venerdì 22 maggio 2009
In una bella mostra a Napoli è stata ricostruita l’arte che decorava le case sommerse dall’eruzione del 79 d.C. Esposti anche squadre, righelli e compassi d’epoca.
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Dopo sei anni di chiusura, finalmente riapre, nella sede del Museo Archeologico di Napoli, la collezione di pittura proveniente dagli scavi di Pompei e d’Ercolano. Una riapertura celebrata con una mostra (La pittura pompeiana) che poi si trasformerà in esposizione permanente. Curato da Mariarosaria Boriello e da Valeria Sampaolo, da poco subentrata alla prima nella carica di Direttrice del Museo Archeologico, l’evento ha la portata della straordinarietà per la vastità del materiale esposto (oltre 400 opere) e per l’unicità planetaria della collezione.Il percorso si snoda attraverso le sale del Museo partendo dalla tecnica della pittura pompeiana (in genere vero affresco) e dagli strumenti utilizzati dagli artisti di allora. Sono esposte le squadre, le righe, i compassi che permettevano la costruzione delle figure e il riporto delle proporzioni. Tuttavia, quel che emoziona di più sono le pallottole di colore che sembrano appena prese dalla bottega. Un misto di lavoro artistico ed alto artigianato, infatti, sta alla base del carattere culturale delle pitture pompeiane che trasfiguravano le case della città in un trionfo di colore e di bellezza.A differenza della scultura, che è realizzata in materiale certamente più duraturo come marmo e bronzo, la pittura è, in genere, esposta alla perfidia degli agenti atmosferici: infatti, dei grandi capolavori del passato sono rimasti solo i nomi dei sommi artisti che li produssero, come Polignoto, Apollodoros, Parrassio, Zeusi e Apelle cui si dovette il più bel ritratto di Alessandro Magno, ma non le loro opere. La pittura pompeiana, così, non solo svolge un ruolo di testimonianza, ma ci fa intuire anche la grandezza di quella greca.Le vicende di Pompei sono note a tutti e si sa che la tragedia dell’eruzione del 79 d.C. trasformò la città vesuviana in una sorta di scrigno d’arte, sigillato dalla lava. Di Pompei si persero le tracce geografiche, ma non quelle letterarie (Plinio il Giovane descrisse la catastrofe a Tacito e pianse la morte dello zio Plinio il Vecchio) che permisero il recupero della città e delle pitture, a partire dalla metà del Settecento. Con grande intelligenza, infatti, l’allestimento dell’esposizione coniuga la tradizione storica del collezionismo borbonico con le più moderne esigenze filologiche.Il percorso s’attiene ad un andamento rigorosamente cronologico, ma la collocazione delle pitture tende a posizionarle nella medesima situazione nella quale si trovavano prima del distacco avvenuto in un ampio arco di tempo, fra il Settecento ed il Novecento, quando un impulso notevolissimo agli scavi fu dato dal verolano Amedeo Maiuri.Non si rinuncia, poi, a sottolineare i riverberi e le influenze sulla cultura figurativa dei collezionisti borbonici che non di rado sfruttavano l’immenso patrimonio delle pitture pompeiane per inventare nuove forme decorative per il ricco vasellame reale, o per ricomporre in maniera del tutto arbitraria le cosiddette "pareti a tappeto" così da enfatizzare la presenza delle figurette femminili e degli eroti. Si possono poi ammirare delle vere proprie rarità come le pitture su marmo (di grande poesia quella con Le giocatrici di astragali) i cui recenti studi ai raggi Uv ed agli ultravioletti, hanno rivelato la presenza originaria di colore rosa per l’incarnato e del giallo per le vesti.Si può così ripercorre l’evoluzione della pittura pompeiana che è stata codificata nella nota successione di II, III e IV stile, secondo un percorso che dall’illusionismo delle quinte architettoniche, giunge alla decorazione calligrafica della parete. Si potranno poi finalmente ammirare le straordinarie "nature morte", ovvero "fotografie" ad affresco dei doni ricevuti dal padrone di casa che annoverano celebri "pezzi di bravura" come le pesche con la brocca di vetro proveniente da Ercolano.Corredata da un voluminoso, ma esaustivo catalogo edito da Electa, la mostra si avvia ad essere uno degli eventi archeologici di maggiore importanza nel panorama culturale di questo primo decennio del XXI secolo. E a Roma scavi aperti al pubblico. Sepolti dalla polvere dei secoli, scoperti dopo campagne di scavo archeologico o per caso, mentre si costruivano palazzi o opere pubbliche, trenta siti archeologici sotterranei della Capitale saranno aperti per la prima volta al grande pubblico per una settimana. L’iniziativa – che si avvale di visite guidate con prenotazione obbligatoria – si intitola «Roma nascosta, percorsi di archeologia sotterranea» (25-31 maggio) ed è promossa dal Comune di Roma, con la collaborazione del ministero dei Beni culturali, dei Musei vaticani e della Pontificia commissione di archeologia sacra. Si tratta di acquedotti, cisterne, mausolei, mitrei, cripte, catacombe, magazzini, insule, templi e necropoli – prevalentemente di epoca romana e paleocristiana – che finora erano appannaggio esclusivo degli studiosi. L’iniziativa è stata presentata ieri in Campidoglio con la partecipazione del sindaco Gianni Alemanno, del soprintendente capitolino ai Beni culturali Umberto Broccoli e dal segretario generale del governatorato della Città del Vaticano monsignor Renato Boccardo. «Roma nascosta – ha spiegato Alemanno – è un’opera di disvelamento di una parte della Capitale che pochissimi conoscono, compresi i romani, perché spesso è chiusa o inaccessibile. Con questa iniziativa noi renderemo visitabili ben 30 siti che sveleranno una parte importantissima della vita culturale, spirituale e archeologica della nostra città».Tra i siti che si potranno visitare durante la settimana di «Roma nascosta» il cosiddetto «auditorium di Mecenate» (I secolo a, C.); le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro, in via Casilina; le cantine del quartiere Alessandrino (Fori Imperiali); la necropoli di Santa Rosa (in territorio vaticano); i sotterranei e gli scavi effettuati sotto le basiliche di San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, Santacroce in Gerusalemme; lo Stadio di Domiziano, sotto piazza Navona; la Piramide Cestia e così via. L’iniziativa, ha spiegato Francesco Marcolini, presidente di Zetema (il braccio operativo del Comune di Roma per la cultura che ha preso in carico la parte organizzativa), grazie alle sponsorizzazioni e al ricavato dei biglietti (5 euro), «è a costo zero per le casse pubbliche» e si avvarrà della collaborazione di cooperative culturali reclutate con apposito bando. L’assessore capitolino alla Cultura Umberto Croppi ha anche promesso che farà di tutto per rendere la visita di questi luoghi sotterranei non episodica, ma il più stabile possibile. Intanto, alcuni di questi siti rimarranno aperti anche dopo il 31 maggio, durante tutta l’estate. Per informazioni e prenotazioni consultare il sito di Zetema (www.zetema.it) o telefonare allo 060608.
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