Come è cambiato negli ultimi anni l’insegnamento della letteratura a scuola? E come è destinato a cambiare ancora nel futuro? Quando si affrontano tali questioni, in genere lo si fa in relazione alle innovazioni tecnologiche che stanno interessando la didattica: libri elettronici, tablet, lavagne interattive multimediali (le famose Lim), eccetera. Raramente ci si interroga a un livello più profondo, sul piano cioè dello statuto disciplinare dell’educazione letteraria e sugli obiettivi, oltre che sulle metodologie, di questo specifico insegnamento.Si è provato a farlo ieri al liceo Virgilio di Milano, in un animato dibattito che ha visto la partecipazione di alcuni dei più importanti studiosi di letteratura, presenti però nella veste di autori di manuali destinati alla scuola secondaria. Sappiamo che il periodo che stiamo attraversando è segnato, a scuola, da radicali trasformazioni e da notevoli problemi. Alcuni riguardano il versante degli studenti: ad esempio, quando si parla di letteratura il sospetto, la diffidenza o – al meglio – l’indifferenza nei confronti dei libri, della lettura, in una parola della cultura umanistica, percepita come lontana, astratta, incapace di favorire l’inserimento nel mondo del lavoro. Altre problematiche toccano invece gli stessi insegnanti, il cui ruolo è stato sempre più sottoposto a una burocratizzazione di stampo impiegatizio, svuotandolo della dimensione più propriamente intellettuale e culturale.Che fare dunque in tale contesto? Su posizioni diverse (a volte anche nettamente diverse), gli autori dei manuali che i nostri ragazzi si trovano a studiare concordano però un un punto: va ricercato un nuovo paradigma per la didattica della letteratura.
Guido Baldi – autore (insieme con Silvia Giusso, Mario Razetti e Giuseppe Zaccaria) della letteratura italiana attualmente più adottata nelle scuole italiane (pubblicata da Paravia, gruppo Pearson) – afferma che il primo sforzo che l’insegnante deve compiere è quello di motivare gli studenti, partendo, se possibile, dal loro immaginario e dai loro interessi, più che dai propri, visto che oggi il divario generazionale è quanto mai largo: «Dobbiamo renderci conto che gran parte dei testi della nostra tradizione letteraria sono scritti in una lingua pressoché incomprensibile per gli adolescenti di oggi. Quanti liceali sanno il significato di parole come "tedio", "usbergo", "speme", "gladio", eccetera? Si tratta di partire dalla consapevolezza di questa distanza, che può risultare scoraggiante, per poi capire che il nostro compito di docenti non è quello di formare dei critici letterari in erba, ma di far crescere dei futuri lettori. Ecco allora l’importanza di coinvolgere i giovani sul piano esistenziale rispetto ai testi che si trovano a leggere, facendo interagire i contenuti delle grandi opere con il loro vissuto».È d’accordo con Baldi
Romano Luperini, che ha curato per Palumbo una nuova storia letteraria non a caso intitolata
La letteratura e noi. Luperini sottolinea però un altro aspetto: «È ormai da tempo entrato in crisi il nesso sul quale, da De Sanctis in poi, è stato impostato in Italia l’insegnamento letterario, la catena, cioè, tra letteratura, storia patria e identità nazionale. Dobbiamo invece valorizzare la presenza delle letterature straniere all’interno del canone. Invece nelle indicazioni nazionali della riforma Gelmini, su 24 autori indicati come fondamentali, di stranieri ne figura uno soltanto, quasi messo lì per caso: Baudelaire».Sul tema dell’apertura alle altre letterature si accende una polemica tra Remo Ceserani e Giulio Ferroni.
Remo Ceserani è stato negli anni Settanta l’autore di un celebre manuale,
Il materiale e l’immaginario (Loescher), che all’epoca rivoluzionò la didattica: «Mi chiedo però che fine abbiano fatto quelle sperimentazioni. All’entusiasmo di molti insegnanti di allora non è seguito il consolidamento di una nuova metodologia e, anzi, la scuola di oggi mi sembra tornata a soluzioni reazionarie. Eppure in un mondo globalizzato come il nostro non si può più pensare che la letteratura equivalga alla letteratura italiana. Va superato il paradigma italocentrico ed eurocentrico».Chiamato direttamente in causa da Ceserani, risponde
Giulio Ferroni, autore per Einaudi di una
Storia della letteratura italiana di impostazione più tradizionale: «Evidentemente certe innovazioni spinte avevano un peccato di fondo: erano cioè basate su teorie accademiche che non tenevano conto delle condizioni reali in cui si svolge l’insegnamento scolastico. E poi credo che il primo confronto che va condotto per aprirci al mondo sia quello con quanto è stato prodotto nel nostro Paese; tanto più che la letteratura italiana, da Dante in poi, ha sempre avuto una grande apertura verso le altre culture».Nella direzione additata da Ferroni va una delle novità recenti della manualistica scolastica: la storia e antologia della letteratura italiana diretta di Pietro Gibellini per l’Editrice La Scuola con il titolo
Vivo, scrivo. Un libro che ci permettiamo di consigliare come esempio, insieme, di equilibrio culturale e funzionalità didattica.