lunedì 17 marzo 2014
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Jorie Graham è nata a New York nel 1950, ma ha vissuto i suoi primi diciotto anni a Roma, che sente come la sua vera casa. Dopo alcune traduzioni sulla rivista “Semicerchio” e nella scelta antologica L’angelo custode della piccola utopia (Luca Sossella, 2008), oggi possiamo finalmente leggere un suo libro: Il posto (Mondadori, pagine 240, euro 18,00), nella traduzione dell’americanista Antonella Francini, profonda conoscitrice dell’opera di Graham, con la quale ha stabilito la forma in italiano dei versi. Scopriamo come siano così lunghi da richiedere la stampa in orizzontale, una scelta che ci riporta un po’ alla poesia visiva della neoavanguardia. Ma che soprattutto ci fa entrare nella forza magmatica della poesia, la sua capacità di testimoniare l’umanità, di risvegliare la mente attraverso i sensi, le presenze vitali del mondo, una “fiumana di sangue” che procede attraverso un deserto. In una fusione coinvolgente di musicalità poematica e densità narrativa.Nel libro “Il posto” lei esplora le qualità di immaginazione intuizione ed esperienza, svalutate dalla società come «pura soggettività». La sua poesia nasce da qui?«Le mie poesie cominciano sempre con una musica. Io ascolto una frase, o un sintagma che arriva come un’immagine, e questo mistero risveglia la mia immaginazione. È quasi sempre un’immagine che mi chiede di usare il corpo. L’immaginazione è una parte fondamentale del corpo umano, uno dei suoi sensi più importanti. L’intuizione è molto carnale. Tendiamo a relegarle all’intelletto. Ma sono nate nell’inconsapevolezza dei sensi. Per me una poesia è un modo di esplorare qualcosa di inizialmente inconoscibile con la mente. Il corpo mi fa percepire i limiti di ciò che il linguaggio può toccare, riprodurre, trascrivere, registrare. Allora, naturalmente, c’è un’invenzione. E, molto più tardi, c’è l’interpretazione. L’arte e le credenze spirituali sono molto vicine in questo: modi di impegnarsi in una pratica che ci porterà alla presenza del mistero. Per me ha a che fare con un senso quasi pagano della presenza dell’inconoscibile, dell’ineffabile, nella storia, nel commercio, nell’atrocità, la generosità, l’amore. Siamo persone che possono sia amare sia torturare: è uno dei misteri più sconcertanti e uso il mio mezzo per sondarlo. Molte altre persone lo fanno con i loro mezzi, non producendo arte».Lei insegna Retorica e oratoria in una delle università più importanti degli Stati Uniti: ci sono possibili futuri scrittori fra i suoi studenti? «Ci sono indubbiamente autentici poeti fra i miei studenti. Ci sono circa 1.800 pubblicazioni di persone che hanno frequentato i miei corsi, negli ultimi trent’anni. Soprattutto poesia, ma anche prosa, commedie, alcuni film molto belli e programmi televisivi, blog estremamente interessanti… L’immaginazione è risvegliata dallo studio della poesia. Sono fortunata ad avere studenti straordinari, ma sono anche fortunata ad avere molti secoli di poesia in molte lingue grazie ai quali trasmettere la passione, la saggezza e la tecnica che ha reso questo mezzo così importante in ogni cultura di questo pianeta. Dico sempre ai miei studenti: scrivete qualcosa che, se qualcuno lo disseppellirà, gli dirà chi eravamo. È bello se funziona come un tweet – dopo tutto i tweet potrebbero essere gli haiku dei nostri giorni – anche se dovrebbe essere davvero uno straordinario tweet! Dovrebbe ricordare quanto abbiamo lottato per salvare questo posto dalla morte. Contro l’avidità collettiva. A favore di ciò che è divino e perennemente sacro nell’umano». Pensa che sia possibile insegnare la poesia?«Sì. Ha trovato casa in università, ma una casa intima e strana, non accademica. Gli insegnanti di poesia sono esistiti da quando è iniziata la poesia. Ogni poeta ha imparato sia dalla vita sia dai suoi grandi predecessori. E la tecnica è stata sempre trasmessa come i segreti per fare l’olio o il vino, o per far diventare vivo un pezzo di legno o pietra. È necessaria molta umiltà quando si fa arte. Il talento vale poco, ma porta con sé la predisposizione a studiare la tecnica, arrivando al punto in cui l’espressione di sé si trasforma in qualcosa che può interessare un altro. Naturalmente, è necessaria la cultura, come per tutte le cose. Da bambina, guardavo un uomo che tagliava gli alberi di olivo. Ricordo come li potava con cura, rispettando segrete ragioni e leggi. Questo ramo verticale sì! Quello orizzontale no. Qualcuno doveva avergli insegnato. Ricordo come le olive erano abbondanti ogni anno, e com’era buono l’olio. È la conoscenza la vera abbondanza. Oggi spingiamo i boscimani fuori dalle loro terre: l’unico popolo del pianeta che sa come vivere senza pioggia e trovando comunque acqua. La loro conoscenza potrebbe essere quanto di più essenziale per noi. Distruggere un sistema di conoscenza equivale a un suicidio, è come distruggere le nostre api e la fantasia dei nostri figli».In Italia la scuola ha gravi problemi e la lettura ne è stata toccata. Com’è la situazione negli Stati Uniti?«Molto, molto peggiore. È difficile per voi – per gli europei in generale – immaginare quanto sia brutta perché credete ancora nelle grandi università americane. La parte peggiore del problema in America è il fallimento della preparazione degli insegnanti all’insegnamento, e, soprattutto, la sensazione che alla maggior parte del Paese non importi nulla di questa perdita. Almeno in Italia vi importa. Negli Stati Uniti un numero stupefacente di persone non vede alcun motivo per cui si dovrebbe parlare un’altra lingua oltre all’inglese. Non vedono alcun motivo nemmeno per leggere la loro stessa letteratura, figuriamoci le altre. Questo vale per la filosofia. O per la storia. O per la geografia. O per la musica. Quale scuola insegna più agli studenti come ascoltare una sonata? Molti, naturalmente, capiscono che la minaccia alla nostra alfabetizzazione è grave come i cambiamenti climatici, ma la rapacità diffusa, il crollo del diritto al lavoro, la robotizzazione in funzione del profitto sono forze molto difficili da combattere. Uno dei più grandi strumenti del potere è la più avanzata cultura dello spettacolo, della distrazione, che mente umana abbia concepito. A volte mi sembra proprio come il suicidio collettivo di un’intera specie. Ci sono sorprendenti sacche di resistenza: grande arte, grande coraggio, molte nuove menti che si svegliano. È una corsa contro il tempo per vedere se ne abbiamo ancora abbastanza per cambiare le cose».Ma i lettori americani amano ancora la poesia e le letture pubbliche?«Molte più persone di quanto si pensi. In tempi di crisi, ovunque le persone si rivolgono alle forme d’arte, anzitutto alla poesia. Questo non significa necessariamente che comprino libri di poesia, è vero che questo settore è in crisi. Ma hanno trovato molti altri modi di diffondere poesia. C’è una grande differenza fra leggere l’intera opera di un autore in un libro monografico, tenuto in mano, in solitudine e silenzio, e invece leggere brani sparsi su internet o in un’antologia. Ma una poesia è come un amuleto, ha potere, se il poeta ha imparato come fare il suo lavoro. Farà quel che è necessario. Terrà sveglio lo spirito di una persona. E una persona sveglia è molto più difficile da ingannare, derubare e distruggere».
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