sabato 22 febbraio 2014
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Due maestri. Duecento lettere. Quarant’anni . E cioè: Carlo Dionisotti e padre Giovanni Pozzi, tra i nostri massimi filologi e italianisti. La loro corrispondenza, che si srotola piana nel segno di studi alti e rigorosi, delinea anche un rapporto di amicizia. E un periodo che è sì quello che va dal 1957 al 1997, ma, salvo pochi cenni a fatti d’attualità, viene assorbito dentro scambi epistolari che hanno al centro edizioni e archivi, questioni attributive e ricerche, lavori solitari e quelli di varie scuole: dall’équipe friburghese a quella milanese di Giuseppe Billanovich. Quando, nel luglio 1957, nasce il carteggio che documenta tutto questo, ora disponibile grazie alla cura attenta di Ottavio Besomi (Una degna amicizia, buona per entrambi. Carteggio, Edizioni di Storia e Letteratura , pagine XLVIII+320, euro 38,00), Dionisotti è vicino ai cinquant’anni e ha al suo attivo oltre un centinaio di pubblicazioni; Pozzi ne ha trentaquattro ed è assistente di Billanovich, presso la cattedra di Filologia medievale e umanistica alla Cattolica di Milano. L’occasione è data dalla preparazione dell’indice di “Italia medioevale e umanistica”, che nel nuovo volume ricorre un’infinità di volte con la sigla – familiare ai più per altri motivi – di Imu. In quel periodo infatti Dionisotti aveva pronti quattro contributi che sarebbero usciti nell’annuario-rivista. Da quel primo contatto, ecco un continuo e reciproco arricchimento di conoscenze e giudizi, che aiuta a rileggere più di un capitolo di ricerca storica, letteraria e filologica del ’900 – in particolare legata alla cultura della Svizzera italiana – anche grazie ai riferimenti ad altri fondi d’archivio esplorati dal curatore e a missive parallele (ad esempio fra Pozzi e Giovanni Mardersteig o tra Dionisotti e Giulia Gianella).Così, via via, tra un «Caro Padre Giovanni» e un «Caro Padre», un «Caro Dionisotti» e un «Caro Professore», sino a «Caro amico e professore», fra toni controllati da parte del religioso e più vivaci da parte del laico formatosi presso un liceo torinese dei gesuiti, citazioni occulte ed echi di vicende familiari, manifestazioni continue di stima e solidarietà, al centro si aprono problemi di natura professionale, legati non tanto all’insegnamento quanto piuttosto alla ricerca. Pochi quei rimandi a grandi o piccoli eventi che è lecito sempre attendersi dai carteggi. Pensiamo ad esempio alle stagioni del Sessantotto, che Dionisotti liquida con una battuta quando – accennando a Billanovich il 17 novembre di quell’anno – scrive: «Speriamo che questi, riprendendo gli impegni accademici, non sia anche ripreso dal mal di mare della contestazione». Ma è tutto qui. O quasi. Il resto è fatica su testi fondamentali dell’Umanesimo italiano, diatribe latamente tradizionali da eruditi esperti di storia, retorica, metrica, tematologia, narratologia, linguistica, stilistica. Pronti a interrogarsi, ad esempio, sui veri rapporti fra l’Hypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna Pozzi e l’anonimo poemetto Delphili somnium (per Pozzi, preso atto delle stesse fonti, della medesima veste lessicale, dei temi affrontati, i due scritti erano probabilmente dello stesso autore, ma non si spingeva a una sentenza definitiva; per Dionisotti l’attribuzione al Colonna del Delfilo, restava gravata da «dubbi e difficoltà molto serie» pur dopo le prove «pesanti e impressionanti» prodotte da Pozzi). Non è questa la sede per inseguire altri filoni importanti del carteggio, laddove restituisce per esempio l’iter della grande impresa finalizzata all’edizione critica e al commento delle Castigationes Plinianae, il monumento di Ermolao Barbaro uscito nel 1493 a emendare l’Historia naturalis di Plinio il Vecchio dagli errori affluiti nel testo nel corso di una tradizione manoscritta e a stampa. Ed è poi normale che anche la geografia svizzera abbia qui più che un meritato risalto, confermato qua e là dalle lettere: «Bigorio e Friburgo sono sempre nella memoria e nel cuore», scrive Dionisotti il 7 novembre 1971. Ma nel pensiero di Dionisotti lontano lo stesso orizzonte geografico , ritagliato o meno (chissà, forse anche quello da lui scansionato secondo differenti tradizioni regionali o municipali), assorbe pure un punto di partenza per una dilatazione di sentimenti: «Vero è che in quel cerchio ticinese, fra Lugano e Locarno e Bellinzona, pensieri e affetti hanno messo per me radici così fonde che, al paragone, solo Romagnano prevale», nota il 7 dicembre 1977. Ma aggiunge: «Ed è vero che nel fondo continuiamo, diamo quel poco che ci resta in cambio del molto che abbiamo avuto: ancora dobbiamo e possiamo rispondere a quelli che ci hanno lasciato. Un abbraccio, caro padre».Nel frattempo la «degna amicizia, buona per entrambi» (così il filologo laico il 5 marzo 1982) si rafforza anche se in apparenza dirada, confermando qualcosa di solido ormai da tanto tempo. «Le sono stato molto vicino in tutti i modi della possibile vicinanza-lontananza, presso tutte le istanze a cui può rivolgersi la solidarietà e l’amicizia per le persone care. Le sue pene di ieri, fisiche e spirituali, del prossimo passato e quelle che ancora si allungheranno per fatale forza d’inerzia nel prossimo futuro sono presenti a me ed ai nostri giovani amici; e vorrei e vorremmo dividerle in modo più intimo ed operativo; ma accolga almeno il ricordo che rivive di giorno in giorno», aveva scritto padre Pozzi all’amico, ricoverato per un intervento, il 29 giugno 1974. Ed ecco allora che in filigrana, dietro e insieme a tanta limpida erudizione, si legge un rapporto fatto di calore umano e grande rispetto, fitto di sollecitazioni alla ricerca che coinvolgono anche tanti giovani, specie dottorandi. Non a caso Dionisotti trova in Svizzera allievi di Pozzi che diventano anche suoi; insieme li orientano, li stimolano, ne seguono la ricerca con amore e rigore e severità, godono del clima confidenziale che si instaura. Si respira nelle lettere, sino all’ultima – quando dei due corrispondenti e compagni di viaggio, l’uno è quasi novantenne, l’altro vicino ai settantacinque – una vibrante tensione morale, piuttosto laica, saldata alla passione per lo studio sostenuto dalla “dirittura filologica” lontana dagli ondeggiamenti rapsodici. Una “dirittura filologica” che si fa forma del pensiero e lettura del mondo. Senza dimenticare in questo mondo, al centro del passato come del presente (e il passato è costruzione del presente) c’è l’uomo. E un uomo, pare, che sigilla dentro di sé il suo credo.L'inedito/1"In Manzoni ripugnanza dell'abuso dialettale"La lettera di Dionisotti a Pozzi fa riferimento alle pagine del cappuccino raccolte sotto il titolo Nomi di Dio nei Promessi Sposi, dilatandosi poi a sentimenti di amicizia e ai consueti auguri. Il rinvio a Varrone allude alle etimologiae e contrariis proposte nel De lingua latina; il diminutivo vuole sottintendere al contrario alto valore delle “paginette” di Pozzi.
17 dicembre 1989Caro Padre,grazie del dono natalizio di queste paginette manzoniane che diminutive sono come etimologie di Varrone. Ritrovo leggendo l’ormai desueto aggettivo “edificante” che era rituale nella mia prima scuola. La commozione è tale che mi fa inghiottire senza sforzo una casella fonetica e un Federigo attore e non attante. Sono un compagno di viaggio vecchio e tardo, che di viaggiare non ha più voglia e che in questa deserta fine d’anno presenta la naturale e giusta necessità del sommeil de la terre. Ma ancora ho bisogno e voglia di conforto. Le paginette mi confortano. Accetto per me il diminutivo. Mi si apre una piccola finestra, di abbaino, su di una grande vista religiosa e letteraria. È altra luce, altra aria. Non fa più per me: devo contentarmi della quotidiana penombra, di una squallida e astiosa erudizione storica. Ma se mancasse affatto il ricordo di quella luce e vita, non sarebbe neppure più penombra. Vedo che leggendo le paginette ho fatto ingiuria con segni miei alla eleganza della stampa. Mi chiedo se nell’esclusione del nome di Cristo non entri anche la consapevolezza e ripugnanza dell’abuso dialettale blasfemo, la censura del linguaggio popolare. Ma un’ora di seminario sarebbe scarsa. Caro Padre, buona fine e buon principio. E grazie ancora. Se nel ’90 ci rivedremo, sarà bello, come ogni incontro è stato, da quel primo sulla terrazza di Figino. Se no, sarà stata una degna amicizia, buona per entrambi.Un abbraccio dal suoCarlo DionisottiL'inedito/2"Nel dopoguerra, lo sforzo di riabilitare l'Italia"Nella lettera di Dionisotti a Pozzi, la «festa pubblicitaria» cui si fa riferimento è il Grinzane Cavour di quell’anno; il rinvio a Domodossola richiama un convegno su Contini. I rimandi successivi sono ad anniversari legati ad Augusto Campana, Giuseppe De Luca, Lionello Venturi e allo storico della Chiesa Hubert Jedin.
8 novembre 1995Carissimo Padre,finalmente noi, la nostra storia, la vita che anche è stata mia quando ero altr’uom da quel che sono. Capita che, proprio quest’anno, mentre sto rotolando giù negli ottantotto, mi trovo nel bel mezzo di una festa pubblicitaria, premiato, intervistato, fotografato. In un paese sempre più strano per me, per la defunta generazione mia, rischio ora di apparire strano io a me stesso. Finalmente questa voce che riconosco, che mi rassicura e conforta, che mi richiama a quella che è stata, o vorrei fosse stata, la mia vita di studioso, di partecipe dello sforzo, nel dopoguerra, di riabilitare l’Italia, la storia d’Italia. Altro non dico. Grazie. Sarò assente ma presente anch’io col ricordo, con la reverenza, a Domodossola. Come poi a Roma per Campana, per De Luca; a Torino per Venturi. In questa lontananza e inerzia, mi assiste il ricordo dei maestri (anche, e finalmente, di Jedin). Ma anche mi assiste l’affetto e la fiducia e il vigore dei superstiti amici e compagni vivi e operosi L’abbraccio del suoCarlo Dionisotti
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