mercoledì 8 marzo 2017
Una carriera segnata dagli infortuni, ma a 34 anni lo scalatore lucano è pronto per una nuova stagione
Domenico Pozzovivo (foto Vincent Curuchet)

Domenico Pozzovivo (foto Vincent Curuchet)

COMMENTA E CONDIVIDI

Passano gli anni ma lui è sempre in sella. Domenico Pozzovivo a 34 anni continua a scalare le montagne portandosi dietro un bagaglio di passione e interessi: una laurea in Economia aziendale già in tasca e una in cantiere in Scienze motorie, il pianoforte dell'amato Chopin, l'impegno per il suo Sud. Originario di Montalbano Jonico (Matera) è l'orgoglio di un'intera regione. Primo ciclista lucano a vincere una tappa al Giro d'Italia (quella con arrivo al Lago Laceno nel 2012), da giovanissimo con il quarto posto ai Mondiali under 23 e altri importanti piazzamenti lasciava presagire una carriera trionfale. Una serie però impressionante di infortuni gli ha tarpato le ali, fino all'ultimo terribile incidente al Giro del 2015 quando perse addirittura conoscenza.Eppure anche questa volta è ritornato in gruppo con una tenacia sorprendente che fa bene a tutto il movimento, lui che è sempre stato un volto pulito e genuino di questo sport falcidiato dal doping negli ultimi anni. Pozzovivo sarà dunque ai nastri di partenza per il primo test importante della stagione, la Tirreno-Adriatico, che prende il via oggi.

Quali sono i suoi obiettivi per quest'anno?
«Oltre alle Classiche farò Giro d'Italia e Vuelta di Spagna. Cercherò di arrivare tra i primi dieci al Giro (come già successo quattro volte, ndr) e vincere una tappa perché son passati diversi anni da quando vinsi a Lago Laceno, la soddisfazione più grande per me. La Tirreno-Adriatico mi dirà a che punto sono nella preparazione».

Ha qualche rimpianto per la sua carriera?
«Gli infortuni purtroppo mi hanno sempre frenato sul più bello. Avrei voluto difendere i colori della Nazionale come ho fatto da dilettante. Ma sono felice per essere tornato in corsa. Voglio esprimermi ad alti livelli ancora per qualche anno».

C'è stato un momento che ha pensato di smettere?
«È un pensiero che ti sfiora solo per un attimo quando rimani coinvolto in brutti incidenti. Nel mio caso la frattura della tibia o la caduta di due anni fa al Giro quando riportai trauma cranico e facciale. Ma questo sport ti insegna a non mollare mai. Puoi cadere, ma ciò che conta è rialzarsi sempre: è il nostro mestiere».

Dove trova tutta questa forza?
«L'educazione dei miei genitori mi ha aiutato molto a non arrendermi alla prima difficoltà. Bisogna far sacrifici per ottenere grandi cose. Ma devo tutto anche a mia moglie che mi è sempre stata vicina nei successi come nelle difficoltà. Due anni fa si spaventò molto vedendo da casa in Tv la mia caduta: a terra, col volto insanguinato e dopo aver perso i sensi... Ho avuto infortuni che mi hanno anche tolto l'autonomia: senza mia moglie non ce l'avrei fatta».

Quando ha deciso di correre in bicicletta?
«Da piccolo ho praticato diversi sport: dalla ginnastica al calcio e al podismo. Ma fu fatale una tappa del Giro di Basilicata che arrivò nel mio paese a Montalbano Jonico. Rimasi colpito dal fatto che a giocarsi la vittoria erano australiani, tedeschi, russi... L'internazionalità del ciclismo, il potermi confrontare con gente di tutto il mondo è stata una molla decisiva. Poi mi sono avvicinato alle corse quando Pantani era all'apice della sua carriera. Le sue imprese in salita mi hanno segnato. Purtroppo dopo essere stato idolatrato da tutti è stato lasciato solo nella sua fragilità dal nostro ambiente e da chi gli stava più vicino».

Il doping ha minato la credibilità del ciclismo.
«Uno come Armstrong ha fatto male a tutto il movimento, intere squadre sono state chiuse. Ma da anni il nostro mondo sta combattendo a viso aperto questo problema. E difatti i casi di doping sono diminuiti. Rispetto ad altri sport ci sottoponiamo a molti più controlli e siamo stati i pionieri dei test fuori competizione a qualsiasi ora della giornata. La disponibilità dei colleghi è massima ma ci sentiamo perseguitati. Anche perché c'è poca informazione su quanto stiamo facendo per ripulire il nostro ambiente. Paghiamo ancora oggi servizi che di giornalistico non avevano nulla e hanno gettato solo fango».

Lei oggi corre per la squadra francese AG2R La Mondiale. E tanti altri big azzurri corrono per team stranieri.
«Purtroppo in Italia non ci sono più grandi sponsor per allestire squadre di alto livello. Devi per forza andare all'estero. Ma il nostro movimento per fortuna continua a sfornare ancora campioni. Possiamo contare su corridori come Nibali e Aru che ci daranno grandi soddisfazioni anche in futuro. Ma occhio a Quintana, uno dei favoriti per vincere Giro e Tour».

Quanto le manca la sua terra?
«Torno spesso in Basilicata, soprattutto in inverno perché il clima è migliore rispetto alla Svizzera dove risiedo. E poi sono le strade che mi hanno fatto innamorare di questo sport. Sono fiero del carattere della mia gente, poco appariscente, che lavora con costanza e umiltà badando più ai fatti che alle parole. È una regione incontaminata, ancora poco conosciuta».

Un legame col Sud diventato anche oggetto di laurea.
«Sì ho discusso una tesi sulle "Politiche meridionalistiche dall'Unità d'Italia ai giorni nostri". Da corridore ho viaggiato tanto e vedendo le differenze con altri Paesi mi sono interrogato spesso sui problemi del Sud. Avendoli vissuti in prima persona ed essendo stato costretto a emigrare per fare il mio mestiere, mi piacerebbe impegnarmi per trovare delle soluzioni».

Come ha fatto a conciliare studio e professionismo?
«Non è stato facile, perché il nostro è uno sport molto totalizzante. Dopo aver discusso la tesi a Roma nel pomeriggio ero già sul Terminillo per preparare una tappa. Ma lo studio mi è sempre piaciuto, la passione ha fatto la differenza e oggi sono di nuovo sui libri per la laurea in Scienze motorie. Non solo molti in gruppo i colleghi laureati, mi piacerebbe essere d'esempio. Ho avuto sempre ottimi maestri, a scuola adoravo la filosofia, e mi piace rileggere le opere di Seneca».

Lo studio però non è la sua unica passione.
«Ho suonato il pianoforte per diversi anni prima del ciclismo. Mi piacevano molto i Notturni di Chopin. Poi la bici mi ha fatto scoprire la bellezza della natura e la passione per i santuari. Ovunque mi trovi, anche all'estero, non mi perdo una salita che conduce a uno di questi luoghi sacri. Dal primo in assoluto, il santuario della Madonna di Viggiano in Basilicata, li custodisco tutti dentro di me. Insieme al traguardo più bello della mia vita, il matrimonio con mia moglie Valentina».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: