mercoledì 7 maggio 2014
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Comincia a marzo la scuola in Ar­gentina. E in quell’ultimo scorcio di estate sudamericana del 1964 en­tra nell’aula della quarta, fra le mu­ra secolari del Collegio gesuita del­l’Immacolata Concezione a Santa Fé, un insegnante di 27 anni. Ap­partiene alla Compagnia di Gesù. Non è né ma­gro né grasso. La fascia nera in vita gli cade fino all’orlo della tonaca. Si fa un segno di croce. Re­cita la preghiera prima della lezione. E inizia: «Mi chiamo Jorge Bergoglio e sarò il vostro profes­sore di letteratura spagnola e di psicologia». I ragazzi lo scrutano: hanno fra 16 e 17 anni. Qualcuno osserva: «Che “faccia di bimbo”»... Sarà il soprannome che lo accompagnerà per i due anni all’Immacolata. Insieme con un al­tro appellativo: maestrillo. Nulla di spregiativo. Nel vocabolario gesuita il termine spagnolo in­dica il “tirocinio” come docente per uno scola­stico della Compagnia. Un periodo che a Bergoglio avrebbe «insegnato a essere più padre e più fratello», dirà lui stesso. E in classe sembra anticipare lo stile del suo pon­tificato: dall’attenzione alla persona alla battuta semplice, dalla perseveranza al dialogo col mon­do. Lo si tocca con mano nel volume in uscita Maestro Francesco (Mondadori, pp. 96, euro 15) che racconta il futuro Papa visto da uno dei suoi allievi, Jorge Milia, oggi giornalista e scrittore.  Una «delle apparenti contraddizioni della Com­pagnia » – sostiene l’autore – porta il giovane Jor­ge Mario a Santa Fé: un chimico viene messo a insegnare lettere nel più antico collegio del pae­se. Ricercare e curiosare sono le sue parole d’or­dine. E per comunicarle ai ragazzi rivede le pras­si dell’Immacolata. Perché, scrive il giovane ge­suita  nella rivista della scuola, «spesso gli sforzi di trasmettere la verità ai nostri alunni si ridu­cono a una timidezza gelida». Così accade che il maestrillo metta nelle mani degli studenti i libri censurati dalla biblioteca dell’istituto. Oppure parli in classe dell’Inquisizione rifacendosi a Luis de León, il teologo spagnolo agostiniano che – chiarisce – «per colpa di invidie e gelo­sie » viene accusato di eresia. Un’affermazio­ne che letta oggi rimanda ai moniti di Fran­cesco sulle divisioni nella comunità eccle­siale. Ad animare l’insegnante – scrive Milia – è l’i­dea che «nell’ordine e nell’obbedienza» si può «dissentire, indagare, non essere d’ac­cordo, differenziarsi». Allora ecco l’intro­duzione in classe al gesuita Pierre Teilhard de Chardin, la cui opera era stata ritirata su indicazione del Sant’Uffizio. «Spero ba­sti per evitarvi di dire scempiaggini», dice Bergoglio. Agli studenti illustra l’idea di e­voluzione elaborata dal teologo; poi ac­cenna alla noosfera. Non che i ragazzi ca­piscano molto, ammette Milia. Ma, dopo quella mattina insolita, uno di loro, Mario Diez, divora L’ambiente divino dell’antro­pologo francese. E confiderà da adulto: «Non mi sono mai sentito solo di fronte a un testo. C’erano sempre gli insegnamen­ti di Bergoglio». Imprevedibile è anche la lettura di un rap­porto medico sulla crocifissione di Gesù: si fa riferimento al flagellum o all’asfissia. «L’arte ha stereotipato la croce fino a tra­sformarla in oggetto di bigiotteria», spiega il religioso in aula. E tornano alla mente al­cune espressioni del pontificato (come quella sui «cristiani da pasticceria») che fanno presa. Altrettanto la fa nei ragazzi la lezione sull’amore che «non va confu­so con i boleri o le telenovele», pungola il professore. Da buon gesuita si affida spesso all’ironia. Quan­do, il primo giorno di scuola, uno degli adole­scenti gli fa notare di aver scelto un manuale «piuttosto spesso», replica: «Osservazione profonda. Continui così e ci colmerà della sua saggezza». Alla bidella un po’ irritata per il bac­cano della sua classe in biblioteca chiede un ri­medio: «Che ne dice di appenderli per i pollici o qualcosa del genere?». Allo stu­dente, talento nelle caricature, consegna uno schizzo con la sua faccia terrorizzata dopo la do­manda trabocchetto al termine del bell’esame di riparazione: un modo divertente per co­municargli l’esito. Nel collegio la spinta “rivoluzionaria” di Bergo­glio va oltre la sua classe. Due studenti, affasci­nati dai Beatles, vogliono mettere su una «band di capelloni» e lui li sostiene: anzi, fa mettere a disposizione gli amplificatori usati dal rettore e li fa esibire a scuola. Col risultato che uno degli aspiranti artisti, Pepe Cibils, sarà l’organista al­la sua prima Messa. Ancora. In un istituto tutto maschile, il padre porta il genio femminile sul palcoscenico aprendo gli spettacoli annuali alle ragazze (e preannunciando la sua riflessione sul­la valorizzazione della donna nella Chiesa). Sem­pre ricorrendo al teatro consente ai ragazzi di in­contrare i testi dell’ateo Albert Camus metten­do in scena I giusti. E uno dei suoi ex alunni, Se­reno Oscar Grassi, è adesso attore e regista a Wa­shington. Nell’era Bergoglio all’Immacolata salgono in cat­tedra anche gli scrittori. Come María Esther Vázquez che, dopo la lezione, il profes­sore accompagna a casa degli studen­ti per proseguire il confronto, la­sciando trasparire il suo approccio di prossimità che nelle telefonate da Papa troverà un sigillo. Certo il colpo da maestro rimane il ciclo di lezioni di Jorge Luis Borges. Quasi cieco, affronta sei ore di autobus per incontrare una classe dove «dei ra­gazzini avevano letto tanto della mia opera», riconoscerà l’autore argenti­no. La visita – nota Milia – è l’incontro fra la fede del giovane gesuita e l’agnosti­cismo della celebre penna. Di quell’avven­tura resta il libro Racconti originali scritto da otto studenti di Bergoglio con la pre­fazione di Borges e un’introduzione pensata dal futuro Papa ma fir­mata dal prefetto degli studi. A­gli adolescenti che non vedo­no di buon occhio lo “scippo”, replicherà: «Quando sono entrato nella Compagnia di Gesù, ho lasciato fuori ogni ambizione».  Fra gli allievi che finiscono nel libro c’è anche Milia, «pecora nera» su cui, però, il maestrillo vede lungo. Per­ché, sostiene il giornalista, la sua pedagogia punta a ri­velare il lato migliore di o­gni ragazzo. Guai però a raggirare la fiducia del gio­vane professore. Ne sa qualcosa proprio Milia che viene rimandato in letteratura per non aver consegnato in tempo un compito. «L’ho fatto – svelerà il gesuita dopo l’eccellente esame – non per punirlo ma per far­gli capire che quello che conta è il dovere com­piuto ogni giorno». Quando Bergoglio la­scia Santa Fé, ha in mano solo una valigia con qualche libro. E sembra quasi di ve­derlo mentre, da Pa­pa, sale sull’aereo per il Brasile con una borsa nera dove ha il rasoio, il breviario, l’a­genda e un testo da leggere.
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