giovedì 4 novembre 2021
Una mostra al Castello Ursino omaggia il fotografo e la sua riflessione sul tempo e sullo spazio, capace di restituire sacralità a luoghi apparentemente insignificanti e anonimi
Gabriele Basilico, Tra Alba e Barbaresco, 2008

Gabriele Basilico, Tra Alba e Barbaresco, 2008 - © Archivio Gabriele Basilico

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C’è poca Sicilia nelle visioni di Gabriele Basilico. Era un suo grande cruccio. Avrebbe voluto percorrerla e guardarla meglio, attraversarla e girarla più volte. Fermarsi per coglierne tutte le contraddizioni. Che si manifestano in quei pochi scatti che ci ha lasciato: come una visione di Palermo, nel 1985, macchine fra muri e insegne. Ma è la Sicilia oggi ad accoglierlo e a omaggiarlo in una mostra (aperta fino al 6 gennaio) di immagini inedite, esposte nel magnifico scenario del Castello Ursino di Catania. 'Territori intermedi' il titolo, una raccolta di fotografie realizzate fra il 1985 e il 2011. Un progetto editoriale rimasto nel cassetto, che «ha origini lontane, purtroppo non condiviso nella sua effettiva realizzazione con l’artista, ma rispettoso delle sue scelte e indicazioni. Un quaderno di appunti che diviene libro», per usare le parole di Filippo Maggia, curatore dell’esposizione (accompagnata dal volume edito da Skira, pagine 160, euro 45) voluta dalla Fondazione Oelle - Mediterraneo Antico in collaborazione con l’Archivio Gabriele Basilico e il sostegno del Comune di Catania, per riflettere sul tempo e lo spazio. Sulla bellezza. Quella conclamata. Ma soprattutto quella da scoprire nel tessuto «medio» o «mediocre» delle città, nelle fabbriche, nelle periferie che a nessuno interessano, «così orribili che se le guardi bene poi così orribili non sono». «La bellezza – diceva il fotografo scomparso prematuramente nel 2013, a 69 anni – è un concetto astratto che non riguarda l’oggetto in sé, ma il modo di guardare». Così Basilico restituisce bellezza e sacralità a luoghi apparentemente insignificanti e anonimi. Persino alle macerie e al degrado. «Acute riflessioni sul concetto di spazio e di forma – dice il direttore della Fondazione Oelle, il fotografo Carmelo Nicosia –, che hanno rappresentato il focus della ricerca di Basilico. Sono fotografie che trasudano passione, che superano la commessa professionale e che ci fanno apprezzare una dimensione privata e romantica dell’artista. Basilico emana visioni, una sorta di avvicinamento sensoriale alle alchimie delle immagini, e governa la costruzione delle inquadrature come quadri rinascimentali con le armonie della composizione e della luce». Le visioni di Basilico, fra storia e modernità, fra bellezza e mediocrità, fra stupore e voglia di riscatto, “occupano” un luogo simbolo della città, l’antica fortezza medievale che custodisce – nel suo museo civico – testimonianze di epoche lontane. Per leggere i “territori”, capire cosa abbiamo costruito e dove vogliamo andare.

Gabriele Basilico, Milano, 1985

Gabriele Basilico, Milano, 1985 - © Archivio Gabriele Basilico

Una grande tela con una visione sovietica di Mosca dialoga con un frammento di un mosaico del IV secolo posto all’ingresso delle terme romane di Piazza Dante: i putti esprimono il loro motto, «Utere feliciter». Goditi la vita, vivi felice. Non sappiamo se c’è felicità nelle visioni di Basilico: di certo c’è l’uomo. Anche se non si vede o si intravede. C’è di certo vita. Che scorre, oltre i muri fotografati e le linee prospettiche, aperte, delle città che annodano pensieri e storie. Ci sono le tracce, i segni lasciati da chi quei luoghi abita: macchine, luci, antenne, insegne. Così i muri parlano e raccontano l’uomo e il suo contesto. Più a- vanti un’altra gigantografia, Milano: le guglie del duomo e uno scorcio di Palazzo Reale, aprono la strada a cinquantacinque visioni che ripercorrono i “luoghi” simbolo di Basilico, approdati in tanti, importanti lavori editoriali e committenze, ma con scatti – come detto – inediti: da Beirut a Valencia, da Amman a Bilbao, da San Francisco a Istanbul. Sempre con il suo stile. Unico e nello stesso tempo universale. Le visioni che non ti aspetti di una Nizza senza il mare, di Santiago de Compostela senza pellegrini o Shanghai senza i grattacieli. Immagini che sorprendono e che impongono al visitatore che si muove nello spazio in cima al castello, di fermarsi a leggere (anche perché l’allestimento è proprio con grandi leggii). «I territori intermedi sono spazi fisici regolati di volta in volta da quegli elementi che l’autore ci indica come veicoli per entrare nell’opera e leggerne, e forse respirarne il contenuto. Spazi che si allargano in ampie vedute dove molti eventi contemporaneamente accadono. In diversi suoi scritti, lectures, interviste – ricorda Maggia – Basilico ci rammenta che è indispensabile calarsi nell’immagine con lentezza per riuscire a coglierne la coerenza interna, la medesima lentezza in origine necessaria al fotografo per percepire lo spazio». Che può apparire vuoto, eppure «colmo di segni che Basilico ci invita a guardare ascoltare, misurare».

