domenica 27 novembre 2022
Da Timothy Weah a Marcus Thuram: fratelli e figli d’arte scendono in campo e ridanno un po’ di poesia a questo calcio iridato
L’americano Timothy Weah, figlio del grande George, ex giocatore del Milan e oggi presidente della Liberia

L’americano Timothy Weah, figlio del grande George, ex giocatore del Milan e oggi presidente della Liberia - Ansa

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Al Mondiale del Qatar ci sono i familismi della Fifa e di Infantino e il sano lare domestico che ritrovi in campo nei fratelli serbi Milinkovic- Savic: il sergente Laziale Sergej e lo zio Vanja, il portierone del Toro. Sì il calcio può essere anche un dramma di Checov, o una grande commedia popolare. Il passato è sicuramente una terra straniera. E ci sono stranieri che hanno lasciato un segno profondo nella memoria di cuoio italica.

Le nobili dinastie africane Pelè e Weah

È il caso di George Weah, presidente della Liberia, ma prima leggenda del football, Pallone d’Oro 1995, titolo conquistato con la maglia del Milan, e padre del talentuoso Timothy Weah, autore del gol del momentaneo vantaggio degli Usa sul Galles (poi finita 1-1). In quel magico ’95 di Weah senior, nel Torino giocava un altro campione africano, il ghanese Abedi Pelè. Vincitore della Coppa d’Africa nel 1982, entrato nella top ten Fifa World nei primi anni ’90, con 73 presenze e 33 gol nella sua nazionale, Pelè è considerato il più grande calciatore nella storia del Ghana. Quella maglia del “Brasile d’Africa” oggi la indossano con onore i suoi due figli, Andrè e Jordan, i quali portano stampato sulla schiena il vero cognome di papà Pelè: Ayew. Il centrocampista Andrè Ayew, 33 anni, che ha segnato il gol del momentaneo pareggio nella sfida con il Portogallo (persa dal Ghana 3-2) gioca in “casa”, è un tesserato dell’Al-Sadd, uno dei club di Doha. Jordan, classe ’91, è un attaccante che ha speso gli ultimi sette anni in Premier, all’Aston Villa, poi Swansea e ora al Crystal Palace. Tim Weah dopo la formazione in Francia, al Psg, è approdato giovanissimo in Scozia e con i Celtic di Glasgow ha vinto una Coppa di Lega. A 22 anni Tim-gol vanta già due titoli nazionali con Psg e Lille (sua società attuale). Poteva diventare un nazionale francese, il passaporto ce l’ha, ma tutta la trafila l’aveva fatta con le selezioni giovanili Usa e il 27 marzo 2019 ha debuttato con la nazionale maggiore contro il Paraguay, e con la maglia a stelle e strisce finora ha realizzato 4 gol in 26 partite. La saga dei Weah, così come quella degli Ayew continua.

Anche il calcio ha i suoi fratelli Williams

Il Ghana custodisce un’altra storia singolare di fratellanza calcistica. Non solo il tennis infatti può sfoggiare le sorelle Williams, le ex regine Serena e Venus, infatti questo torneo iridato ci regala i fratelli Williams, Inaki e Nico. Figli di migranti ghanesi che nelll’anno mondiale di Usa 94 hanno attraversato un altro deserto, quello del Sahara, per dare un futuro a questi due ragazzi che sono venuti al mondo nel paese che ha accolto i loro genitori, la Spagna. Due attaccanti, compagni di squadra nell’Athletic Bilbao, ma non ai Mondiali, come accadde anche ai fratelli Boateng, Kevin Prince (centrocampista giocava nel Ghana), e Jèrome (baluardo difensivo della Germania). Il “vecchio” Inaki, 28 anni, nato a Bilbao, partito dalle nazionali giovanili della Furie Rosse (fino all’’Under 21) dopo aver indossato anche la casacca della nazionale dei Paesi Baschi, ha scelto di far parte della selezione delle sue radici, il Ghana, la squadra più giovane del torneo con gli Usa. Nico, 20 anni, nato a Pamplona, è invece una delle scommesse della Spagna di Luis Enrique che confida nella velocità supersonica e il talento di assistman di Williams II e lo ha già fatto debuttare nel 7-0 inflitto al povero Costa Rica.

Daley Blind, mi manda papà Danny

Anche l’Olanda ha la sua saga famigliare, nei Blind. Daley Blind, difensore, classe 1990, figlio d’arte di Danny, stesso ruolo e usciti entrambi dalla gloriosa scuola calcistica dell’Ajax. Papà Danny di Mondiali ne ha disputati due, Italia ’90 e poi quello americano del ’94. E anche in questo, Daley pareggia i conti con la sua seconda convocazione dopo quella di Brasile 2014. Un’estate di svolta quella per Blind jr che venne acquistato dal Manchester United con cui vinse il primo e unico trofeo internazionale nel 2017, l’Europa Legue, battendo in finale la sua “seconda famiglia” l’Ajax. Ed è nella casa dei Lancieri che Daley ha voluto fare subito ritorno l’anno seguente e ad Amsterdam ha preparato questo che, a 32 anni, potrebbe essere il suo ultimo Mondiale, quindi da vivere con energia, come una bella spremuta di Oranje.

Gli Schmeichel, portieri vincenti

Sarà quasi sicuramente il Mondiale dell’addio quello in Qatar per Kasper Schmeichel, 36 anni, portiere della Danimarca come già fu suo padre Peter che disputò i Mondiali francesi del 1998. Una bella carriera quella di Kasper, arrivato nella Premier inglese a 17 anni (nel Leeds) e pur non giocando come papà Peter in un top club come il Manchester United è riuscito nell’impresa di vincere il titolo nazionale con il Leicester City guidato da Claudio Ranieri, nell’epica stagione 2015-2016. Papà Peter ha una bacheca piena zeppa di titoli europei, quello con la Danimarca “ripescata” che vinse a sorpresa nel ’92 quando venne eletto miglior portiere dell’anno (bis anche nel ’93) e la Champions con lo United con cui ha conquistato anche 5 Premier. Kasper si è difeso bene nel confronto ravvicinato con il genitore e dalla sua può vantare un record che papà Peter non ha: premiato per quattro volte come calciatore danese dell’anno (dal 2016 al 2020), un primato condiviso con Brian Laudrup e l’idolo della Danimarca odierna, il redivivo Christian Eriksen.

Thuram jr, figlio dell’antirazzismo

La vera impresa per Marcus Thuram sarà riuscire, a fine carriera, a vantare uno score almeno avvicinabile a quello di suo padre Lilian. Rispetto a Blind e Schmeichel, questo figlio d’arte del pallone mondiale almeno ha scelto un ruolo agli antipodi rispetto all’illustrissimo papà. Lilian è stato un muro difensivo quasi insuperabile, Marcus è un attaccante di belle prospettive. Thuram senior si è consacrato in Italia, al Parma dei Tanzi e poi alla Juventus. Marcus a Parma c’è nato, nel 1997, e poi dopo essere cresciuto al Sochaux, sta arrivando a maturazione nella Bundesliga con il Borussia M’gladbach con cui viaggia in doppia cifra nella classifica marcatori. Un dato che ha indotto il ct Didier Deschamps rivedere le sue idee e convocarlo in extremis nella Francia campione del mondo in carica dove alla bisogna entra al posto di Giroud o Mbappè ieri autore della doppietta vincente sulla Danimarca. Il sogno ora è emulare papà Lilian, che nel ’98 sotto il cielo di Parigi, assieme al Deschamps calciatore, alzò la Coppa del Mondo diventando lui stesso una delle “Stelle nere” di cui da tempo va scrivendo e dissertando in conferenze in giro per i continenti per sensibilizzare, specie i più giovani all’antirazzismo.

“Chicarito”, un clan da Coppa del Mondo

La famiglia Hernandez Balcazar è il vero enclave artistico del pallone iridato. Javier il “Chicarito”, è nella rosa del Messico anche a Qatar 2022 dopo aver disputato le edizioni Mondiali del 2010, 2014 e 2018. Javier a differenza dei suoi antenati ha avuto la grande occasione europea al Manchester United e al Real Madrid (poi West Ham e Siviglia) e se l’è giocata dignitosamente, ma senza diventare un recordman, come invece lo è con la nazionale del Messico che lo convoca dal 2009 e di cui è il principe assoluto dei capocannonieri: 52 gol. L’allievo ha superato il maestro: suo padre Javier Hernandez Gutierres detto il “Chicaro” giocò i Mondiali di Messico ’86, quelli vinti dall’Argentina di Maradona e a sua volta aveva eguagliato nonno Tomas Balcazar Conzalez, morto quasi 90enne nel 2020, che al nipote “Chicarito” aveva raccontato di quel suo Mondiale del ’54 in cui segnò un gol alla Francia, l’unico lampo di quel piccolo Messico pieno di nuvole.

Simeone nel segno del “Cholo” Diego

Abbiamo citato Diego Armando Maradona e il Mondiale della “mano de dios” vinto dall’Argentina nell’86, quando il Cholo Diego Simeone era già una speranza delle giovanili e avrebbe fatto la sua apparizione con l’albiceleste nel ’91 vincendo la Copa America (successo bissato nel ’93). Ma 106 presenze nella Seleccion e una carriera d’oro, soprattutto italiana (lanciato dal Pisa e poi passaggi importanti alla Lazio e all’Inter) non gli hanno regalato il sogno Mondiale. Gap da colmare che ora spetta al figlio del tecnico dell’Atletico Madrid, il “Cholito” Giovanni Simeone, classe 1995, anche lui formatosi in Italia (Genoa, Fiorentina, Cagliari, Verona) e che ironia della sorte arriva a questo Mondiale da giocatore del Napoli e da protagonista degli azzurri che giocano nello stadio intitolato all’inarrivabile “Eupalla” Maradona.

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