venerdì 17 marzo 2017
Piccolo despota della Uefa o figlio di italiani brava gente: chi è davvero l’ex fuoriclasse francese della Juve? L’ultima biografia divide i lettori
Platini, il re nudo del pallone
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Nella vita di ogni calciatore professionista c’è sempre un primo e un secondo tempo. Il primo, è il tempo trascorso in campo a tentare di diventare l’idolo delle folle, dribblando, fuori, la ressa per gli autografi. Il secondo, è il tempo dell’abbandono, quello delle illusioni perdute, dei bilanci sontuosi o dei rimpianti che prendono la forma delle scarpe appese al chiodo, da qui il tentativo - a volte disperato - di ricollocarsi con un ruolo inedito nel mondo reale. Ma nel caso dei fuoriclasse, esiste anche un terzo tempo, quello supplementare, in cui se non può più vincere allora è costretto almeno a pareggiare i conti, con la vita prima, e poi con il calcio. Ed è questo il tempo sospeso in cui sta vivendo l’ex Le Roi del pallone, l’ex monarca francese Michel Platini. Dopo la prima biografia, l’unica autorizzata, Gloria e onta di Michel Platini Jean-Philippe Leclaire torna a raccontare e ad aggiornare gli splendori e le miserie diLe Roi. Di Platini chi ha vissuto in presa diretta i magnifici anni ’80 del calcio nostrano ricorderà il lustro juventino (1982-’87) del grande numero “10” europeo, contrapposto alla genialità sudamericana di Zico e di Eupalla Maradona.

Un duello di fatto contro il Diego napoletano in cui Platini non sfigurò: non vinse un mondiale, come l’argentino a Messico 1986 (la sua Francia si piazzò terza) ma conquistò l’Europa (France 1984) e trascinò la Juventus sul tetto del mondo (Intercontinentale del 1985). In più, con gli olandesi volanti Cruijff e Van Basten, è riuscito nell’impresa di aggiudicarsi tre edizioni di fila (1984-’85-’86) del Pallone d’Oro, quando ancora France Football non premiava gli assi extraeuropei (vedi il recordman Leo Messi - 5 volte Pallone d’Oro). Dell’epopea agonistica di quello che la Francia ama e riconosce come il «Platoche I», Leclaire scrive e riscrive, aggiornando la saga, a partire dal 10 giugno 2015. Il giorno che «all’Eliseo, il presidente della Repubblica François Hollande riceve un altro presidente francese, certo meno potente ma ben più popolare... Michel Platini è appena stato rieletto per acclamazione alla guida della Uefa per un terzo mandato quadriennale. Il suo impero si estende su quarantanove paesi, dall’Irlanda al Kazakistan, dall’Islanda a Cipro.

E potrebbe ampliarsi ancora! Non è nemmeno formalmente candidato che già il trono della Fifa, appena lasciato vacante dal presidente Sepp Blatter, sembra il suo destino obbligato». Era il trono dell’imperatore Blatter (a capo della Fifa per quasi un ventennio, dal 1998 al 2016) quello a cui Le Roi stava puntando, anche in qualità di unico erede universalmente accreditato. E il suo piano strategico da Napoleone del calcio era ad un passo dalla realizzazione, quando l’8 ottobre 2015 viene sospeso per 90 giorni. Il comitato etico della Fifa l’accusa di aver percepito, nel 2011, 2 milioni di franchi svizzeri come compenso dallo stesso Blatter, per lavori svolti tra il 1999 e il 2002. Platini viene condannato a otto anni di squalifica, poi ridotti dal Tas a sei e infine a quattro, ma non ottiene la cancellazione del “reato” di acquisizione indebita di denaro per scopi e vantaggi personali. Spalle al muro. Il re è ormai solo, quando si accorge che il primo a voltargli le spalle è stato il suo figlioccio, il pupillo e confidente principe fino al giorno prima dello scandalo, Kevin Lamour. Le pagine dei capitoli “Il leader abbandonato”, “Il bersaglio” e “Il panamense di carta” si leggono con amarezza, immaginando tetre atmosfere da Waterloo. La Francia è rimasta basita. Non può credere che il suo re sia un corrotto.

«Non ha bisogno », rivendicano i suoi tifosi che giurano sull’innocenza dell’eterno Michel. Eppure un’inchiesta certifica che dal dicembre 2007, Platini possiede una società offshore a Panama. «Lui che ha sempre sostenuto di non essere interessato ai soldi, vede il proprio nome e la sua reputazione infangati da uno scandalo planetario...È incredibile come il presidente Platini ha finito per farsi riacciuffare da Platoche I, il suo doppio tutt’altro che malefico, ma al tempo stesso scaltro e ingenuo, simpatico e brusco, carismatico e timido, brillante e limitato, capace dei più grandi slanci come di calcoli assai meno nobili». Chi è allora il vero Platini? È la domanda che si pone Leclaire e che rilancia ai lettori, agli amanti e ai detrattori storici del Le Roi.

È il piccolo despota della Uefa (ironico, mordace e dittatoriale fino alla censura dei jeans in ufficio) o l’uomo figlio di italiani brava gente (radici piemontesi e venete) che nonostante la doppia bocciatura alle scuole medie ha studiato alla grande scuola di diplomazia internazionale dell’Avvocato (Gianni Agnelli) e poi si è laureato - honoris causa - alla Sorbonne del football? E dove è finito il guru del fairplay finanziario? Nel 2011 quando a Milano venne insignito del premio Giacinto Facchetti, “Il Bello del calcio”, Platini rivolto alla platea ammoniva: «Il calcio europeo ha perdite per 1 miliardo e 400 milioni l’anno e questo non è ammissibile, specie mentre c’è una parte del mondo che muore di fame...». Un discorso degno di Nelson Mandela, uno dei tanti grandi della terra con i quali Le Roi si è seduto a tavola e ha disquisito candido come un Voltaire di politica internazionale, di filosofia e anche di sport in maniera olimpica, perché al calcio ci è arrivato passando anche dal cricket. Messaggi da leader moralmente retto, predestinato all’incarico di rivoluzionare, nel bene, il sempre torbido Palazzo dell’impero mondiale di cuoio.

E invece, per una mazzetta presunta o se vera inutile per un uomo ricco e potente come pochi altri in Francia - il sogno è svanito, e tutti gli uomini del presidente, uno a uno si sono dileguati. Il suo maggior cortigiano, Gianni Infantino, clamorosamente è riuscito a strappargli lo scettro di capo assoluto della Fifa. «Infantino ha tradito Michel o, al contrario, lo sta servendo tenendogli il posto al caldo per la durata della sospensione? », si chiede Leclaire. Richiudendo questo libro gli interrogativi e i sospetti non vengono spazzati via come un pallone in tribuna, del resto Michel giocava di fioretto e a testa alta, non sarebbe nel suo stile. Rimangono tante zone d’ombra, e Platini è vissuto in un calcio in cui si marcava rigorosamente a uomo; l’unica zona era quella “mista” praticata dall’acerrima rivale della sua Juve, la Roma del “Barone” Nils Liedholm. Platoche I nella sua ultima socratica difesa davanti agli accusatori del Tas ha detto con il cuore in mano: «L’uomo di cui avete appena parlato non sono io, e non sono mai stato io. Il calcio è la mia vita, e mi state portando via la mia vita». E questa, è l’unica verità inconfutabile di un campione, di un presidente e di un re che al momento è nudo.

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