Il notturno di Lérida del 1995, per il curatore, è l’emblema concettuale di “Territori intermedi”: il primo piano brullo, le tre automobili parcheggiate, i fantasmi delle auto che scorrono, i lampioni dietro che annunciano la città, la notte che incombe. Un quadro, dove esercitare «l’atto del vedere». Chissà cosa avrebbe fotografato Basilico di Catania, quale periferia, quale prospettiva. Non possiamo saperlo. Ma sappiamo che avrebbe voluto farlo. «Insieme a Marsiglia, Catania era la città che Gabriele diceva sempre di voler raccontare. Gli mancava. Non ne ha avuto l’occasione e il tempo», ci confida la moglie, Giovanna Calvenzi, anche lei una vita per la fotografia. Eppure oggi Catania dedica a Basilico una grande mostra, che merita un viaggio. E grazie alle visioni del fotografo paesaggista prova a trovare la sua.

Gabriele Basilico, Shanghai, 2010

Gabriele Basilico, Shanghai, 2010 - © Archivio Gabriele Basilico

​Fondazione Oelle, un'eruzione d'arte ai piedi dell'Etna

Sarà forse «presuntuoso e illusorio sperare che la fotografia possa rieducare alla visione dei luoghi », quel che è certo è che «uno sguardo sensibile, meditativo, centrato, può aiutare a rivelare ciò che è davanti ai nostri occhi ma spesso non è riconoscibile ». Le parole sono di Gabriele Basilico. A citarle è Ornella Laneri, anima vulcanica della Fondazione Oelle - Mediterraneo Antico, imprenditrice illuminata che ha deciso di investire sull’arte per riaccendere il fermento culturale della città ai piedi dell’Etna. La mostra su Basilico è solo l’ultima delle sue scommesse. «Le sue visioni dei margini e delle periferie delle città in continua trasformazione offriranno sicuramente a visitatori e istituzioni spunti di riflessione sulla nostra società e su un prossimo futuro da re-immaginare», aggiunge Laneri, imprenditrice del turismo, che ha portato nell’hotel di famiglia, il Four Points by Sheraton della riviera di Acicastello, la fON Art Gallery, uno spazio espositivo che “invade” i cinque piani della struttura con mostre temporanee dedicate ad artisti emergenti – con particolare attenzione ai siciliani – e opere della collezione della Fondazione di maestri della fotografia e dell’arte contemporanea italiani e internazionali. Tra questi Agostino Bonalumi, Alfio Bonanno, Urs Luthi, Carmelo Nicosia, Urano Palma, Marco Nereo Rotelli, Tamàs Kazas. Tra i tratti distintivi della Fondazione, diretta da Carmelo Nicosia, il tema del «viaggio della memoria», una visione unica per la valorizzazione del territorio che passa attraverso la riscoperta di luoghi che sono stati oggetto di momenti importanti di storia civile.

È in questo contesto che si inserisce uno dei suoi progetti più importanti, Area 43 Sicily Landing district: una rete che comprende già i comuni di Linguaglossa, Noto, Siracusa e Troina e che mira allo sviluppo di un turismo emozionale tramite la valorizzazione e la promozione dei luoghi che videro protagonista la Sicilia durante lo sbarco delle truppe alleate del 1943, dando risalto agli importanti giacimenti culturali che ne hanno segnato il percorso. Come la fotografia, da Robert Capa (Troina gli ha dedicato un museo ad hoc) a Phil Stern, il grande fotografo americano che ha scattato le immagini più significative durante lo sbarco anglo- americano e che ne ha ripercorso le tappe 70 anni dopo. La Fondazione ha dato vita al Phil Stern Pavilion che oggi ospita una collezione permanente di fotografie esposte all’interno del Museo dello Sbarco 1943 (a cura di Ezio Costanzo) negli spazi delle Ciminiere di Catania. Proprio qui, si è inaugurata da poco un’altra mostra di assoluto rilievo: la prima dedicata in Europa a Michael Christopher Brown, il fotografo statunitense considerato il simbolo del fotoreportage contemporaneo, capace di raccontare il mondo, la sua umanità, le sue sofferenze, le sue guerre, quella libica in particolare, con un semplice iPhone. Nel 2019 per iniziativa della Fondazione, Michelangelo Pistoletto ha realizzato per la prima volta in acqua, nel Mediterraneo, il suo Terzo paradiso, con rifiuti plastici raccolti per portare alla ribalta il tema dell’inquinamento dei mari. Quel mare in tempesta nei giorni scorsi per l’uragano che ha devastato la città. Ferita. Ma capace di guardare e andare lontano. Con scatti d’arte.

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