sabato 31 maggio 2014
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«Vedo la Terra azzurra sotto di me, è bellissima». È la frase storica del primo uomo nello spazio. Sono passati 53 anni: era il 12 aprile 1961 quando il russo Jurij Gagarin si proiettava verso la prima orbita terrestre compiuta da un uomo. Era il primo passo: 108 minuti di tempo per decollare dalla rampa del Kazakistan, compiere un giro completo attorno al globo, e rientrare sulla Terra, lanciandosi con il seggiolino eiettabile dalla sua navicella, la Vostok 1. Da quella stessa piattaforma di lancio, mercoledì sera è partito l’ultimo equipaggio di tre cosmonauti su una Sojuz destinati alla Stazione spaziale internazionale.Da quel lontano 1961 l’astronautica non è più una scienza spaziale giovanissima. Ha superato il mezzo secolo, e ora l’uomo è diventato sempre più consapevole di poter abitare lo spazio, con permanenze sempre più lunghe. In attesa di nuove sfide, come i viaggi verso Marte o, più imminenti, i voli del turismo spaziale, che porterà inevitabilmente ad aumentare il numero di persone che avranno superato la fatidica quota dei 100 chilometri, i numeri sono già importanti.A illustrarli è un dossier realizzato (e pubblicato sul New Scientist) da Gilles Clément e Angelia Buckley, due analisti spaziali e docenti della sezione francese dell’Isu (International Space University). Hanno calcolato quanti astronauti, cosmonauti (nella dizione russa) e taikonauti (in quella cinese) sono stati nello spazio, e per quante ore in totale vi sono rimasti, fino al dicembre 2013. E molte altre statistiche.Una curiosità: fino allo scorso dicembre 539 astronauti hanno viaggiato tra le stelle (una media di dieci all’anno) contro i poco meno dei 566 scienziati finora premiati col Nobel in discipline scientifiche. In totale, sono state effettuate 1.211 missioni (dal Vostok 1 all’ultimo lancio di una Sojuz del 2013). Il 57,3 degli astronauti è stato nello spazio meno di un mese, il 18,7 da uno a tre mesi. Solo il 5,8 ha trascorso (in una o più missioni) almeno un anno nello spazio. Nella statistica non sono compresi i voli di velivoli ad alta quota: non solo la navicella turistica della Virgin Galactic che volò nel 2004, ma anche i molti voli dell’aero-razzo X-15 che negli anni sessanta portò diversi collaudatori della Nasa fino a 100 chilometri di altezza, tra i quali Bob White, Pete Knight e Bill Dana. Sono però compresi i due brevi voli sub-orbitali (quindi balistici, cioè senza entrare in orbita) dei primi due americani nel 1961: dapprima Shepard e poi Grissom.L’America si lancia nelle lunghe (per l’epoca) permanenze dal 1965 con il volo di 14 giorni della Gemini 7 di Borman e Lovell, mentre i sovietici iniziano dagli anni settanta a sviluppare i primi laboratori orbitanti Saljut proprio per stabilire i primi record di permanenza. Significativo quello di 211 giorni di Berezovoij e Lebedev su Saljut 6 nel 1982, e poi quelli del 1988 (366 giorni di Titov e Manarov) e i 14 mesi di Valerij Poliakhov sulla stazione spaziale Mir, che resta ancora oggi il record in una missione unica: «Puntiamo a 16 mesi – ci disse Valerij, cosmonauta medico del team russo, che incontrammo poco dopo il rientro – Per le missioni su Marte infatti, dobbiamo verificare un durata continuativa di almeno 18 mesi». Attualmente chi ha trascorso più tempo in orbita, ma in più missioni, è il russo Sergeij Krikaliev, con 803 giorni. Per gli americani, dopo le missioni Gemini, arrivano i giorni gloriosi degli sbarchi sulla Luna: da Apollo 7 (primo volo con equipaggio del 1968) fino all’ultimo sbarco dell’Apollo 17 (dicembre 1972) le missioni durano da un minimo di sei giorni con la sfortunata Apollo 13 che dovette rientrare a Terra per una grave avaria, fino ai quasi 13 giorni dell’ultima spedizione lunare. Le lunghe permanenze per gli astronauti Nasa arriveranno solo con lo Skylab (84 giorni con la missione conclusa l’8 febbraio 1974), ma solo dagli anni 90, sulla stazione russa Mir, gli americani arriveranno a trascorrere molti mesi in orbita: la durata standard di una missione attuale sulla stazione spaziale. Con lo space shuttle infatti, la durata media di una missione era di 12 giorni, a causa delle limitate riserve di energia a bordo.Il dossier esamina anche il fattore rischio e incidenti. La percentuale è bassa per gli incidenti mortali: considerando le due tragedie di voli shuttle (Challenger nel 1986, Columbia nel 2003 con un totale di 14 astronauti deceduti) e due di voli Sojuz (la 1 nel 1967 e la 11 nel 1971 con quattro cosmonauti periti) è dell’1,5 per cento. Rischio più basso di quello che si corre cercando di raggiungere la vetta dell’Everest. La percentuale non conta però gli incidenti a terra (i tre dell’Apollo 1 sulla rampa di lancio nel 1967, e alcuni astronauti periti in incidenti su aerei in volo di collaudo).Il dossier di Clement e Buckley fa anche notare che 31 astronauti hanno trascorso, in più missioni, oltre un anno nello spazio, quindi il tempo sufficiente per una missione per Marte (e ritorno). La speranza è di poter contare, quanto prima, di astronauti in missione per almeno 20 mesi in una sola missione: sarebbe la durata media di una missione su Marte. Ma i tempi sono ancora lunghi.
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