domenica 22 marzo 2009
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l prossimo 6 aprile ricorre il primo centenario della conquista del Polo Nord da parte dell’americano Robert Peary, ma ancora a distanza di tanto tempo molti sono i dubbi e le polemiche che circondano l’evento. Andiamo con ordine: il 6 settembre 1909, raggiunto un ufficio telegrafico a Indian Harbor, in Labrador, Peary inviò un messaggio al New York Times: «Ho raggiunto il Polo il 6 aprile». E subito dopo spedì un dispaccio all’Associated Press: «La bandiera a stelle e strisce sventola sul Polo». La notizia fece il giro del mondo, ma il nostro non poteva sapere che cinque giorni prima un altro americano, Frederick Cook, l’aveva preceduto, spedendo dalle isole Shetland un telegramma in cui annunciava di aver raggiunto il Polo un anno prima, il 21 aprile 1908. Tre giorni dopo Cook arrivò a Copenaghen e ricevette onori senza precedenti. Si può immaginare la delusione di Peary nell’apprendere la notizia: dopo otto spedizioni polari nel corso di 23 anni, era stato battuto da chi non poteva certo vantare la sua esperienza e i suoi meriti. E subito si aprì una controversia tra i sostenitori di Peary, che accusavano Cook di inganno e millanteria, e quelli di Cook che rivendicavano la priorità della conquista. Tra le due fazioni ci fu uno scambio di denunce e accuse più o meno fondate. Oggi, dopo tanti anni e tante discussioni e verifiche, sembra che il merito sia da attribuire a Peary, sia pure con alcune riserve: alcuni ritengono che egli si sia spinto fino a tre miglia dal polo (altri dicono addirittura a venti miglia), senza tuttavia raggiungerlo. Comunque nel 1911 il Congresso degli Stati Uniti decise la querelle a favore di Peary. Robert Edwin Peary (1856-1920) si laureò in ingegneria nel 1877 e nel 1881 divenne ufficiale della Marina statunitense. Nel 1886, mentre in Nicaragua dirigeva le prospezioni in vista della costruzione di un canale alternativo a quello di Panama, prese un anno di congedo e intraprese la sua prima spedizione artica, in Groenlandia. Lo accompagnava Mathew Hanson, un nero di vent’anni, nativo del Maryland, che doveva diventare il suo fido compagno di tante spedizioni, fino all’ultima, del 1909. Da quel momento in poi il sogno di Peary fu quello di raggiungere il Polo artico: si preparò trascorrendo lunghi periodi in Groenlandia per acclimatarsi e apprendere le tecniche di viaggio, di caccia e pesca degli Eschimesi, di cui adottò anche gli indumenti, il che gli permise di viaggiare leggero. Nel 1892, pur con una gamba fratturata, riuscì a navigare fino all’estremo nord della Groenlandia, accertandone la natura insulare. Con le spedizioni successive si avvicinò sempre più alla meta. La moglie, che l’accompagnò nel terzo viaggio, del 1893­95, diede alla luce una bambina a Whale Sound, in Groenlandia. Nel 1902 Peary giunse alla latitudine di 87°17’, ma subì un congelamento e dovette farsi amputare otto dita dei piedi. Durante il settimo viaggio (1905-06), compiuto non più con il piccolo battello Winward, ma con il robusto rompighiaccio Roosevelt, giunse a 322 chilometri dal Polo Nord. Il 5 settembre 1908, all’età di 52 anni, Peary intraprese quello che sentiva sarebbe stato il suo ultimo tentativo. Stabilì l’accampamento invernale al capo Sheridan, nella parte nord di Ellesmere, la più settentrionale delle isole canadesi, lungo la costa nordoccidentale della Groenlandia. Poi, ai primi di marzo dell’anno successivo, partì all’assalto con le slitte. Aveva diviso l’equipaggio in più gruppi staffetta, ciascuno dei quali avrebbe dovuto aprire la strada al suo, composto di 24 uomini, tra cui 17 eschimesi, e 133 cani. Il Polo distava 765 chilometri. Il 1° aprile 1909 gran parte del gruppo fu rimandato indietro per mancanza di cibo e Peary procedette sulla banchisa con cinque soli compagni: il fedele Henson e quattro eschimesi, di cui voglio ricordare i nomi: Ootah, Egiginqwah, Seegloo, Ooqueah. Secondo il suo resoconto, arrivato al Polo, Peary vi si fermò per 30 ore. Poi, esausto e sofferente per un’infezione alla gola, intraprese la strada del ritorno. Nel 1911 Robert Peary andò in pensione col grado di Ammiraglio, dedicandosi alla stesura delle sue memorie. Henson ricevette a sua volta riconoscimenti e onorificenze, si laureò a Harvard e sopravvisse di trentacinque anni a Peary: infatti morì a New York, ottantanovenne, nel 1955. Come ho detto, la conquista del Polo da parte di Peary è controversa. Le informazioni sull’ultimissima parte del suo viaggio sono frammentarie e nessuno dei suoi compagni aveva le competenze per confermare i dati rilevati. Soprattutto, stando al resoconto di Peary, la velocità di marcia sarebbe passata da 12 miglia al giorno all’andata a 43 miglia e più al ritorno, una velocità del tutto irrealistica. A dispetto di queste obiezioni, alcuni storici ritengono che egli credesse in buona fede di aver raggiunto l’obiettivo; altri invece l’accusano apertamente di aver falsificato o per lo meno esagerato i fatti. Nonostante le polemiche, Peary è considerato, per usare le parole dello storico Fergus Fleming, «senza dubbio il più determinato, forse il più fortunato e probabilmente il più indisponente degli esploratori polari». Ma la sua tenacia, la sua preparazione e la sua intelligenza e audacia furono straordinarie.
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