mercoledì 11 novembre 2020
Una psicologa e una storica a confronto sui rischi e sulle possibilità aperte dai nuovi strumenti digitali, per la prima volta utilizzati in massa. Il tema della prima Biennale Tecnologia
Il telelavoro è divenuto negli ultimi mesi prassi comune anche in Italia

Il telelavoro è divenuto negli ultimi mesi prassi comune anche in Italia - Icp

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Inizia domani, giovedì 12 novembre, e proseguirà fino a domenica 15, la prima edizione di “Biennale Tecnologia”, manifestazione organizzata dal Politecnico di Torino nata in seguito al Festival della Tecnologia del novembre 2019, che si pone come obiettivo di diventare una manifestazione stabile della città in alternanza a Biennale Democrazia. Biennale Tecnologia sarà online, su una piattaforma dedicata, con un programma gratuito e dedicato al rapporto tra tecnologia e società, dal titolo “Mutazioni. Per un futuro sostenibile”. Saranno più di 140 gli incontri e circa 290 i relatori da tutto il mondo che discuteranno del ruolo decisivo della tecnologia in tutti gli ambiti della vita umana, dalla salute all’ambiente, dall’informazione alla finanza, dalla politica ai rapporti personali. Tra gli ospiti più attesi: Francesca Bria, presidente del Fondo Nazionale Innovazione, lo scrittore e futurologo Bruce Sterling, Evgeny Morozov, Valerie Nègre, Marie–Hélène Brousse e ancora Malavika Jayaram, Serge Latouche, Mugendi K. M’Rithaa e molti altri.

Brousse: «"Deconfinarsi" è più difficile di confinarsi»

Il presente pone molti interrogativi. Come influiscono le nuove tecnologie e l’assenza del corpo sulle relazioni? Le macchine che mimano l’emotività influiscono sulle relazioni con gli altri? Queste e tante altre domande saranno al centro dell’incontro “Psicoanalisi e tecnologia”, che si terrà venerdì 13 novembre alle 11.30 nell’ambito di Biennale Tecnologia. Ne parleranno Juan Carlos De Martin, Rosa Elena Manzetti e Marie-Hélène Brousse ( che abbiamo intervistato), psicoanalista a Parigi, membro dell’Ecole de la Cause freudienne ed esperta del rapporto tra tecnologia e psicologia.

Come influiscono le nuove tecnologie e l’assenza del corpo sulle relazioni? Uno storico dei tempi moderni, Denis Crouzet, professore alla Sorbona, rimarcava come questo periodo della storia dimostri che ad ogni avanzamento tecnologico (nel suo caso, in particolare, l’invenzione della stampa) corrisponda un cambiamento di un legame sociale. Questa volta, al posto della stampa, troviamo le nuove tecnologie, quelle delle reti sociali ( Twitter, Facebook, Instagram) e più in generale le tecnologie che hanno rivoluzionato la comunicazione; quelle che lei definisce giustamente: “dell’assenza del corpo”. Tuttavia, per quanto siano virtuali, queste – una vera e propria macchina d’influenza – implicano al contempo un “rapimento” del corpo. Non è un caso, infatti, che sia emersa una nuova professione – quella degli “influencer” – che si dedicano, tramite queste nuove tecnologie, a orientare l’immagine e l’uso che viene fatto dei corpi: come ci si veste, cosa si mangia, la musica, la letteratura. Mi pare evidente come l’assenza del corpo – che permette l’evoluzione delle comunicazioni – finisca per manifestarsi in atti che invece implicano necessariamente il corpo. In psicanalisi, l’orientamento dato dagli ultimi insegnamenti di Lacan mostra che se il soggetto è un effetto del discorso corrente, non è nulla di meno di ciò che noi chiamiamo un “corpo parlante”, ed è proprio attraverso il suo corpo che si controlla un essere umano.

Un momento come questo – in cui molte attività a causa del Covid sono passate nella modalità online – come influirà sulle persone e sulla loro capacità di entrare in relazione?

In Francia è risultato evidente che il “confinamento” sia stato un’esperienza di più facile gestione rispetto al “deconfinamento”. Le persone (i miei pazienti) hanno reagito in modi molto diversi. Alcuni hanno voluto continuare il trattamento online, altri – nell’impossibilità di fare le sedute di persona – hanno preferito interrompere, altri ancora sono spariti nel nulla, altri – al contrario – hanno deciso di iniziare un lavoro su loro stessi, spinti dalla solitudine e dall’angoscia. Per uno psicanalista, a differenza di altre discipline come la sociologia e la psicologia, ogni soggetto è unico, in ragione delle influenze che si porta dentro (che si tratti della storia famigliare, delle generazioni precedenti o della sua storia personale). Questi segni, sotto forma di tracce, lo compongono come soggetto unico, in funzione dei suoi ricordi (passati o meno al vaglio della rimozione). Queste tracce determinano quello che possiamo definire il “sintomo” col quale è alle prese.

Con l’avvento sempre più frequente della terapia online, come cambia il “setting” terapeutico? Quali vantaggi e quali svantaggi per il paziente? E per il terapeuta?

La terapia online cambia non tanto i principi epistemici di una psicoanalisi, quanto piuttosto le sue modalità pratiche. Per il paziente il primo vantaggio è non dover interrompere il lavoro di analisi intrapreso. O meglio: che questo possa fare un’esperienza personale e non essere immerso in un pensiero collettivo dell’epidemia. Emanciparsi quindi dalle modalità con cui l’epidemia e le malattie influiscono sulla sua vita. Possiamo anche aggiungere che il fatto di rimanere nella propria casa, scegliendo tra il telefono e altri mezzi più visuali (Facetime, Zoom o altri) mette in rilievo il contesto nel quale vive il paziente. Il suo “setting” parla di lui: la sua casa è una versione materiale della sua persona, dei suoi gusti, dell’ambiente che si è costruito. Dal lato dello psicanalista, l’assenza del corpo del paziente mette in evidenza l’importanza di cosa rimane. E la psicanalisi dà grande risalto ai “resti”. L’esperienza mi ha insegnato che questo lavoro di separare le parole dai corpi è molto faticoso. Conviene concentrarsi su ogni parola pronunciata dal paziente, non perdersene nessuna, perché l’interpretazione sia efficace per il soggetto e vada a toccare, oltre le parole, le pulsioni in gioco.

Nègre: «Una nuova alleanza tra storia e tecnologia»

Il mutamento è in primo luogo un mutamento nel tempo. Storia e tecnologia formano un’alleanza obbligata e forse senza alternative. Questo iltema al centro del dibattito di sabato 14 novembre alle 11.30 nell’ambito di Biennale Tecnologia, che vedrà protagonista Valérie Nègre, architetto di formazione, docente di storia della tecnologia alla Sorbona ed esperta dell’interazione tra architettura, tecnica e società.

L’incontro che terrà con Carlo Olmo si intitola: “Tempo di mutazioni: un’alleanza tra storia e tecnologia”. Di quale alleanza si parla?

Di un’alleanza complessa. Il titolo del dialogo, dato da Carlo Olmo, vuole portare l’attenzione sull’importanza del tempo, o piuttosto dei tempi, delle mutazioni. Tempi lunghi segnati dai miglioramenti e dai perfezionamenti successivi, e tempi corti generati da salti tecnologici. Ma non si tratta solo dei tempi necessari alle mutazioni. Si tratta di riflettere sulla storicità degli oggetti tecnici. La storia è indispensabile per capire i fenomeni tecnici, che si tratti di una storia “esterna” (sociale, politica, intellettuale) o “interna” (attenta al dinamismo intrinseco delle tecniche).

La tecnologia sta influendo sulla nostra contemporaneità, velocizzando il processo di questo tempo di “mutazioni”. Questo processo in futuro rallenterà o continuerà ad accelerare?

Il concetto di rallentamento e accelerazione suppone l’esistenza di una sola scala temporale che vale per tutte le tecniche e in tutte le parti del mondo. Un tempo lineare unico, universale. L’idea diffusa secondo cui staremmo vivendo un’era di trasformazioni tecniche sempre più rapide è riduttiva. Se esaminiamo l’insieme delle tecniche in uso nel mondo, come spiega lo storico inglese David Edgerton, e non soltanto le nuove tecnologie di cui si parla prevalentemente in occidente, vediamo che esiste, oltre alle tecniche avanzate, una grande varietà di tecniche meno visibili, che racchiudono ancora potenziali economici considerabili, e questo tanto in Europa quanto in Asia. Le nuove tecniche non sostituiscono mai interamente le tecniche antiche. Non ci stiamo evolvendo in un’unica direzione.

In questa alleanza tra storia e tecnologia, cosa ci insegna la storia? Anche a fronte del tema dell’obsolescenza programmata.

La storia ci insegna che bisogna imparare a guardare gli oggetti tecnici come prodotti del tempo. Non è soltanto l’idea della coesistenza di tecniche provenienti da tempi diversi; è che gli oggetti tecnici incorporano tempi differenti. La variabile tempo è evidente, per esempio, nel caso degli oggetti a obsolescenza programmata. I produttori li costruiscono incorporando già una durata corta, perché noi poi li ricompriamo. Ma in realtà qualsiasi oggetto porta con sé un tempo determinato. La storia ci invita ad aggiornare costantemente l’intreccio temporale di ogni oggetto e ci avverte che bisogna riflettere sul tempo delle cose se vogliamo costruire un mondo sostenibile. L’esempio più evidente è quello delle centrali nucleari, dove lo scarto temporale è enorme. Un tempo, come sottolinea la filosofa e storica della scienza Bernadette Bensaude Vincent, che sfugge alla prospettiva, all’immaginazione; un tempo al di là del tempo umano. Considerare gli oggetti tecnici come prodotti del tempo è una sfida, ma anche una fonte di innovazione.

Il Covid segnerà un momento di mutazione da un punto di vista storico, economico, sociale e sanitario. La tecnologia come potrà giovarne per i suoi sviluppi?

Nel settore delle tecniche si sa che le catastrofi naturali, gli incidenti, i fallimenti conducono al riassetto delle pratiche e delle teorie, suscitano perfezionamenti e, a volte, innovazioni radicali. Uno dei benefici che la tecnologia potrebbe trarre dal Covid (ma è un auspicio) è di vedere la nascita di una riflessione interdisciplinare sul rapporto delle società occidentali con le norme e coi rischi.

In questo momento si sta rafforzando un modo più fluido ci concepire gli spazi di casa e lavoro. Come muterà il concetto di spazio (e tempo) a fronte di questi cambiamenti?

Quello che sta cambiando è il lavoro a distanza. La smaterializzazione degli scambi ha un’evidente tendenza a trasformare profondamente le nostre relazioni sociali e la nostra concezione dello spazio. Viviamo in un mondo in cui il “capitale” del sapere tecnico accumulato è colossale e, allo stesso tempo, il nostro savoirfaire tecnico, in confronto ai nostri antenati, è minore. Assistiamo a una tecnicizzazione crescente del nostro ambiente e, contemporaneamente, a un regresso della conoscenza tecnica di tutti i cittadini.






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