venerdì 4 gennaio 2013
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​Il futuro a Treviso, sono due guanti grandi su delle manine piccole, a difesa di una porta di calcio. Il domani, ha la faccia d’angelo di Alessio, un “piccolo amico” del 2007, alto quanto un condor, ritto sugli scarpini e sulle sue ali, pronto a spiccare il volo da un palo all’altro, per evitare il gol alla squadra che ha fatto dell’accoglienza la vittoria più importante. La squadra è l’Asd Condor di Treviso. Un cammino calcistico benedetto dalla chiesa dell’inespugnabile campetto di San Lazzaro. I primi spogliatoi di questo storico club, fondato nel 1947, erano dei vagoni ferroviari. Simbolo di un viaggio da fermo, che avrebbe condotto nell’attuale campo sportivo di via Tandura tanti bambini, figli di stranieri emigrati, in quello che almeno fino a ieri era il centro più florido del ricco Nord-Est. «Abbiamo ragazzi di 10 nazionalità diverse, che vanno dal Kosovo al Camerun», dice orgoglioso Salvatore Ferla, “straniero” anche lui, «i miei genitori sono di origini siciliane, vivo a Treviso dal ’92», responsabile del settore giovanile della Condor, società affiliata all’Atalanta e che nella “Marca” ormai conoscono un po’ tutti come la “squadra dei rifiutati”. «Quei ragazzi – spiega Ferla – che altrove hanno trovato la porta chiusa o se ne sono dovuti andare perché i loro genitori non potevano sostenere le spese della scuola calcio (si va da un minimo di 300 euro fino a 650 euro all’anno) da noi hanno trovato una seconda casa». In pochi anni così, la piccola Condor è passata da 160 ai circa 300 tesserati attuali che compongono le rose delle 14 formazioni che vanno dai “Piccoli Amici” del portierino Alessio, alla prima squadra iscritta al campionato di Terza categoria. Piccoli calciatori, “non più rifiutati”, qui crescono liberi e spensierati nel campo che dista appena 300 metri dalla Ghirada, il prestigioso centro sportivo della famiglia Benetton, «con la quale c’è un’ottima collaborazione. Di recente hanno messo a disposizione la loro struttura per un nostro torneo giovanile», dice il Presidente-medico della Condor, il dottor Walter Adamo. Una realtà, quella in cui mosse i primi passi Renato Buso, il baby-talento della Juve fine anni ’80, che dal 1999 è stata riconosciuta dalla Figc “Scuola calcio qualificata”. Ma, soprattutto, trattasi di società specializzata nel recupero di calciatori in erba a rischio abbandono che vengono affidati alle cure certosine dei suoi 11 istruttori, tra i quali non manca anche in questo caso lo “straniero” pienamente integrato. «Giovanna Lamon, una delle nostre due “mister” – dice il ds Fernando Michelon – che allena i più piccoli, arriva dall’Africa e da bambina è stata adottata da una famiglia trevigiana». Adozione, accoglienza, volontariato, una “triade” socialmente utile, quanto ricorrente, all’interno di questo club che si è inventato il «baratto» per i genitori che non possono pagare la retta annuale. «Non hai i soldi per le spese del materiale sportivo che a inizio stagione diamo a tuo figlio, assieme a tutto il supporto tecnico degli istruttori? Va bene, ma magari sei un papà falegname o muratore e quindi puoi mettere il tuo lavoro a nostra disposizione per aggiustare gli spogliatoi o se sai guidare il pullman allora puoi accompagnare la squadra del tuo bambino in trasferta», dice soddisfatto il segretario Eugenio Piovesan. Nascono così i “nonni autisti”, accompagnatori ufficiali della Condor. Ma l’invenzione che ha spiazzato tutti, più di un rigore, è stata quella dei “genitori steward”. «Quella del papà o la mamma che, a ogni nostra gara, ora indossa la sua bella pettorina di steward, è stata un’emergenza educativa. Non se ne poteva più di adulti che litigavano e lanciavano messaggi verbalmente violenti che i figli recepivano mentre giocavano, condizionandoli inevitabilmente da un punto di vista psicologico. Con questa figura abbiamo riequilibrato a nostro vantaggio il senso del rispetto e dell’educazione, fuori e dentro il campo». Valori imprescindibili, realizzati e condivisi da tutti nella Condor, assieme alo spirito di lealtà, solidarietà, amicizia e tolleranza. Il tutto coordinato da un’attività di puro volontariato che comincia sul campo e arriva fino alle colonne del giornalino interno, il Condor Notizie. Ma sul campo di via Tandura non crescono solo margherite, anche in un’isola felice e di fratellanza del pallone, qualche problema da sistemare c’è sempre. «Come un po’ ovunque, anche noi dobbiamo fare i conti con le classiche carenze economiche e, soprattutto, strutturali – conclude Ferla –. Gli iscritti per nostra fortuna aumentano ogni anno, ma il terreno di gioco, un campo regolare e un campetto, sono ormai insufficienti per tutte le squadre. Poi, sarebbe ora di porre fine alla guerra tra poveri, quella tra le società che si rinfacciano il “ratto del ragazzino” che va a giocare altrove, invece che nella squadra vicino casa. Collaborazione e consociazione, a cominciare dalle 12 “Scuole calcio qualificate” del Veneto, è l’unica via da seguire per garantire ai nostri ragazzi il miglior domani sportivo possibile».
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