lunedì 23 dicembre 2013
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Nel corso dei secoli il presepe è stato realizzato in tutti i materiali possibili, e tra questi anche in carta. Ma i presepi cartacei, proprio per la loro materia, erano destinati a deteriorarsi rapidamente, e quindi ne son rimasti pochi e la tradizione si è persa quasi del tutto. Ma oggi conosciamo molto su queste forme “minori” d’arte natalizia grazie al patrocinio del Comune di Corciano, in provincia di Perugia, che negli ultimi anni sta dedicando attenzione alla ricerca in materia, con studiosi come Antonella Parlani ed Emanuela Carpani. Si trattò quasi sempre di una produzione destinata a un pubblico popolare, ma che ebbe il merito di portare il presepe nelle case di tutti. Il genere prese avvio già nel Seicento, conobbe una speciale diffusione nel secolo successivo e proseguì fino ai primi decenni del Novecento. Si trattava, nella formula più semplice, di immagini incollate su un cartoncino sagomato; quando si volevano attuare strutture più corpose – tali da apparire come composizioni scultoree, o meglio, come una vera e propria messa in scena – si usavano pitture su cartapesta, sagomate e incollate su supporti più rigidi. La produzione di figure dipinte su carta o cartone scontornato si sviluppò soprattutto nei paesi della Germania cattolica e del Tirolo: bellissimi i Papierkrippen, omprendenti scene presepiali e immagini della vita e della passione di Cristo, conservati a Monaco nel Bayerischen Nationalmuseum e a Bressanone nel Museo Diocesano. Erano spesso fogli con le figure stampate da ritagliare e incollare, oppure di figure già sagomate, spesso colorate a mano o a tampone. A partire da questi elementi si sono sviluppati degli interi teatrini o almeno disposizioni prospettiche delle scene. Gli esempi più antichi sono xilografie o incisioni. A metà Ottocento il procedimento si accelera e si perfeziona con l’avvento della calcografia, della litografia prima e della cromolitografia poi. Quasi tutte le stamperie offrivano questi prodotti. Anche la Lombardia fu centro di copiosa produzione. Le tipografie milanesi De’ Castiglioni, Sagdos, Macchi, Stella, Duomo eccetera ne furono protagoniste. La sconfinata raccolta di stampe donata da Achille Bertarelli al Museo Sforzesco contiene numerosi esemplari di figure classificate come «alla maniera del Londonio». Ed era giusto perché Francesco Londonio (Milano 1723-1783) aveva lasciato un grande presepe di sagome dipinte conservato ancora in parte nella Basilica di San Marco a Milano. Fu modello per i presepi sette e ottocenteschi. Il Londonio, con eccellente formazione pittorica, fu scenografo del Teatro alla Scala, ai tempi di Maria Teresa d’Austria e il presepe risente positivamente di questa mentalità. Si presenta in due versioni: una incentrata sulla natività, con l’annuncio ai pastori e la loro venuta alla grotta, con le pecore, il bue e l’asinello; e l’altra legata alla festa dell’Epifania, con i Magi venuti da Oriente. Un altro presepe a sagome del Londonio, sebbene più piccolo, è conservato nella Chiesa di San Francesco di Lodi. Ma è il Santuario di Rho a detenere uno dei più interessanti esempi di presepi a silhouette, perfettamente conservato e ancora allestito ogni Natale nella sua disposizione originaria. Opera di Giuseppe Carsana (Bergamo 1822-1889), che affrescò buona parte del Santuario, si può far risalire al 1868. Eseguito a tempera su sagome a grandezza naturale è composto dal gruppo della Sacra Famiglia e dai pastori accorsi a Betlemme. In occasione delle festività dell’Epifania vengono aggiunti i Re Magi. È presentato con un effetto scenografico, con modi teatrali, quasi fosse un palcoscenico sul quale si muovono gli attori dipinti. Dietro i grandi teli che simulano una grotta si scorge un paesaggio dal gusto esotico, caro alla produzione ottocentesca. E proprio il Santuario di Rho sta collaborando alla ripresa dei presepi di carta vendendo a basso costo la stampa su cartoncino di tutti gli elementi che lo compongono, comprese le quinte, in modo che si può ricostruire in casa il grande teatro del Carsana.
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