giovedì 9 settembre 2010
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Illudersi sarebbe folle, ma qualcosa pare davvero cambiato. Ancora non nella sostanza forse, ma nella forma certamente sì. E a volte anche quella conta per iniziare a ricostruire il castello crollato. L’azzurro di Cassano, la Nazionale di Prandelli, l’Italia della gente. «C’era qualcosa di sbagliato - dice il ct della rifondazione azzurra - se fino a qualche mese fa i campioni andavano in giro per il mondo e non prendevano applausi. Ora l’affetto è tornato e sta nascendo qualcosa di bello...». Non è il caso di fare trionfalismi per le vittorie in Estonia e contro Far Oer. Ma sorridere sì, perchè l’impatto è diverso da quel che lasciava prevedere la depressione sudafricana. Cassano, Balotelli, la qualità ritrovata. E poi la voglia di giocare. Spazio alla fantasia, al divertimento, in attesa dei test più veri. Però il segreto deve essere stato un altro. «C’è voglia di tornare a identificarsi con la Nazionale», dice Cesare Prandelli all’indomani della partita contro i dopolavoristi delle isole nordiche, vinta 5-0 e con il primato in classifica nella corsa a Euro 2012. Ma soprattutto il calore di Firenze e otto milioni di telespettatori, col 31% di share. Se la morbidezza dell’avversario vale per sminuire l’entità del risultato (ma erano 17 anni che la Nazionale non vinceva una partita con uno scarto del genere), serve anche per aumentare il peso del successo mediatico. Chiaro che nessuno era incuriosito dalle Far Oer, gli occhi erano tutti per la nuova Italia. E se anche Firenze canta all’unisono l’inno, forse qualcosa è davvero cambiato. «È stata una serata magica, hanno vinto tutti - dice il ct -. Da parte nostra, c’è voglia di ritrovare lo spirito di squadra. La strada è ancora in salita, sarà difficile. Ma è questa, nessun dubbio...».Prima ancora che il punteggio pieno in classifica, lo racconta il feeling ritrovato con il pubblico. A ben vedere, la vera grande differenza tra l’Italia di Lippi e quella di Prandelli. «La depressione post Mondiale? Ho visto facce felici, le vittorie aiutano - racconta il protagonista della primavera azzurra -. Era strano vedere la Nazionale in giro per il mondo non prendere applausi. C’era qualcosa di sbagliato. Allora abbiamo fatto un passo verso la gente, non ci voleva tanto. Ritrovare la simpatia era il nostro primo obiettivo».La mancanza di sintonia con i tifosi, e la lontananza tra il clan azzurro altezzosamente guidato dal tecnico che protendeva di vivere cent’anni sugli allori del trionfo mondiale, erano chiari anche prima dei disastri sudafricani: «Quando per la prima volta siamo scesi in campo, c’erano dei tifosi che chiedevano autografi - racconta oggi Prandelli -. E i ragazzi sono andati: hanno capito che era una richiesta di affetto, i rapporti umani nascono così».La mente va all’avvio dell’avventura sudafricana, quella mattinata a Venaria quando i tifosi si arrabbiarono perchè parte dei giocatori non avevano risposto alle loro richieste di autografi e foto, rimanendo una ventina di minuti chiusi nel pullman in attesa di partire. «Non so rispondere se mi chiedete perchè prima non sia stato fatto, è qualcosa che non mi appartiene - glissa Prandelli -. Certo, se le cose vanno male ti chiudi nella bolla che ti dà sicurezza; ma per me la bolla è molto ampia, la vita è una bolla: non devi mai aver paura della gente, nè delle tue paure. Ne ho parlato a lungo con i ragazzi, ho detto siate generosi, ma non li ho obbligati. Se ora vanno a salutare i bambini o i tifosi all’allenamento, è merito loro: avevano voglia di riabbracciare la gente».Prandelli il pacificatore, il commissario tecnico che convoca i migliori senza guardare alle antipatie personali, l’uomo che snocciola la formazione alla vigilia di ogni partita senza pensare che sia un segreto da custodire gelosamente. Anche questo ha contribuito a rendere più simpatica questa Nazionale. Ma il vero merito del ct è quello di esser ripartito dal gioco. In attesa delle partite di ottobre, vero snodo della qualificazione agli Europei. «Sì, contro Irlanda del Nord e Serbia giocheremo le due partite più importanti, e dovremo essere molto più squadra», dice Prandelli, ben consapevole dello scarso peso specifico delle due vittorie alle spalle. «Stiamo cercando un filo conduttore. Ecco - spiega - quando ho detto che l’unica via era la qualità, tutti hanno pensato a certi giocatori. Ma io intendevo anche la costruzione di un gioco: se punti su due calciatori aspettando che ti risolvano la partita, è complicata...». Anche se i due giocatori, Prandelli in realtà li ha. «Aspetto Balotelli», aggiunge il ct lasciando capire che neanche per gli spareggi dell’Under 21 lo lascerà a Casiraghi. «Ora lavoro per vedere se la squadra può reggere un tridente con Mario, Cassano, e una punta centrale: la strada è quella».Per il resto, Prandelli conta in qualche sorpresa dal campionato e guarda ai giovani dell’Under. «Ranocchia e un paio di altri, vedremo. Non copiamo Spagna o Argentina, ma vogliamo fare il nostro calcio andando ad attaccare qualsiasi avversario, anche il più forte». Forse non è solo un abbraccio o un autografo che segnano il cambiamento.
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