mercoledì 6 giugno 2018
Ilaria Urbani in “Luci della frontiera" narra le storie di tredici religiosi alle prese con la marginalità, da Napoli a Caserta
Don Felix Ngolo, prete di strada a Pozzuoli

Don Felix Ngolo, prete di strada a Pozzuoli

COMMENTA E CONDIVIDI

Guardare il buio per cercare la luce, e raccontarla. Con questo spirito la giornalista e regista napoletana Ilaria Urbani si è accostata alla incandescente materia del suo documentario, Luci della frontiera - La Chiesa di strada, dedicato sacerdoti che scelgono di stare ogni giorno al fianco degli ultimi, nelle periferie di Napoli, riconoscendo «chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno». Missionari metropolitani che operano in territori spesso invisibili allo Stato e alle classi dirigenti. Tutto nasce da un suo libro pubblicato nel 2013, La buona novella. Storie di preti di frontiera, che raccoglie le testimonianze di tredici religiosi alle prese con la marginalità, da Napoli a Caserta. Poi, dopo un documentario dal titolo Non tacerò. La storia di don Peppe Diana realizzato per Rai Storia, Urbani ha confezionato una serie tv sui preti di strada in onda su Tv2000. Quei ritratti di 20 minuti circa sono stati montati e affidati a una continuità narrativa, trasformandosi nel documentario che le sale Acec, definite dall’Università Cattolica di Milano i “nuovi cinema Paradiso”, programmeranno fino ad ottobre.

La voce narrante è quella di Roberto Saviano. «Il film – dice la regista – è la continuazione di un percorso cominciato cinque anni fa. L’esperienza del libro di aveva molto arricchito e mi sembrava importate raccontare storia interessanti anche dal punto di vista giornalistico. Volevo raccontare, questa volta per immagini, marginalità ed esclusione attraverso lo sguardo di chi se ne occupa. In un momento di profonda crisi come questo che stiamo vivendo la Chiesa torna a un ruolo di grande protagonista sopperendo alla mancanza di strutture e di welfare, alle lacune di amministrazioni con bilanci disastrati che non offrono più servizi. I preti di strada da sempre danno un volto all’ascolto, alla solidarietà, alla comunità, alla dignità, alla libertà, alla pace, in nome dell’umanità. Con l’arrivo di papa Francesco questo percorso si arricchisce. “Continuiamo a seguire le periferie geografiche e dell’anima con la forza e il coraggio delle tenerezza”, dice il Pontefice ai giovani. Ma le periferie sbocciano anche nei centri storici delle grandi città: è una delle grandi contraddizioni generata dal capitalismo».

L’africano don Felix Ngolo si occupa quotidianamente dei ragazzi e delle loro famiglie nella baraccopoli di amianto a Pozzuoli, muovendosi tra disagio sociale e bellezze artistiche. L’88enne gesuita padre Domenico Pizzuti, sociologo e blogger, costruisce invece percorsi d’integrazione a Scampia, quartiere reduce da decenni di narcotraffico e criminalità, e si batte per la comunità rom in cerca di sistemazione. «Pizzuti, che continua a mettere sotto accusa la borghesia – racconta Urbani – sta dietro a tutti i cambiamento di un luogo rigenerato, che vanta circa 120 comunità si sostegno, incarnando con la lucidità di un vero statista valori contemporanei. Dopo la repressione, le condanne e gli arresti c’era bisogno di un percorso di ricostruzione. Questo non è avvenuto con la radicalità necessaria, ma con il sorriso si prova a rinascere ogni giorno».

Poi c’è don Franco Esposito, cappellano di Poggio Reale, bollato come uno degli istituti di pena più disagiati e sovrappopolati d’Europa. I percorsi creativi all’interno del carcere si devono a lui che, mattone dopo mattone, contribuisce alla rinascita di quel luogo. «Esposito instilla nella coscienza dei detenuti la convinzione che sia necessario recidere i legami con la criminalità organizzata, dentro e fuori le mura. Se lo stato non ti dà nulla, è difficile resistere li dentro. La strada è lunga e difficile, ma rappresenta un investimento sul futuro della società. Rieducare i detenuti significa non lasciare che diventino uomini peggiori». Padre Antonio Loffredo, figlio di imprenditori, opera tra i giovani del rione Sanità, che grazie alla cultura e ai monumenti si inventano un futuro dove la camorra non deve trovare po- sto. «Creando opportunità per trasformare i ragazzi del quartiere in protagonisti, organizzando corsi di lingue e turismo, Don Loffredo affronta il nodo della disoccupazione, grande risorsa della criminalità organizzata. Si occupa di restauro di beni artistici, delle Catacombe di San Gennaro e del teatro S. Anna, con risultati tangibili».

Don Gaetano Romano infine, a San Giovanni a Teduccio, ex quartiere operaio a Napoli est, ancora oggi in cerca di riscatto, crea possibilità per la formazione dei figli dei più poveri. «Da 30 anni combatte per sottrarre i ragazzini alla camorra. Di fronte alla Chiesa ha ristrutturato un luogo di ritrovo dove poter andare dopo la preghiera. Un’oasi per il doposcuola, l’attività fisica, gli anziani e le donne, madri spesso sole, con lavori umili e precari. Tra quelle mura la giunonica Carmela è la mamma di tutti ». Storie di dolente quotidianità, insomma, che neppure nella cronaca trovano più spazio. Ma anche storie di coraggio, determinazione e speranza, raccontato con il desiderio di aprire una finestra su ciò che tanti italiani ignorano e di aprire un dibattito, provocando una necessaria presa di coscienza.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: