venerdì 23 agosto 2019
Il maestro ha aperto il Festival di Portogruaro con un concerto al pedal piano, strumento estinto. «Oggi si suona sempre la stessa musica. Invece io amo divulgare. E per farlo, sfido anche un robot»
Il maestro Roberto Prosseda, uno dei pianisti italiani più richiesti, al Festival Internazionale di Musica di Portogruaro (Venezia)

Il maestro Roberto Prosseda, uno dei pianisti italiani più richiesti, al Festival Internazionale di Musica di Portogruaro (Venezia)

COMMENTA E CONDIVIDI

«Il repertorio musicale è immenso, ma quello che viene suonato in giro, per ragioni di popolarità, è solo il cinque per cento dell’esistente. Insomma, si sentono sempre le stesse cose: per questo la mia missione è quella di riscoprire, sperimentare e divulgare». A Roberto Prosseda, autorevole pianista di livello internazionale che ha recentemente guadagnato una notevole notorietà incidendo per Decca la produzione integrale per piano di Felix Mendelssohn, la routine sta stretta. Ed ha ancora una volta dimostrato il suo spirito curioso, inaugurando martedì scorso il 37° Festival Internazionale di Musica di Portogruaro ( Venezia) con la presentazione in anteprima del nuovo modello di pedal piano fatto da lui costruire dagli artigiani Romano ed Egidio Galvan assemblando due pianoforti Fazioli sovrapposti. Il pedal piano (detto anche piano-pédalier o Pedalflügel) è un pianoforte doppio, dotato di una pedaliera simile all’organo, molto diffuso in Europa nel periodo romantico e praticamente scomparso ai giorni nostri. «Complice anche – aggiunge Prosseda – della trasformazione delle botteghe dei costruttori di pianoforti, che diventarono sempre più industrie. Le grandi aziende limitarono la varietà di modelli e tutti questi esperimenti finirono ». Il pedal piano venne ricostruito per la prima volta nel 2000 dal costruttore Luigi Borgato, ma oggi Prosseda, con un modello più facilmente trasportabile in tournée da lui ideato, è l’unico solista che si dedica regolarmente al repertorio originale per pedal piano. Portando in tour un repertorio sette-ottocentesco appositamente scritto per esso, con brani tratti dai cataloghi di Mozart, Schumann, Mendelssohn, Gounod, Liszt e Alkan, di cui al Teatro Comunale Luigi Russolo di Portogruaro l’artista ha presentato tre delle tredici preghiere ( Prières op. 66 ) «in cui l’eco profondo dato dal pedal piano è come una voce interiore che è anche espressione di una presenza divina» aggiunge (il concerto prossimamente sarà trasmesso su Rai Radio 3).

A questo strumento, che nei secoli scorsi era suonato nei salotti e nei teatri, Prosseda è arrivato dopo una delle sue tante ricerche. «La ragione è la stessa che mi ha sempre spinto fuori dal seminato. Cerco di evitare che il lavoro che io faccio diventi impiegatizio – aggiunge –. Il grande pericolo oggi, è quello di puntare troppo alle cose sicure, certe e ripetitive che poi però ci svuota. Dedicarsi quindi alla ricerca e sperimentazione mi ha sempre attratto». Prosseda, innanzitutto, è un grande cacciatore di inediti, sue molte scoperte su Petrassi, Salieri e, soprattutto, Mendelssohn «che è stata la mia fortuna più grande perché mi ha consentito di fare la prima incisione completa per pianoforte del compositore in 10 dischi con 59 brani mai registrati prima». Nel 2010 il pianista quindi aveva recuperato il manoscritto inedito del Concerto di Gounod per pedal piano e orchestra, «solo che non avevo lo strumento per suonarlo». Dopo molti tentativi anche all’estero e su internet, il pianista trovò per caso un modello di pedal piano del 1906 presso il negozio dei Galvan in un paesino della Valsugana dove trascorreva le vacanze. Dopodiché nel 2012 il maestro commissionò alla casa organistica Pinchi il modello con cui aveva suonato sino ad oggi, sino all’evoluzione del nuovo modello. Ma occorreva anche reinventarsi una tecnica ormai perduta. «È stato esaltante, ma anche molto frustrante perché non ero in grado di suonare questo strumento – ricorda il maestro –. Ho dovuto ristudiare lo sguardo e la coordinazione mani e piedi, rafforzare gli addominali bassi e imparare nuovi modi per tenermi in equilibrio. Ho scoperto muscoli che non sapevo di avere» aggiunge sorridendo. Una sfida, alla fine riuscita «che mi sta aiutando a suonare meglio e in modo più consapevole anche il pianoforte perché mi si sono aperti nuovi canali dal punto di vista cerebrale. È come se il computer della mente avesse fatto un salto di qualità, utilizzando una memoria maggiore».

Un tassello, inoltre, anche nella riscoperta di un repertorio dimenticato, che è la missione del Festival di Portogruaro dedicato quest’anno al paradigma romantico. «Certe cose o le trovi su youtube o a Portogruaro. Questo è il nostro punto di forza da 37 anni» conferma Paolo Pellarin, presidente della Fondazione Musicale Santa Cecilia, istituto cittadino nato nel 1838, che organizza il Festival come emanazione delle masterclass per i giovani maestri specializzandi (quest’anno ben 200 da tutta Europa). Intanto Prosseda, papà di tre bambini piccoli, prosegue anche i suoi progetti discografici accanto alla moglie, la pianista Alessandra Ammara assieme alla quale pubblicherà fra poco i concerti per due pianoforti e orchestra di Mendelssohn con l’Orchestra dellAja. «La musica è un dono, ma occorre anche che qualcuno sia pronto a riceverlo» ci spiega il musicista che da dieci anni propone lezioni di musica su Rai Radio 3 e dal vivo. «Faccio uno spettacolo con un robot, Teotronico vs. Prosseda. Il robot suona il pianoforte, ha un volto e parla. Io scrivo anche i testi dei suoi dialoghi. Lui impersona l’oggettività, l’efficienza, dei valori che purtroppo oggi nelle aziende sono molto di moda. Lui non sbaglia mai, fa sempre il suo compito alla perfezione, rispetta la partitura e non si lamenta mai». Prosseda e il robot, quindi rinverdiscono le sfide fra pianisti d’un tempo, stile La leggenda del pianista sull’Oceano interpretando gli stessi brani di Chopin, Scarlatti, Mozart. E il pubblico alla fine può votare.

«Di fatto questo è un aspetto della divulgazione a me tanto cara, ovvero spiegare i principi dell’espressione musicale, perché per potere capire la musica, il pubblico deve capirne i principi» è convinto il pianista. Alla fine, chi vince? «Il robot rappresenta tutto ciò che non bisogna fare, secondo me. Per spiegare cos’è un “rubato” o la flessibilità di una frase, faccio prima suonare lui, senza il “rubato” esattamente come è scritto, poi lo suono io. L’ascolto comparato mostra più di mille parole ed è anche più divertente». Anche se il musicista laziale chiude con una riflessione preoccupata: «Al giorno d’oggi la sfida in tutti i campi è come cercare di gestire la dilagante diffusione dell’intelligenza artificiale dei computer senza perdere la nostra identità di umani».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: