lunedì 26 ottobre 2015
​Ad Austin il pilota della Mercedes ha vinto la decima gara del mondiale, come fece Senna. Dal padre immigrato al fratello disabile, ecco la storia del campione. Paolo Ciccarone
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Vittoria, titolo e lacrime. La giornata di Hamilton si riassume in questi tre passaggi. Vincere la decima gara del mondiale, domenica a Austin, Texas, non è stato facile, ci sono state circostanze favorevoli (due safety car) la pioggia e una cattiveria a Rosberg alla prima curva. Ma nei momento difficili Hamilton non ha sbagliato nulla e vincendo ha portato a casa la certezza del terzo titolo mondiale. Tanti quanti ne ha vinti Senna che era l’idolo dell’inglese, ma anche dopo la terza vittoria Lewis ha trovato il modo di tornare al passato, al padre e alla famiglia che lo hanno aiutato nei momenti difficili. Il padre, infatti, originario caraibico, era arrivato in Inghilterra alla ricerca di fortuna, ma più in là di un impiego da tramviere non aveva trovato. Inoltre la nascita del secondo figlio, portatore di handicap, e la separazione dalla moglie, avevano creato i presupposti di una vita in salita, condita da rinunce, sacrifici e cinghie tirate. Unica eccezione, il talento di Lewis al volante. Già nel nome c’era un destino. Il padre Antony, infatti, era un grande tifoso di Carl Lewis e volendo dare un nome e una scelta di vita da imitare, quando nacque il primogenito lo chiamò appunto Lewis. Non sapendo che da un velocista dell’atletica sarebbe nato uno dei più veloci piloti di F.1. Per correre ci vogliono soldi che lo stipendio di un tramviere non ha. Agli inizi, coi kart, ci si arrangiava in garage prendendo un pezzo qua e uno là, le gomme usate scartate da altri piloti. Ma per emergere ci vuole la faccia tosta. Il giovane Lewis, incontrando alla premiazione annuale dei campioni inglesi Ron Dennis, patron della McLaren, si avvicinò e gli confidò il suo sogno: “Vorrei correre con il suo team e vincere i mondiali come Ayrton Senna”. Dennis, cuore d’oro nascosto dietro un ghigno malefico, gli diede l’opportunità: “Ok, ti mettiamo in una squadra di kart di buon livello, se vinci ti porto in F.1”. E il piccolo Lewis, come accade nelle favole, prese l’occasione al volo fino a giungere in F.1, dopo essere passato dal kart alla F.3 alla GP2 e sempre in compagnia di Nico Rosberg, figlio dell’ex campione Keke, che aveva indirizzato il figlio nella stessa squadra di kart e nello stesso team di F.3. Come dire che i due, oggi rivali in F.1, si conoscono e si sfidano da oltre un decennio. Dopo l’arrivo in F.1, i primi guadagni. Papà Antony che fa da manager, ingombrante e imbarazzante in certi casi. Lewis lo capisce, la decisione di separarsi dal padre, dal punto di vista professionale, è la svolta per decollare. Non prima però di aver comprato casa al genitore, di aver dato un futuro al fratellino disabile, che Lewis adora e si porta dietro quando può. A voler trovare un titolo a una carriera del genere, viene in mente “la classe operaia va in paradiso”. Certo, non era proprio un operaio e il paradiso è altro, ma intanto è una storia a lieto fine in un mondo dove gli eroi non sempre nascono e crescono nei posti migliori.
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