martedì 21 luglio 2020
Il tecnico: «Riprendere è stato un bene. Ma è il tempo di cambiare: girano cifre immorali, troppe figure senza valori. Ho rifiutato l’estero, voglio un club italiano»
Cesare Prandelli, 62 anni, è stato anche ct della Nazionale (2010–2014)

Cesare Prandelli, 62 anni, è stato anche ct della Nazionale (2010–2014) - Epa

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Cesare Prandelli somiglia alle piante a cui si è dedicato nei mesi sospesi e cupi del lockdown. Gli ulivi. La solidità, la profondità delle radici, la capacità di rigenerarsi. «Ne avevo cura quotidianamente, era un po’ come ritrovare me stesso. Ho letto anche dei libri per saperne di più e occuparmene con più attenzione ». A 62 anni e dopo qualche scelta professionale frettolosa, Prandelli ha placato la frenesia e si è fatto amico il Tempo. Sa che un’occasione arriverà. Il suo unico obiettivo è quello di farsi trovare pronto. Il calcio italiano ha bisogno di allenatori capaci di portare in dote non solo e non tanto nozioni tattiche, quanto valori e condivisione. All’allenatore che quest’anno festeggia i trent’anni di carriera (ha cominciato nel 1990 con le giovanili dell’Atalanta) abbiamo chiesto di inquadrare il periodo che sta vivendo il nostro calcio.
Prandelli, le piace questo calcio post–coronavirus?
All’inizio ero molto scettico sulla ripresa. Uscivamo da mesi di ansia, settimane segnate dalla morte. Eravamo troppo coinvolti, non pensavo fossimo pronti. Ora che un po’ di tempo è passato e si è ricominciato a giocare, con sollievo dico che il calcio ha davvero qualcosa di miracoloso. Si gioca, ed è un piccolo ritorno alla normalità che fa bene a tutti.
Si gioca in contesti anestetizzati e in stadi vuoti.
Togliere la gente da uno stadio significa togliere l’anima del calcio. Mi fa male vedere gli stadi vuoti, spero che gradualmente ci venga data la possibilità di tornare a vedere dal vivo le partite. Ma sono consapevole che i tempi non li dettiamo noi, ma il coronavirus.
Lei come ha vissuto questi mesi?
È stato uno tsunami. Sono morti miei amici, persone alle quali volevo bene. Credo che l’aspetto più doloroso sia stato quello di non poter dare l’ultimo saluto ai propri cari. Morire da soli è quanto di più triste riesco ad immaginare.
Per il sistema-calcio italiano come si può provare a trasformare tutto questo in una opportunità di crescita?
Penso che ormai sia chiaro che il calcio non deve vivere in un pianeta lontanissimo, avulso dal contesto sociale. Per il futuro mi piace pensare ad un calcio più vicino alla gente, un sistema che sappia riflettere sulle proprie storture e provi a risolverle.
Per esempio?
Nel calcio girano cifre immorali. È un problema che va risolto, si deve lavorare per trovare una sostenibilità diversa. Vorrei un calcio che premia le competenze. Vedo tante figure improvvisate, senza cultura calcistica, senza valori, tutti fenomeni dalla sera alla mattina e tutti preoccupati soltanto del vantaggio personale.
La Figc sta pensando ad una riforma dei campionati, partendo dalla Serie C.
Quando ero ragazzo e giocavo nella Cremonese la C era un campionato semiprofessionistico. Si può tornare da dove siamo partiti, non c’è niente di male. Perché un ragazzo di venti o trent’anni non può dividersi tra fabbrica, ufficio, studio e calcio? Può lavorare e giocare, come si faceva una volta. Ciò contribuirebbe a dare più solidità al sistema.
Ha voglia di tornare ad allenare? Le manca la quotidianità del campo?
Sì, ho tanta voglia. E sì, mi manca. Mi piacerebbe trovare una situazione seria con un presidente che abbia voglia di investire sulle persone, non sui calciatori, ma proprio sulle persone, sulla loro credibilità, competenza e integrità.
Ha già ricevuto qualche offerta?
Sì, all’estero, una nazionale e più di un club. Ma le ho rifiutate. Le nazionali per ora no, ho bisogno di quotidianità, giorni messi in fila, confronti continui. E poi aspetto un’occasione in Italia. È casa mia, sento di dover proseguire un discorso interrotto.
Parliamo di calcio giocato: qual è la sorpresa del campionato?
Non dico niente di originale se indico l’Atalanta. Ma aggiungo: tutti dovrebbero prenderla ad esempio. C’è storia, tradizione, un progetto che parte da lontano. Niente arriva per caso, nel calcio. Ora c’è questa alchimia magica con Gasperini, che ha dettato i ritmi, ha inciso sul gioco... L’Atalanta è un modello.
Può vincere la Champions League?
Certo, ne sono convinto. In fondo sono tre partite con gara secca, e l’Atalanta nei 90 minuti può battere chiunque. È una squadra sfacciata e coraggiosa, con un’idea forte di calcio, una squadra unica, che non ha copiato nessuno.
Cosa non le piace di questa Serie A?
Quando ho cominciato ad allenare i miei maestri mi dicevano che i principi del calcio sono semplici e chiari. Ecco, sorrido quando sento gente che racconta di aver scoperto la luna e allenatori che a fine partita parlano di possesso palla anche dopo aver perso 3– 0... Il calcio è semplicità e pragmatismo, nient’altro.
Come giudica il percorso della nazionale azzurra?
Eccellente. Mancini sta facendo un gran lavoro. Ha avuto idee chiare fin dall’inizio. Quando ha convocato Zaniolo – che non aveva ancora debuttato nella Roma – sembrava una provocazione, invece era un primo passo verso il futuro. Mi piace lo spirito giovane e coraggioso che anima questa squadra, sempre e comunque. Credo che avere un anno in più a disposizione, porterà gli azzurri ad essere più pronti e maturi per l’Europeo del 2021.

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