venerdì 2 ottobre 2020
L'81enne regista bolognese sul rapporto cinema e pallone
Il regista Pupi Avati

Il regista Pupi Avati - Virginia Farneti/Ansa

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Dal campo al grande schermo, a pensarci bene l’unico film italiano che ha dato piena dignità al calcio (lungi dall’americanata di Fuga per la vittoria, con il pugilistico Stallone in porta e l’effetto speciale della rovesciata di Pelé) è stato Ultimo minuto, pellicola del 1987 diretta da Pupi Avati.

E l’81enne, eclettico regista e scrittore bolognese (impegnato sul set di Lei mi parla ancora: la “saga” famigliare degli Sgarbi) è consapevole della bontà di quella sua opera, niente affatto datata.

È opinione comune che Ultimo minutosia l’unico caso nel nostro cinema in cui si può rintracciare un minimo di verosimiglianza con il mondo calcistico, che attenzione, non è quello degli anni ’80, ma il “sistema” di sempre.

Però forse un personaggio come Walter Ferroni, interpretato da quello splendido fuoriclasse di Ugo Tognazzi, non esiste più...

No infatti, un romantico che passa la vita sui treni viaggiando su e giù per l’Italia per tentare di salvare squadre di provincia è una figura che si è estinta. Al posto del caro vecchio direttore sportivo che masticava calcio i presidenti odierni hanno messo i manager, i quali, in teoria dovrebbero sapere tutto di finanza, ma a ben vedere poi, tra conti in rosso e i fallimenti in serie delle società, forse oltre a non sapere proprio nulla di pallone non si intendono neppure di economia.

A chi vi eravate ispirati per il ds Ferroni?

A Italo Allodi, lui era il nostro eroe. Uomo di calcio capace con il suo talento innato di costruire il “piccolo Brasile” del Mantova per poi inventarsi, con il presidente Angelo Moratti, la grande Inter di Helenio Herrera. Ma Allodi era un vincente, il mio Ferroni invece è il classico perdente.

Un perdente dal fascino carismatico di un Giovanni Galeone, quando dalla scrivania passa alla panchina.

E guarda caso Galeone venne a vedere il film... quando ancora la gente andava al cinema – dice amaro –. Poi ci conoscemmo a cena, dopo la proiezione. Sì, un Tognazzi del calcio il nostro Galeone. La serata dell’anteprima all’Empire fu condotta da Giampiero Galeazzi e ricordo un certo imbarazzo in sala da parte di alcuni calciatori che erano stati coinvolti nello scandalo delle scommesse: questi riconoscendosi nel personaggio di Emilio Boschi (interpretato da Massimo Bonetti) l’attaccante che truccava le partite, disertarono in massa la nostra cena...

Calcioscommesse, corruzione, l’ombra del doping, inciuci societari, tutti mali del pallone che Ultimo minuto denunciava chiaramente.

Grazie agli sceneggiatori, Italo Cucci e Michele Plastino, la consulenza di Aldo Biscardi e di Enrico Ameri – che compaiono anche nel film – fummo accompagnati in questa nostra esplorazione in un campo che, meglio di me, conosce bene mio fratello Antonio. Ma quei mali del calcio non sono esclusiva dello spogliatoio ma di tutti quei gruppi sociali e di lavoro avvelenanti dall’egoismo e dalla competitività esasperata.

Pasolini, nel 1964, girò Comizi d’amore incontrando il suo, il vostro Bologna: oggi non sarebbe il caso di tornare con le telecamere negli spogliatoi e far discutere un Cristiano Ronaldo di qualcosa di più profondo della prestazione o del gol in rovesciata?

Possibile, ma noi comunque non sappiamo che tipo di uomo sia realmente Ronaldo. A me, ad esempio, incuriosisce moltissimo Dybala, ma più che il talento dell’argentino della Juventus mi piacerebbe conoscerne l’aspetto umano. E questo dovrebbe essere il lavoro del buon giornalismo sportivo che, al di là dell’arido commento tecnico e della “modulistica” (il 4-3-3 o il 5-3-2) dovrebbe spingersi oltre e tratteggiare il profilo umano e psicologico di colui che di mestiere fa il calciatore.

Tornando al calcio sul grande schermo, quanto le era piaciuto il Benito Fornaciari presidente del Borgorosso Fc?

Io amo tutto il cinema di Alberto Sordi, anche quando recitava in un film, diciamoci la verità, non eccezionale come Il Presidente del Borgorosso. Sordi è stato un comico straordinario ma personalmente ritengo che la vetta più la raggiunse con una commedia amara come Una vita difficile di Dino Risi, un capolavoro.

Film del 1961, lei Avati aveva 23 anni: chi era allora il suo “eroe della domenica”?

Ezio Pascutti, il “Testina d’oro” del Bologna dell’ultimo scudetto (1963-’64). Oggi chi è il mio idolo? Pippo Inzaghi, che è un amico e gli riconosco da sempre un carisma che si va rafforzando con le imprese del suo piccolo grande Benevento, una delle due storie davvero interessanti di questa strana e surreale stagione calcistica.

E l’altra storia quale sarebbe?

Il Monza di Silvio Berlusconi e di quel grande saggio di Adriano Galliani che in un mondo un po’ omertoso come quello del calcio non ha nessuna paura a proclamare: «Il mio Monza in due anni salirà in Serie A». Galliani conserva il sorriso rassicurante degli uomini di una volta, infonde serenità alla squadra, ha quelle buone maniere sempre più rare e una conoscenza calcistica che i suoi poveri competitor, che hanno reso il calcio una “scienza inesatta”, se la sognano.

Molti suoi colleghi registi pensano che Francesco Totti sia l’Alberto Sordi del pallone...

Purtroppo, non mi sono mai permesso di importunarlo, ma sono sicuro che sarebbe stato un attore fantastico nel mio film Gli amici del Bar Margherita. L’avrei visto benissimo come avventore tra Abatantuono e Lo Cascio. Totti è una persona straordinariamente ironica, consapevole anche dei suoi piccoli limiti, uno che conosce l’arte dell’autosfottò, tipica del grande attore comico.

Ultimo minuto, prima del triplice fischio di questa nostra chiacchierata: torneranno a riempirsi prima gli stadi o i cinema? Nel calcio girano ancora tanti soldi e quindi è destinato a riprendersi più in fretta del cinema che invece è sempre più povero ed è ormai in balia dalle piattaforme digitali che trasmettono migliaia di titoli al giorno. E poi, nelle case degli amici vedo tanti megaschermi alle pareti che mi fanno capire che la comodità non si baratta più con un biglietto al botteghino...

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