martedì 6 marzo 2012
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«Non proponiamo una lettura accademica, ma un’occasione aperta a gente di ogni età e condizione per riscoprire la cultura come strumento per entrare nella totalità della realtà. desideriamo aiutare a entrare nella Divina Commedia come un testo vivente». Fra Marco Finco, direttore del centro culturale Rosetum di Milano (via Pisanello 1), presenta così il ciclo di sei conversazioni sul Purgatorio tenuto dal professor Franco Nembrini a partire da stasera alle 21. «E per sottolineare il tasso di convivialità, proponiamo anche un happy hour prima di ogni incontro e spaghetti e birra a seguire, su prenotazione» (www.rosetum.it). Gli altri incontri sono in programma il 13 e 27 marzo, il 17 e 24 aprile e l’8 maggio. Dall’esperienza trentennale di insegnamento di Franco Nembrini e dalle decine di incontri pubblici sono nati tre libri («Alla ricerca dell’io perduto») dedicati a Inferno, Purgatorio e Paradiso, e più recentemente «Dante, poeta del desiderio» (tutti per le edizioni Itaca), con una versione più ampia e radicalmente rivista anche alla luce delle letture dantesche fatte da Nembrini insieme ai giovani dell’associazione Centocanti. Un’occasione per rifare un viaggio verso «un bene... nel qual si queti l’animo».Dedicato a quanti pensano che Dante è un arnese del passato, difficile da capire e pure un po’ noioso. Se sono disposti a sottoporre a verifica queste convinzioni – spesso frutto di semplice ignoranza o ereditate da infelici esperienze scolastiche – c’è un’occasione che sembra fatta apposta per loro: un ciclo di conversazioni sulla Divina Commedia, dedicato al Purgatorio e tenuto dal professor Franco Nembrini a partire da stasera al Teatro Rosetum di Milano (vedere box). Lui è uno che ne parla e ne scrive da trent’anni ma si schermisce: «Non sono uno specialista, solo un appassionato». Con la sua passione ha contagiato gente in tutta Italia: anzitutto i suoi studenti, ma anche decine di migliaia di giovani e di adulti a cui ha presentato il Sommo Poeta «come uno di noi, un uomo fatto di desideri e che riaccende il desiderio che ciascuno porta nel cuore». Nembrini – insegnante di scuola superiore e da alcuni anni rettore dell’istituto «La Traccia» di Calcinate – lo fa con una modalità così efficace che le sue conferenze («no, guardi, chiamiamole conversazioni») sono diventate una sorta di «cult», segnalate con un passaparola tanto informale quanto efficace che stupisce lui stesso. Un vero fenomeno di cultura popolare. Da dove nasce questa passione? «Nasce a dodici anni, una sera d’estate mentre stavo trasportando casse di bibite su e giù per le scale della cantina della drogheria dove lavoravo (eravamo dieci fratelli, padre bidello, appena possibile si andava a lavorare per dare una mano in casa). Rimasi folgorato da una terzina che avevo studiato e mi era tornata in mente: "E proverai sì come sa di sale/ lo pane altrui, e com’è duro calle/ lo scendere e ’l salir per l’altrui scale". È la terzina del Paradiso in cui il trisavolo Cacciaguida predice al poeta l’esilio, ma in quel momento era come se Dante parlasse di me, stanco e lontano da casa. Io cercavo le parole per dire la mia fatica, senza trovarle, e me le offriva un uomo vissuto seicento anni prima: potenza della poesia! Da allora la passione è cresciuta e l’ho sempre coltivata – prima da studente, poi da insegnante – perché più la leggo e più scopro che la Commedia racconta in modo unico l’esperienza mia e di tutti».È un modo piano, alla portata di tutti, quello che il professor Nembrini usa con i suoi studenti per presentare il viaggio dantesco, un modo che "attizza". La voce si sparge, nella sua casa di Trescore in provincia di Bergamo la domenica sera diventa un ritrovo per decine di giovani, la cerchia si allarga, la voce arriva alle mamme incuriosite da quei figli vanno "a divertirsi" in quello strano modo. Una di loro lancia l’idea: "Professore, perché non ne parla anche a noi che non andiamo a scuola?". Quasi per scommessa nasce "Dante per le massaie", un ciclo di incontri che fa il tutto esaurito negli 800 posti del teatro Donizetti di Bergamo. Una passione contagiosa: nel 2005 un centinaio di giovani fonda Centocanti, il cui statuto prevede che ogni socio conosca un canto a memoria, così che l’intera associazione diventa una sorta di Divina Commedia vivente (www.centocanti.it). Alcuni di loro cominciano a girare per scuole e centri culturali riproponendo la lettura di Dante che hanno imparato "dal Franco", inoltre si sviluppa un lavoro sistematico di lettura critica del poema che sfocia in convegni a cui partecipano anche studiosi e accademici. Ma lui, Nembrini, continua a dire che non è uno specialista. "Piuttosto un ’esperto’, cioè uno che ha fatto l’esperienza di leggere Dante a migliaia di ragazzi e di adulti, e ha visto crescere la passione e l’ha vista nascere in chi lo ascolta". Perché questo modo "popolare" di parlare di Dante riscuote così tanto successo di pubblico, anche tra la gente comune? "Perché Dante stesso ha scritto per il popolo («in pro del mondo che mal vive», come dice nel canto XXXII del Paradiso) e nella lingua del popolo, il volgare. Su suggerimento dei ragazzi di Centocanti ho recuperato il testo di una petizione che i cittadini di Firenze fecero intorno al 1360 al podestà e ai priori, perché, dicono, «desiderano tanto per se stessi quanto per altri cittadini aspirare alla virtù», e chiedono una serie di letture e spiegazioni della Commedia per tutti, che poi fece Boccaccio. La riduzione di Dante a una questione da eruditi è un’abitudine moderna; leggerlo per tutti è semplicemente restituirlo alla sua intenzione originaria: lui parla della vita di tutti, e infatti la gente si riconosce nella sua avventura umana e si appassiona".Tra pochi giorni la scommessa di Nembrini sbarca in un teatro di Milano e punta sul Purgatorio. «È la cantica della misericordia. Lì sono puniti gli stessi peccati dell’inferno - è una montagna divisa in sette balze, una per ciascun vizio capitale - ma con dentro la speranza del perdono. È ciò che somiglia di più alla vita su questa terra, dove non siamo ancora dannati e non siamo ancora beati. Somiglia alla terra perfino geograficamente: c’è il sole, il tempo, la luce che va e che viene; e c’è la lotta, la guerra è tutta contro un male di cui si sa però che alla fine è vinto, perdonato. In fondo, è una promessa a cui guardare, specie in questo tempo travagliato. Il travaglio precede il parto». 
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