situazione? Nesi è molto chiaro: «Consiglio di smettere di licenziare gli operai per assumere giovani matematici. Forse in questo modo qualcosa può davvero cambiare, in un Paese come l’Italia fatto per il 90% di piccole aziende».
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